Uno studio pubblicato su Die Zeit smonta molte radicate convinzioni sul profilo dell’elettore di Afd e dei partiti nazional-populisti in generale. Da tempo ci siamo infatti abituati a dare per scontato, un po’ ovunque in occidente, che si tratti per la maggior parte di maschi, anziani, di bassa estrazione sociale e scarsa cultura, perlopiù provenienti dalla campagna, dalla provincia, dalle periferie. Convinzioni, perlomeno in Germania, a quanto pare non suffragate dai dati, che disegnano un identikit molto diverso, come quello di Frau Müller (il nome è ovviamente di fantasia): una donna di cinquant’anni con un reddito di 4 mila euro al mese, diploma di maturità, media cultura, che si è sempre interessata di politica.
Il dato però più interessante, specialmente ripensando alle grandiose manifestazioni contro il pericolo dell’estrema destra che in questi mesi hanno riempito le città tedesche, è che la maggioranza degli elettori di Afd non si ritengono di destra. La nostra Frau Müller, per esempio, si considera di centro. Del resto, per sua stessa ammissione, non solo ha votato Spd alle elezioni del 2021, ma in passato anche per la Cdu, i Verdi e la Linke. Eppure, se in Germania si votasse domenica prossima, voterebbe Afd.
Si è aperto insomma un divario notevole tra l’autopercezione di una parte crescente della società tedesca (i sondaggi accreditano Afd del 18 per cento) e tutti gli altri, quelli che effettivamente li considerano di estrema destra. Per non dire che il divario si è aperto anzitutto tra i gli elettori di Afd e la realtà, perché Afd è indiscutibilmente un partito di destra.
Lo studio mi ha ricordato un appunto che avevo preso due anni fa, e ho miracolosamente ritrovato, su un articolo di El País dedicato a Vox, la formazione post-franchista tanto cara a Giorgia Meloni, a partire, anche lì, dai dati di un sondaggio, che portavano alla seguente conclusione: «Gli elettori di questo partito non si collocano all’estrema destra, che è dove li colloca la maggioranza della popolazione». Attenzione: non dove li collocano gli avversari, la minoranza colta, snob e cosmopolita che vive nella Ztl, ma dove li colloca la maggioranza della popolazione. E anche, di nuovo, la realtà dei fatti, delle dichiarazioni e degli atti concreti dei dirigenti di Vox. Il che, intendiamoci, non semplifica affatto le cose, anzi le complica enormemente, non permettendoci di ricacciarle a forza dentro gli schemi delle nostre analisi precostituite, tanto a destra come a sinistra, tanto filo quanto anti populiste.
Di cosa si tratta dunque? Di una sorta di «disforia ideologica», estremisti di destra che non si riconoscono nelle proprie idee e vorrebbero identificarsi come centristi? Metterla così sarebbe un’esagerazione. Tuttavia, c’è una paradossale somiglianza nella pretesa di certi politici e di certi personaggi televisivi di non essere qualificati per ciò che sono – quelli, per capirci, che ritengono un’insopportabile violenza una semplice domanda su cosa pensino del fascismo, neanche si trattasse di deadnaming – e alcuni eccessi dei loro acerrimi nemici della cosiddetta cultura woke.
Forse però c’è un’altra spiegazione, più semplice e più spaventosa, che combacia con i dati sopra riportati. E cioè che a una parte crescente delle società occidentali, sebbene per fortuna non ancora maggioritaria, le posizioni della destra radicale appaiano sempre più come senso comune, pura e semplice ragionevolezza. Non come una pericolosa minaccia estremista, dunque, ma come le tipiche idee di ogni buon padre di famiglia. Di qui l’autocollocazione nel campo dei centristi e dei moderati, da cui nella realtà non potrebbero essere più lontani.
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