I diverbi tra la premier Giorgia Meloni e il suo principale alleato al governo, Matteo Salvini, sono un leitmotiv delle cronache politiche. La tenuta dell’esecutivo forse non è in discussione, ma se esisteva un’immagine di unità della coalizione ormai è roba del passato. Ogni giorno, su ogni argomento possibile, Fratelli d’Italia e Lega si scoprono divisi, distanti, più di quanto converrebbe a due partiti di maggioranza: dal terzo mandato per sindaci e presidenti di regione alla protesta degli agricoltori, dalla flat tax fino ovviamente alle grandi questioni di politica internazionale. Come la guerra d’invasione mossa dalla Russia all’Ucraina.
Il governo Meloni non ha mai fatto mancare il suo appoggio a Kyjiv e non ha mai messo in discussione il suo posto nella Nato. Ma allo stesso tempo i legami della Lega con Russia Unita – il partito, o presunto tale, di Vladimir Putin – e le simpatie dello stesso Salvini per il regime di Mosca non sono un mistero.
Sabato scorso la presidente del Consiglio è andata in visita a Kyjiv in occasione del secondo anniversario dell’invasione su vasta scala della Russia. Da lì ha condannato l’aggressione militare di Vladimir Putin e ha elogiato gli ucraini per la loro «resistenza eroica». Ma pochi giorni prima Salvini, che del governo Meloni è vice primo ministro, aveva suscitato molte polemiche per aver detto che non si poteva incolpare il dittatore del Cremlino per la morte del dissidente Alexei Navalny e che «solo medici e giudici russi» avrebbero stabilito la verità – una strana forma di garantismo, peraltro da parte di uno che non ha paura di mettere su la maschera da manettaro in altre circostanze.
Proprio i commenti di Salvini, scrive il Financial Times, hanno ricordato a tutta l’Europa l’alleanza della Lega con il partito Russia Unita di Putin, formalizzata in un accordo di cooperazione firmato nel 2017. «L’indignazione arriva in un momento delicato in cui Mosca sta intensificando gli sforzi per alimentare l’opposizione pubblica alla posizione filo-ucraina di Meloni e generare pressioni per un accordo alle condizioni del Cremlino, aiutata dalla sua rete di simpatizzanti italiani nella politica, nei media, nel mondo accademico e nella società civile», si legge nell’articolo firmato da Amy Kazmin e Giuliana Ricozzi.
Il Financial Times riporta dichiarazioni di alcuni politici italiani, come Carlo Calenda, leader di Azione – «È una questione di sicurezza nazionale fondamentale, Matteo Salvini ci deve mostrare la disdetta dell’accordo con Russia Unita» – e Lia Quartapelle, deputata del Partito democratico: «C’è questa nuova ondata di propaganda che mira a diffondere l’idea che la pace è possibile, che scendere a patti con la Russia di Putin è possibile, e ora è l’Ucraina che non vuole l’accordo».
L’intensificazione delle campagne di disinformazione da parte del Cremlino serve per diffondere in tutta Italia l’idea di una guerra ormai inutile, il cui esito in favore di Mosca non è più in discussione. E quindi sarebbero inutili gli aiuti militari, quelli economici, il sostegno politico. Ovviamente non è così. Ma è la storia dell’Italia a favorire la presa della propaganda russa. «Roma ha legami amichevoli con Mosca fin dai tempi della Guerra Fredda, quando l’Italia aveva il più grande partito comunista dell’Europa occidentale», ricorda il Financial Times. «Anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, Roma si è spesso schierata con Mosca nelle sue difficili relazioni con l’Unione europea – simpatie sostenute da un’amicizia personale tra Putin e Silvio Berlusconi, che è stato premier italiano per un totale di nove anni in tre mandati ed è rimasto una figura influente fino alla sua morte».
Dopotutto, è stato lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky a ricordare ieri in conferenza stampa che ci sono ancora «troppi propagandisti pro-Putin in Italia» e anche per questo Kyjiv ha intenzione di preparare e condividere una lista di «propagandisti russi e affaristi che hanno delle connessioni profonde con la Russia e aggirano le sanzioni».
