Un anno da criminale In Russia si vota nel primo anniversario dell’incriminazione di Putin all’Aja

Domenica termineranno le elezioni farsa per rieleggere il Presidente della Federazione, esattamente trecentosessantacinque giorni dopo l’emissione del mandato di arresto contro il dittatore

Domenica 17 marzo 2024 sarà l’ultimo giorno delle elezioni (farsa) presidenziali russe, in cui Vladimir Putin otterrà certamente il plebiscito richiesto per legittimare la guerra d’aggressione all’Ucraina. E lo otterrà come da oltre vent’anni ottiene ciò che vuole: dall’uccisione di Anna Politkovskaja a quella di Alexei Navalny, la legittimazione della violenza attraverso la violenza.

Tutti gli occhi e gli orologi di quanti vogliono capire e sostenere la battaglia antiputiniana — e quindi non dei cosiddetti pacifisti per cui l’ordine del Cremlino è preferibile al disordine della resistenza russa e ucraina, e sostengono “sempre meglio sotto Putin che sotto terra” — saranno puntati a mezzogiorno di domenica, come ha chiesto, tra gli altri, Yulia Navalnaya. Sarà l’occasione per verificare se l’appello degli oppositori dentro e fuori la Russia sarà accolto e quindi se davanti ai seggi si formeranno lunghe code di cittadini che, semplicemente con la loro presenza, testimonieranno il no a Putin e alla guerra. Una categoria più seria ed eroica di pacifisti: che contestano in modo nonviolento chi fa la guerra, non chi ne è vittima.

Il 17 marzo è una data importante anche per un anniversario da ricordare: un anno fa la Corte Penale Internazionale (Cpi) dell’Aja emetteva un mandato d’arresto nei confronti sia di Vladimir Putin, sia di Maria Lvova-Belova, commissaria russa per i diritti dei bambini, per il crimine di «deportazione di bambini ucraini in Russia».

A quel punto era già trascorso più di un anno dall’inizio della seconda fase dell’aggressione russa all’Ucraina e i crimini commessi dai soldati di Putin a Bucha, a Irpin e in molte altre località ucraine erano già stati ampiamente documentati. Lo stesso vale anche per quei crimini commessi giorno e notte dell’inverno scorso contro bersagli civili. Per questo, la Cpi ha emesso nelle scorse settimane i mandati di cattura nei confronti di due capi militari russi, il generale Sergei Kobylash e l’ammiraglio Viktor Sokolov. Secondo un comunicato stampa della procura della Corte, esistono «ragionevoli motivi per ritenere che i due sospettati siano responsabili degli attacchi missilistici condotti dalle forze sotto il loro comando contro l’infrastruttura elettrica ucraina almeno dal 10 ottobre 2022 fino al 9 marzo 2023».

Si tratta della campagna militare criminale che gli ucraini hanno ribattezzato Kholodomor (“sterminio attraverso il gelo”), un termine che richiama il tristemente noto Holodomor (“sterminio attraverso la fame”) degli anni Trenta del secolo scorso, e che la Federazione Russa ha replicato anche nell’inverno che sta per finire: ridurre al buio e al freddo milioni di cittadini ucraini per fiaccarne la resistenza.

È legittimo e doveroso chiedersi perché assieme ai due graduati russi non sia stato incriminato il loro comandante in capo, Vladimir Putin; colui che ha deciso a tavolino, a Mosca, di lanciare ogni giorno e ogni notte droni e missili sulle città ucraine. Ricordiamo un illustre e illuminante precedente, quando il presidente serbo Slobodan Milosevic fu incriminato dalla Corte Penale ad hoc sull’ex Jugoslavia per i crimini commessi dai generali serbi in Croazia, Bosnia e Kosovo.

E ancora: se si scorre lo Statuto della Corte Penale Internazionale si può verificare che l’articolo 6 (crimine di genocidio) recita: «Ai fini del presente Statuto, per crimine di genocidio si intende uno dei seguenti atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale: … omissis … e) trasferire con la forza bambini appartenenti al gruppo in un gruppo diverso…”. Il successivo articolo 7 (crimini contro l’umanità) annovera come “crimine contro l’umanità” la “deportazione o trasferimento forzato della popolazione”. Infine, l’articolo 8 (crimini di guerra) parla di “deportazione, trasferimento o detenzione illegali». Gli articoli dello Statuto della Cpi elencano, oltre a questa, fattispecie criminali tutte addebitabili ai militari della Federazione Russa (ricordiamo che dall’estate 2023 anche i mercenari del Gruppo Wagner sono stati inquadrati nell’esercito regolare) e, quindi, innanzitutto al primo anello della catena di comando, Vladimir Putin.

Sarebbe auspicabile che al più presto, magari proprio domenica 17, o anche solo lunedì 18 marzo, nel giorno del suo “trionfo” annunciato, la Corte Penale Internazionale spiccasse altri mandati d’arresto nei confronti di Vladimir Putin: non c’è che l’imbarazzo della scelta.

E sarebbe altrettanto doveroso se il ministro della Giustizia Carlo Nordio emanasse finalmente il “Codice dei crimini internazionali”, visto che aveva promesso di farlo entro la fine del 2023. Ma l’Italia attende tale provvedimento dal 1° luglio 2002, data di entrata in vigore, proprio a Roma, dello Statuto della Corte Penale Internazionale.

Oleg Orlov (co-fondatore di Memorial, Premio Sakharov 2009 del Parlamento Europeo, condannato a due anni e mezzo di carcere per “discredito dell’esercito”), dalla sua cella ha risposto così, alcuni giorni fa, alla seguente domanda: giustizia o misericordia? «Io rispondo sicuramente giustizia … La parola “giustizia” viene dal latino iustitia, ma come fondamento (non della giustizia sovietica, né di quella russa attuale) deve necessariamente avere il principio del diritto. Il diritto è il linguaggio grazie al quale possono interagire le persone, le culture e i Paesi più diversi. L’umanità è arrivata a capirlo lentamente e con fatica, un po’ alla volta a partire dal medioevo fino al Ventesimo secolo. È chiaro che ora la forza torna nuovamente a prendere il posto del diritto. E questo è molto male, oltre che molto più pericoloso di quanto sia mai stato in passato. Persino coloro che hanno difeso i principi del diritto sono stati costretti a farlo con l’uso della forza. Il rischio sta nel fatto che anche loro, involontariamente, possano un po’ alla volta dimenticare il diritto che starebbero difendendo. È così. Ma nessuno riuscirà mai a mettere qualcos’altro al posto della pietra angolare del diritto (e quindi della giustizia). Sotto questo aspetto la misericordia, che è un’idea molto alta e un sentimento bellissimo, non si trova in contraddizione né con la giustizia né con la forza. Essa le completa. La misericordia è possibile anche in un mondo in cui regni il principio della forza e non quello della giustizia. Tuttavia, è molto meglio se la misericordia completa la giustizia (il diritto), se ne è parte strutturale. Nel mondo dominato dalla forza la misericordia sarebbe un arbitrio, un bonus che solo i forti possono concedere. E dunque, alla base ci dev’essere la giustizia, e poi come completamento, la misericordia. Più o meno così». Speriamo che la bellissima lettera di Orlov sia arrivata anche all’Aja.

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