ConservazionePerché le aree marine protette difendono i pesci dalle ondate di calore

A scoprirlo è stato un nuovo studio internazionale coordinato dall’università di Pisa. In queste porzioni d’acqua, la fauna ittica è più abbondante, funzionalmente strutturata e pronta ad affrontare l’impatto degli eventi meteorologici estremi

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Secondo il Copernicus climate change service, agli inizi dell’agosto scorso la temperatura media della superficie degli oceani di tutto il mondo ha raggiunto il livello più alto di sempre, toccando i 20,96°C. È stato così battuto il precedente record di 20,95°C, stabilito nel 2016, dopo che nel 2022, per il settimo anno consecutivo, le temperature medie degli oceani erano cresciute rispetto alla rilevazione precedente.

Una tendenza in rapida ascesa. A gennaio la temperatura è risultata di 0,26°C più alta rispetto al precedente record per lo stesso mese. Sono dati allarmanti, che rappresentano la conseguenza delle ondate di calore che colpiscono le acque quanto la terra a causa del riscaldamento globale, e che interessano particolarmente l’Italia, dove nello stesso periodo il mar Mediterraneo ha toccato il suo record massimo, 28,71°C. 

Non si tratta solo della temperatura marina che tende sempre di più ad assomigliare a quella della vasca da bagno. Un innalzamento di quattro o cinque gradi per almeno cinque giorni, cioè la classica ondata di calore, mette a rischio la fauna ittica e la sopravvivenza di alcune specie, modificando l’habitat in modo irreparabile. Ora, una buona notizia, rispetto ai tempi lunghissimi e improbabili di una vera metamorfosi globale nel campo del risparmio energetico e dell’uso delle risorse, arriva da uno studio internazionale coordinato dall’università di Pisa e pubblicato su Nature Communications: le aree marine protette difendono la fauna ittica dalle ondate di calore.

La ricerca ha preso in esame 2.269 specie di pesci costieri che vivono in trecentocinquantasette siti interni alle aree marine protette e settecentoquarantasette siti esterni. I dati provengono da oltre settantamila osservazioni ottenute su periodi da un minimo di cinque a un massimo di ventotto anni. Le aree marine protette studiate sono state individuate a campione in tutti i mari: nel Mediterraneo – soprattutto in prossimità delle coste spagnole – in Australia, in California e nell’Indopacifico. Una mole di informazioni che è stata raccolta anche grazie alla cosiddetta citizen science, cioè con il contributo delle segnalazioni dei cittadini.

«Le proiezioni suggeriscono che i cambiamenti nel clima oceanico, di cui le ondate di calore sono espressione, si acutizzeranno nei prossimi decenni e che gli attuali tassi di riscaldamento supereranno presto il margine di sicurezza termica di molte specie – sottolinea Lisandro Benedetti-Cecchi del dipartimento di Biologia dell’ateneo pisano, primo autore dell’articolo – e l’allarme è ancora maggiore per il Mediterraneo, che si sta riscaldando a un ritmo pari a tre volte quello dell’oceano globale». 

«Ora – prosegue l’accademico – da tempo sappiamo che le aree marine protette, se ben gestite e opportunamente sorvegliate, hanno effetti positivi sulla fauna marina eliminando o riducendo gli effetti diretti della pesca. Ma per la prima volta, grazie a questo studio, abbiamo dimostrato che sono anche in grado di mitigare l’impatto delle ondate di calore».

A subirne le conseguenze, infatti, è la stabilità dell’intero ecosistema e delle popolazioni, con i pesci erbivori che tendono ad aumentare e i carnivori, come squali, barracuda, cernie o dentici, che invece sono più minacciati. Il risultato può essere il collasso dell’intero sistema sino all’estinzione locale di alcune specie: «Questi effetti – spiega Benedetti-Cecchi – sono però molto mitigati nelle aree marine protette. Qui le popolazioni di pesci sono più abbondanti e funzionalmente strutturate rispetto alle aree non protette, conferendo stabilità alle comunità anche in presenza di eventi climatici estremi».

Nel complesso, la protezione influisce sull’abbondanza di pesci, sulla stabilità della comunità, sulle fluttuazioni asincrone e sulla ricchezza funzionale. In particolare, la stabilità è positivamente correlata alla distanza dai centri ad alta densità umana solo nelle aree protette. «Forniamo – conclude – prove del fatto che le reti di aree protette conservano comunità resilienti di pesci di barriera negli oceani in via di riscaldamento, mantenendo grandi popolazioni e promuovendo la stabilità a diversi livelli di organizzazione biologica».

Lo studio, mettendo in risalto l’importanza delle aree marine protette per salvaguardare la fauna marina, fornisce supporto alle politiche di conservazione, articolate nelle varie direttive internazionali, come ad esempio la Convention for biological diversity, secondo le quali entro il 2030 almeno il dieci per cento della superficie degli oceani dovrebbe essere tutelata.
Un obiettivo ancora lontano, anche se dall’inizio del XX secolo, quando furono istituite le prime, il numero e la superficie delle Amp (Aree marine protette) sono cresciuti molto rapidamente e oggi sono il principale strumento per la conservazione della biodiversità e la gestione delle risorse naturali.

In Italia, attualmente, le aree marine protette sono ventinove oltre a due parchi sommersi che tutelano complessivamente circa duecentoventotto mila ettari di mare e circa settecento chilometri di costa. Complessivamente, secondo dati riportati dal Wwf, solo lo 0.03 per cento del mar Mediterraneo è tutelato da aree a protezione integrale e il 7,68 per cento di tutta la superficie marina della Terra è coperto da aree marine protette, per un totale di 27.8 milioni di chilometri quadrati.

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