Un porto temporaneo sulla costa di Gaza per consentire la consegna di aiuti umanitari su larga scala. Un impegno annunciato da Joe Biden in chiusura del discorso sullo stato dell’Unione di questa notte. L’urgenza secondo la Casa Bianca è data dal fatto che l’attuale mancanza di cibo e farmaci sta mettendo in pericolo 2,3 milioni di palestinesi sul territorio. «Non stiamo aspettando gli israeliani. Questa è una decisione che deve ribadire la leadership americana», aveva dichiarato ieri un funzionario di Washington. Serpeggia infatti nell’opinione pubblica la frustrazione per quello che è considerato l’ostacolo imposto dagli israeliani alle consegne massive via terra. Biden durante il discorso ha infatti ribadito la necessità che Israele consenta il passaggio di più convogli.
Il programma di consegna via mare dovrebbe essere realizzato in alcune settimane, ma sono in molti a chiedersi se questo sistema consentirà aiuti sufficienti a tamponare la fame e il rischio epidemico e soprattutto se la popolazione allo stremo potrà resistere mentre si realizza questa struttura. Da parte degli attivisti e degli esperti umanitari si plaude alla decisione considerata un passo nella giusta direzione, ma intravedono un segnale di debolezza da parte degli Stati Uniti. La maggioranza delle ong impegnate nel conflitto ha espresso infatti tramite comunicati stampa l’opinione che sarebbe stato preferibile aiutare Gaza facendo pressioni molto più forti sul governo di Benjamin Netanyahu affinché aprisse altri varchi al confine per consentire al trasporto su gomma di aumentare la capacità di affrontare l’emergenza umanitaria.
Al di là dei proclami («unica soluzione, due stati»), il presidente Biden non ha esplicitato quale linea terranno gli Stati Uniti se Israele punterà su Rafah. A ipotizzarne le intenzioni è David Ignatius del Wahington Post, secondo il quale l’uso delle armi americane dovrà essere sottoposto a rigide condizioni se Netanyahu porterà avanti il piano di invasione del sud di Gaza.
Gli Stati Uniti hanno silenziosamente approvato e consegnato più di cento lotti di equipaggiamenti militari e munizioni a Israele dall’inizio della guerra, sostiene Ignatius, aggiungendo che in queste forniture erano presenti armi di precisione e destinate a sfondare i bunker, il che avrebbe dovuto impedire un uso indiscriminato che provoca morti tra i civili.
Intanto sugli ostaggi continua il braccio di ferro che ora diventa anche una questione interna ad Hamas: il leader del partito a Gaza, Yahya Sinwar e il suo responsabile dell’ufficio politico, Ismail Haniyeh, non sarebbero d’accordo sui termini da negoziare per il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco. Haniyeh è disposto ad accettare una tregua di sei settimane senza garanzie per una pausa più lunga, ma Sinwar vorrebbe ottenere molto di più da parte di Israele. Sami Abu Zuhri, dai vertici di Hamas ha affermato che Israele ha boicottato tutti gli sforzi dei mediatori per raggiungere un accordo, respingendo sempre le richieste di un completo ritiro israeliano, oltre alla libertà di ingresso per gli aiuti e il ritorno degli sfollati a Gaza. Secondo Zuhri, le trattative riprenderanno la prossima settimana e continueranno fino a un accordo.
Secondo il quotidiano Haaretz il motivo che ha bloccato finora le trattative è il rifiuto da parte di Hamas di rilasciare ostaggi malati e più anziani.
Da Israele Jack Lew, ambasciatore americano nello stato ebraico ha lasciato intendere alla stampa israeliana che sarebbe un errore pensare che i negoziati sugli ostaggi siano falliti, sottolineando che le differenze tra le parti si starebbero riducendo.
I rappresentanti delle famiglie degli ostaggi americani detenuti a Gaza e presenti al discorso di Biden, hanno anche incontrato per la sesta volta il consigliere per la sicurezza nazionale di Washington, Jake Sullivan. Da loro un solo messaggio, continuare a lavorare con gli alleati per fare pressione su Hamas affinché accetti un accordo di rilascio.Le famiglie degli ostaggi in Israele invece hanno protestato davanti alla sede delle Forze Armate di Tel Aviv, chiedendo di incontrare il primo ministro Netanyahu. In un comunicato i toni dei familiari si fanno aspri: «Ci siamo seduti in silenzio per lasciare che le parti lavorassero e ora la nostra pazienza è esaurita».