Alla fine non è finita sotto i trattori, ma per evitare l’ira degli agricoltori si è dovuti scendere a più di un compromesso. La Nature restoration law (Nrl) è stata approvata dal Parlamento europeo martedì 27 febbraio. Un esito non scontato, frutto di diverse modifiche accusate di avere annacquato la portata di una legge comunque ambiziosa e che punta a ripristinare almeno il venti per cento delle aree terrestri e marine dell’Unione europea entro il 2030 e tutti gli ecosistemi degradati entro il 2050.
Il viaggio della Nature restoration law è iniziato nel 2022 quando la Commissione europea ha deciso di presentarla. Si tratta di uno dei pilastri del discusso Green deal europeo, un piano che punta a rendere sempre più sostenibile e meno inquinante il sistema economico-sociale che sorregge l’Unione europea. La necessità di intervenire per il ripristino delle aree danneggiate dalle attività umane era sotto gli occhi di tutti: oltre l’ottanta per cento degli ecosistemi europei versa infatti in condizioni preoccupanti.
Ma se sul problema c’è sempre stato un generale consenso politico, è sulla soluzione che sono fin da subito iniziate a sorgere delle forti polemiche. Polemiche che sono esplose negli ultimi mesi. Soprattutto dopo la rivolta degli agricoltori che hanno invaso le strade di diverse città europee, a iniziare da Bruxelles, per protestare contro molte misure comunitarie e nazionali accusate di danneggiare tutto il settore produttivo alimentare dell’Ue. Tra i piani più criticati c’è proprio il Green deal. E la Nature restoration law in particolare.
Risanare gli ecosistemi significa infatti intervenire anche sulle attività degli agricoltori che vi operano, finendo in molti casi con l’imporre nuovi limiti mal sopportati dai lavoratori del settore agroalimentare. E in un clima del genere, con le elezioni europee alle porte, calcare troppo la mano non era interesse di nessun partito.
Ecco allora che nel testo approvato dal Parlamento europeo sono state inserite diverse eccezioni per cercare di tranquillizzare il mondo agricolo. Per esempio, gli obblighi di ripristino per le colture agricole sono diventati più flessibili: non saranno valutati sui risultati, ma sugli sforzi compiuti. Inoltre gli Stati membri potranno implementare autonomamente le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla legge e avranno facoltà di sospenderli nel caso in cui entrino in contrasto con la produzione agricola nazionale. Un’altra modifica che parla al mondo agricolo è l’introduzione della sicurezza alimentare come obiettivo della Nature restoration law. Infine il ripristino delle zone umide – le cui percentuali sono state abbassate – è diventato volontario per agricoltori e proprietari terrieri.
Non è la prima volta che l’Unione europea rivede al ribasso i propri obiettivi ambientali. Già nel novembre scorso il Parlamento europeo aveva approvato diverse modifiche accusate di ammorbidire troppo l’audace piano presentato dalla Commissione europea per limitare l’impatto ambientale degli imballaggi. Modifiche che avevano trovato il plauso dei governi di centrodestra, a iniziare da quello italiano, e scatenato invece le proteste degli ambientalisti.
Nel caso della Nature restoration law le modifiche non sembrano essere state finora sufficienti a far trovare una convergenza. Il Partito popolare europeo, primo gruppo all’Europarlamento e casa delle formazioni politiche del centrodestra europeo, ha infatti votato contro, pur riconoscendo come la legge sia molto meno radicale e assomigli «poco alla versione originale». La scelta non ha convinto tutti i membri del Ppe e alcuni hanno votato comunque a favore, aiutando la legge a passare con trecentoventinove voti favorevoli e duecentosettantacinque contrari. La Nature restoration law è stata invece sostenuta fino all’ultimo dagli eurogruppi di sinistra e ambientalisti e sarà ora votata dal Consiglio dell’Unione europea.
La posizione del Ppe non è comunque da sottovalutare. Soprattutto perché ha visto gli eurodeputati popolari votare insieme ai loro colleghi di estrema destra. Le elezioni di giugno si avvicinano e se questa situazione dovesse ripetersi, con nuovi numeri, potrebbe portare al blocco di nuove iniziative legislative legate al Green deal. Anche se annacquate.