Si vis pacem, para bellum. Se vuoi la pace preparati alla guerra, dicevano gli antichi romani. E la Polonia sembra aver fatto sua questa antica locuzione latina, in un momento storico in cui la sua sicurezza torna a essere minacciata. L’evoluzione degli eventi in Ucraina obbliga a chiedersi cosa potrebbe accadere se le cose andassero davvero male: Putin si fermerà? Quali saranno i suoi prossimi obiettivi?
Sono domande che nelle ultime settimane hanno guadagnato spazio nel dibattito pubblico polacco, e trovano ragione d’esistere in numerosi segnali, non ultima l’intervista concessa dal dittatore russo a Tucker Carlson. Nella corposa introduzione, Putin si è avventurato in una lunga quanto fantasiosa ricostruzione storica in cui alla Polonia è stato concesso ampio spazio, troppo per essere considerato un caso. Tra i punti più notevoli, quelli secondo cui la Polonia avrebbe in qualche modo costretto Hitler ad attaccarla, dando così inizio alla Seconda guerra mondiale. La mole di disinformazione è stata tale da indurre il ministero degli Esteri di Varsavia a smontare una per una le accuse.
I corsi e ricorsi storici sono d’altra parte uno dei motivi per cui la Polonia teme l’imperialismo russo. I due Paesi si sono scontrati svariate volte nell’arco dei secoli, e la forza russa si è rivelata spesso soverchiante. Al di là della storia, c’è una guerra che si sta combattendo e che la Polonia sta vivendo da protagonista fin dal primo giorno. Ma proprio per questo la espone a rischi maggiori rispetto ad altri. «Siamo in prima linea e dobbiamo renderci conto che la pressione è costante – spiega Jacek Raubo, responsabile del dipartimento di analisi strategica per il sito specializzato Defence 24 – veniamo presi di mira perché rappresentiamo la principale minaccia alla loro aggressione contro l’Ucraina. Dall’hub logistico di Rzeszów è stata inviata all’Ucraina buona parte dell’assistenza militare. Le nostre ferrovie e autostrade sono importanti e persino cruciali per il sostegno strategico degli ucraini. E anche i campi di addestramento polacchi sono vitali per il processo di addestramento delle forze di Kyjiv».
Come si sviluppa la minaccia
Uno degli scenari da prendere in considerazione è la destabilizzazione attraverso operazioni ibride, di disinformazione, e psychological operations. La Polonia è già da anni un obiettivo di Mosca. Nell’autunno del 2021, la crisi migratoria orchestrata con il regime bielorusso può essere considerata una false flag per distrarre il mondo dall’ammassamento di uomini e truppe al confine con l’Ucraina.
L’anno scorso, il dislocamento degli uomini della Wagner proprio in Bielorussia, dopo il fallito putsch di giugno, rappresentò un’altra operazione di interferenza e di pressione. «Sta aumentando il numero di incidenti con i servizi segreti russi, Gru o Sr o Fsb stanno cercando di costruire una sinergia contro di noi. Le loro azioni possono concentrarsi sul reclutamento di alcuni agenti per monitorare, ad esempio, i trasporti, oppure possono anche utilizzare alcuni strumenti informatici per destabilizzare siti web o database polacchi o paralizzare le comunicazioni».
Entrando nel dettaglio, Raubo sottolinea come i russi, oltre ai servizi dell’intelligence, possano utilizzare la cyber force e i gruppi Apt (Advanced Persistent Threat) anche se «non esiste un solo scenario in cui possiamo affermare con certezza che la Russia ci attaccherà. Penso che ci sia sempre una sorta di relazione bilaterale tra la Russia e la Nato. Rafforzando la nostra capacità di deterrenza possiamo far desistere il regime del Cremlino dal pensare di utilizzare la forza miliare contro di noi. Ma senza deterrenza dobbiamo preparare di più la difesa e così ci troviamo nella situazione in cui dobbiamo spiegare ai nostri cittadini che il confronto militare è sul tavolo».
L’importanza della deterrenza
La deterrenza anti russa passa attraverso due livelli. Il primo è quello nucleare. Negli ultimi anni la Russia ha insistito molto – e continua a farlo – sul fatto di essere una potenza atomica. Anche la Nato è un’alleanza che può contare su grande arsenale nucleare e questo dovrebbe essere il primo livello di deterrenza. Il secondo, come spiega Raubo, è quello che si basa sull’ampliamento degli eserciti, sull’aumento del numero di riserve, sull’aumento della qualità e della quantità delle forze militari, delle scorte di munizioni. Oltre ovviamente alla collaborazione all’interno dell’alleanza occidentale.
