Ieri l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) ha pubblicato i risultati delle aste che si sono svolte lo scorso 10 gennaio per il superamento della “maggior tutela” e la piena liberalizzazione del mercato della vendita dell’energia elettrica. Dopo mesi di veleni su una riforma che tutti hanno disconosciuto, è il momento della verità.
Chi ha seguito la vicenda non sarà sorpreso dall’esito. La procedura aveva due obiettivi: ridurre la concentrazione dell’offerta e garantire una transizione al mercato, per i clienti che ancora usufruivano dei prezzi regolati, senza traumi e senza aggravi. Il primo obiettivo sappiamo già che è stato raggiunto: anche perché le regole di gara prevedevano che nessun contendente potesse aggiudicarsi più del trentacinque per cento dei clienti messi in palio. L’effetto sarebbe stato ancora più significativo se le gare si fossero svolte prima, in quanto oggi solo il trenta per cento dei consumatori è “tutelato” (e di questi circa la metà, essendo considerato vulnerabile, è stato escluso dal meccanismo). Per quanto riguarda invece i prezzi, i risparmi sono considerevoli: si parla di più di cento euro l’anno.
La conferma viene da una dichiarazione del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica che, dopo essersi opposto per mesi alla liberalizzazione, ha detto che «tutti i partiti erano per la proroga “perché arriva la batosta, costerà di più…”. Io credo che costerà di meno perché si è creata una condizione di mercato dove probabilmente la concorrenza ha fatto abbassare l’offerta». Che il sistema delle aste avrebbe determinato un risparmio significativo noi dell’Istituto Bruno Leoni lo avevamo detto da subito, fin da quando proprio Pichetto aveva cominciato a ipotizzare un rinvio.
Sfortunatamente l’interpretazione dominante dei fatti economici in Italia è ormai così pervicacemente scollegata dalla realtà che concorrenza e privato sono considerati sinonimi di sistematica predazione del consumatore (che solo un dolce monopolio potrebbe davvero tutelare). Questo inquinamento lessicale e concettuale del dibattito pubblico ha determinato il rinvio di anni di questa riforma, con costi per tutti e benefici, minimi, di consenso per la classe politica.
Per carità il mondo di domani può sempre essere diverso da quello di ieri, ma tutto ciò che sappiamo dovrebbe indurci a pensare che la concorrenza determini non solo una riduzione dei prezzi, ma anche un ampliamento dell’offerta. Non per la politica e il giornalismo italiani. Che debbono abbozzare di fronte ai dati incontestabili diffusi dall’Arera, i quali difficilmente troveranno un’attenzione anche lontanamente comparabile a quella suscitata dai proclami di maggioranza e opposizione sul disastro che sarebbe dovuto succedere. Viene da chiedersi se qualcuno – a destra o a sinistra, coralmente impegnate a impedire o ritardare la riduzione dei prezzi – abbia almeno imparato qualcosa. Speriamo di sì, ma sappiamo di illuderci.