L’articolo del Financial Times si apre con il racconto di una proiezione in un museo di Foligno, di domenica scorsa. C’erano un’ottantina di persone e hanno visto “The Witness”, una delle tante pellicole di pura propaganda cremliniana sull’invasione dell’Ucraina – una di quelle in cui i soldati ucraini sono rappresentati come nazisti che giurano fedeltà a Hitler, sventolano il Mein Kampf e commettono atrocità in lungo e in largo. E quella di Foligno è solo una delle tante proiezioni organizzate in tutta Italia da gruppi e organizzazioni vicini a Mosca.
«Negli ultimi dieci o quindici anni, la Russia ha investito molto per creare queste associazioni culturali poggiando sull’amicizia russo-italiana», ha detto al Financial Times Nona Mikhelidze, esperta dei relazioni internazionali dell’Istituto per gli Affari Internazionali (Iai), tra le più attente osservatrici dei riflessi del conflitto nel nostro Paese. Mikhelidze sottolinea come Mosca abbia coltivato un’ampia rete di gruppi civici a livello locale per promuovere gli interessi della Russia, soprattutto nelle roccaforti della Lega al Nord. «Dove è presente la Lega, la Russia ha un forte punto d’appoggio».
Nel caso di Foligno, ad esempio, il sindaco Stefano Zuccarini, un indipendente sostenuto da partiti di destra compresa la Lega, ha respinto le richieste di annullare la proiezione di “The Witness”. Mentre l’imprenditore in pensione Palmarino Zoccatelli, per anni leghista – uno che si autodefinisce «cattolico tradizionalista» e ha ammesso di ammirare Putin – ha fondato nel 2016 l’Associazione Culturale Veneto-Russia, inizialmente per promuovere la causa dei separatisti filorussi nella regione ucraina del Donbas. Oggi è uno di quelli che giustifica l’offensiva militare della Russia davanti al pubblico italiano.
Un’altra associazione nata nel 2022 e attiva in tutta Italia è “Vento dell’Est” – fondata da Lorenzo Berti, ex attivista di estrema destra che si è candidato senza successo alle elezioni locali in Toscana nel 2022 – che mira a «contrastare la russofobia e ristabilire tradizionali rapporti di amicizia dopo il miserabile peggioramento degli ultimi tempi». Poco prima di Natale “Vento dell’Est” aveva organizzato un’iniziativa per far dialogare per via telematica gli studenti di una scuola superiore di Aprilia – provincia di Latina – con quelli del liceo Beregovoj di Lugansk, zona occupata dai russi, per uno “scambio culturale” online.
Non è detto che tutte queste operazioni locali, più o meno partecipate, possano influenzare l’opinione pubblica italiana al punto da minare il sostegno del governo italiano a Kyjiv. Ma molti analisti temono che questo assalto propagandistico della Russia possa avere altre ripercussioni, ad esempio sulla delicata questione dell’aumento della spesa per la difesa – che è anche parecchio urgente. «Siamo in un momento critico», ha detto Lia Quartapelle al Financial Times. «Ci sono decisioni di lungo termine che devono essere prese adesso, e l’Italia non le sta prendendo. I nostri arsenali sono vuoti, come quelli del resto d’Europa. Ma mentre alcuni Paesi europei hanno deciso di ordinare più armi e di spendere di più per la difesa l’Italia ancora non si è mossa».
Il rischio è quello di darla vinta alla propaganda del Cremlino che, se pure non riesce a plasmare le menti come vorrebbe, riesce quanto meno a rallentare i rifornimenti militari all’Ucraina, a indebolire il sostegno italiano a Kyjiv, a far credere che la vittoria della Russia sia dietro l’angolo. Ma questa non è uno scenario accettabile, né per l’Ucraina, né per l’Italia, né per l’Europa o l’Occidente.