«Qui in Polonia possiamo riconoscere l’importanza di questo livello osservando ad esempio la serie di esercitazioni e manovre Stadfast Defender 24 di cui Dragon 24, che si svolge in Polonia, fa parte. È importante perché siamo costruendo interoperabilità tra i diversi membri della Nato. Quando pensiamo alla minaccia russa dovremmo immaginare un’economia di guerra perché i russi ce l’hanno già. Stanno programmando la propria aggressività non solo per un anno. La stanno programmando per cinque, dieci anni da adesso. Dobbiamo fare lo stesso».
Da dove potrebbe arrivare l’attacco
Pensare a un attacco russo presuppone interrogarsi su dove ciò potrebbe avvenire. Il punto più sensibile rimane sempre quello del corridoio di Suwałki, la striscia di terra al confine tra Polonia e Lituania che separa l’oblast russo di Kaliningrad e la Bielorussia, ormai da tempo uno Stato vassallo di Mosca.
Karolina Muti, responsabile ricerca sicurezza e difesa allo Iai (Istituto Affari Internazionali), lo identifica come il punto più conveniente per far partire un attacco terrestre, grazie alla conformazione del territorio polacco: «La Polonia è un territorio di vaste pianure che si estendono dal mar Baltico ai Carpazi. Dal punto di vista geopolitico e militare questo è stato spesso considerato come il punto debole della Nato. Attaccare il corridoio di Suwałki con una manovra congiunta da Kaliningrad e Bielorussia significherebbe isolare gli stati baltici e la Polonia. Bisogna però dire che le valutazioni di Mosca potrebbero essere cambiate dopo l’ingresso della Finlandia e della Svezia nell’Alleanza Atlantica, che hanno reso preponderante la presenza della Nato nell’area del Baltico. La convenienza di un attacco terrestre in quel punto, tuttavia, rimane».
Il riarmo
Proprio per non farsi trovare impreparata, la Polonia da qualche anno sta procedendo a una massiccia campagna di riarmo, con una vasto riassortimento del proprio parco militare, e l’investimento nella creazione di uno degli eserciti di terra più numerosi d’Europa, il cui obiettivo è quello di raggiungere le trecentomila unità. Jacek Raubo delinea così il quadro della situazione: «in questo momento stiamo colmando per lo più alcune lacune tecnologiche nelle nostre forze armate. Ad esempio, stiamo investendo molti soldi nel rafforzamento della difesa aerea e missilistica. Questo è importante non solo per la Polonia, ma anche per la Nato e per il suo fianco orientale. Si va a creare una sinergia tra i missili Patriot e altri sistemi come i Camm britannici e i Manpads polacchi».
Una parte del programma di riarmo deve essere intesa come parte di una modernizzazione a lungo termine, per sostituire armamenti risalenti ancora all’epoca sovietica. Un’altra parte invece è legata alla necessità di coprirsi dal rischio di un attacco nel breve termine. «Il programma di riarmo è molto costoso, ma deriva da una programmazione di modernizzazione a lungo termine – spiega Raubo – D’altro canto, stiamo portando avanti alcune azioni ad hoc nel contesto della nostra assistenza militare all’Ucraina e della nuova realtà sul fianco orientale. Ecco perché investiamo nell’acquisto di numerosi carri armati Abrams dagli Stati Uniti e dei Black Panther dalla Corea del Sud. Inoltre dobbiamo aumentare anche i veicoli da trasferimento della fanteria e i veicoli da combattimento Borsuk».
Se la Polonia può contare su un esercito terrestre di buon livello, su un’aeronautica che ha rinnovato il proprio il parco aerei e su uno dei sistemi di cyber defence più avanzati d’Europa, rimane ancora del lavoro da fare per quanto riguarda la Marina, che necessita una decisa rimodernizzazione. Inoltre gli occhi sono puntati sulla logistica: «L’Ucraina ci insegna che la guerra non è un attacco breve contro un nemico simmetrico. Dobbiamo avere la capacità di rinforzare e portare a condizioni migliori le nostre forze sul campo di battaglia a lungo termine, con il numero di carri armati, con il numero di obici e di aeroplani e questo è un compito molto difficile. In Polonia ad esempio avremo a che fare con tre diversi tipi di carri armati: i Leopard, gli Abrams e i K2 Black Panther, e questo richiede un grande lavoro per la logistica».
Il ruolo nella Nato
Un altro aspetto, di non secondaria importanza, è quello del ruolo che la Polonia è riuscita a ritagliarsi nella Nato negli ultimi anni. Un ruolo di primo piano che potrebbe presto essere ripagato in termini di cariche importanti quando si andrà a scegliere il nuovo segretario generale dell’Alleanza Atlantica. Qualche giorno fa la versione cartacea del quotidiano Dziennik Gazeta Prawna indicava come la Polonia, in cambio del sostegno all’olandese Mark Rutte, sia intenzionata a chiedere il ruolo di vice, attualmente appartenente al romeno Mircea Geoaña.
«Secondo me questo è alla portata della Polonia – commenta Karolina Muti – Dipende da come si svilupperà la partita. Una posizione apicale coronerebbe la sua posizione nella Nato considerando anche l’importanza strategica assunta nel contesto della guerra. Non mi stupirebbe se una Nato che sta guardando molto più ad est in qualche modo premiasse i Paesi baltici e la Polonia. Qui però entrano in competizione un po’ tutti. Questo ad esempio potrebbe essere uno scenario se Rutte riuscisse a spuntarla superando il veto di Viktor Orbán. Se però la carica di segretario generale dovesse essere ottenuta dall’estone Kaja Kallas, avere un vice di un paese centro-orientale sarebbe più difficile. In ogni caso, rimane la questione del raggiungimento di un consenso di massima tra gli alleati, per nulla scontato.
Grandi aspettativi ci sarebbero anche per la Allied Joint Force Command a cui attualmente si trovano a capo l’italiano Guglielmo Luigi Miglietta, lo spagnolo Luis Lancharres e il francese Jean-Pierre Perrin. I cambiamenti per queste posizioni sono attesi per il prossimo anno e la Polonia si aspetta che vengano sostituite da un tandem polacco-tedesco a causa della situazione sul fianco orientale della Nato.
Governo e società civile
Da dicembre 2023, la Polonia ha un nuovo governo, di colore diverso da quello precedente. Il tema della sicurezza è stato utilizzato in campagna elettorale, sia dai conservatori di PiS, usciti sconfitti alle urne, sia dalla coalizione centro liberal progressista che oggi detiene la maggioranza. L’avvicendamento alla guida della difesa porterà dei cambiamenti? «Secondo me vedremo sia continuità che alcune differenze – afferma Karolina Muti – Il cambiamento sarà nell’organizzazione della crescita sia delle forze armate in termini numerici che dei nuovi acquisti. Verrà utilizzato un approccio diverso verso le forze armate, più apolitico rispetto al precedente governo, e ci sarà un rafforzamento del controllo dello stato maggiore sulle forze di difesa territoriale. Vedremo continuità sull’aumento del numero di personale dell’esercito e della spesa della difesa. L’asticella posta dal vecchio governo è molto alta con la spesa oltre quattro per cento del Prodotto interno lordo. Il primo ministro Tusk ha dichiarato che non ci sarà una riduzione, semmai potremmo vedere una revisione e un rallentamento in alcune ambizioni in termini di acquisti per renderli più sostenibili economicamente. Inoltre il nuovo governo ridarà priorità alla cosiddetta difesa e resilienza civile per preparare la popolazione nei casi di catastrofi interne con un forte impatto sulla popolazione civile».
La preparazione della società a una possibile guerra è la maggior sfida che un paese è chiamato ad affrontare. Secondo Jacek Raubo, «quando pensiamo al campo non militare di preparazione allo scenario di guerra, parliamo del pericolo e della più grande sfida strategica per il nuovo governo. La protezione civile è il punto più debole della politica in questo momento. Dobbiamo investire di più nella sinergia tra elezioni governative, imprese, comunicazione con il mondo imprenditoriale, per avere risorse per colmare questo divario, e anche nelle Ong, nel sistema educativo, su come preparare i civili a questo scenario».
L’analista continua: «Penso comunque che i cittadini polacchi siano particolarmente aperti proprio perché viviamo dove viviamo. Il 2022, e il forte legame che si è creato con gli ucraini che sono arrivati qui, ci insegna che non dobbiamo essere preparati solo a inviare truppe sul campo di battaglia, ma anche a proteggere le città dagli attacchi aerei e i cittadini e alla disinformazione. Questo è un nuovo capitolo che stiamo scrivendo adesso. Il nuovo governo sta enfatizzando questo aspetto perché questa è anche la strategia della Nato. La resilienza, la deterrenza e la preparazione civile sono qualcosa che sta al centro della strategia, perché i combattenti e i soldati devono combattere, i civili devono essere sicuri e non possiamo permetterci di avere luoghi non sicuri dietro le nostre linee».