«In termini di repressione contro i tatari di Crimea, Putin sta concludendo la politica di Stalin. Ma il motto della Crimea senza tatari era già stato annunciato dall’imperatrice Caterina II». Così denuncia in una intervista Refat Chubarov, il leader dei tatari di Crimea. Una drastica messa a punto rispetto a quel mito che «la Crimea è sempre stata russa» ripetuto dalla propaganda putiniana e da chi la echeggia. In realtà, no. Nel corso dei millenni la Tauride degli antichi fu via via terra di sciti e sarmati; un regno greco, per un po’ cliente dell’Impero Romano; area di insediamento dei goti, la cui lingua fu parlata nella penisola fino al XVII secolo; territorio conteso tra i bizantini, il regno ebraico dei Cazari, i popoli turchi dei Peceneghi e Cumani e la Rus di Kyjiv; colonia genovese; infine dal 1427 sede un Khanato di Crimea che fu annesso alla Russia solo nel 1784.
Etnia maggioritaria ne erano i tatari: popolo di lingua turca e religione musulmana in cui erano confluiti altre etnie precedenti, e che continuò a tollerare varie minoranze. In particolare greci, armeni ed ebrei. Ma nel 1785 erano loro l’84,1 per cento della popolazione. Risultarono ancora l’87,6 per cento al censimento del 1795, l’85,9 nel 1816, l’83,5 nel 1835, il 77.8 nel 1850, il 50,3 nel 1864. Solo al censimento del 1897 scesero a meno della metà, ma risultando comunque ancora più dei russi: 35,55 contro 33,11 per cento. Col regime sovietico la colonizzazione aumenta: 42,2 di russi contro 25,1 di tatari nel 1926; 49,6 contro 19,4 nel 1939. Ma non ce ne è più uno nei censimenti del 1959 a 1970, dopo che Stalin ha dato l’ordine di deportarne in Uzbekistan 191.044: una pulizia etnica che Armata Rossa e Nkvd compirono in tre giorni tra 18 e 20 maggio 1944, portando via donne, bambini e anziani su carri bestiame.
Quella storia arrivò anche all’Eurofestival, con la canzone che vinse l’edizione del 2016. Presentata per l’Ucraina dalla tatara di Crimea Jamala, col testo in inglese e in tataro di Crimea, nella melodia sono presenti sia il tipico strumento a fiato armeno duduk che lo stile mugham tipico della tradizione musicale azera, mentre il ritornello proviene dalla canzone popolare tatara Ey güzel Qırım, «Oh bella Crimea». Jamala disse di essersi ispirata alla storia della bisnonna Nazylchan, fuggita all’età di venticinque anni dalla deportazione con i suoi quattro figli, una dei quali è morta durante il viaggio. «Mentre mi stavo preparando per la performance, ho ascoltato i brani della colonna sonora di Schindler’s List, e ho sperato che la mia canzone potesse avere lo stesso potere», spiegò. «Quando arrivano gli stranieri/ Arrivano a casa tua/ Uccidono tutti/ E dicono/ Non siamo colpevoli/ Non colpevoli».
Mentre altri popoli deportati da Stalin nel 1944 poterono ritornare in patria già nel 1956, salvo rare eccezioni tatari di Crimea ebbero il permesso solo nel 1989, a Urss ormai moribonda. A quel punto la popolazione tatara di Crimea risalì fino alle duecentosettantamila unità: dallo 0,2 per cento del 1979 passarono al’1,6 per cento degli abitanti della Penisola nel 1989, 10,8 del 2001, 12,6 del 2014 e 12,7 del 2021. Nel 1991 fu convocato il secondo Kurultaj, parlamento nazionale, e costituito un sistema di autogoverno nazionale dei tatari di Crimea. Le elezioni al Kurultaj, coinvolgenti tutta la popolazione tatara, sono previsti ogni cinque anni. Dal Kurultaj deriva come organo esecutivo il Mejlis del Popolo Tataro di Crimea. Ma lo stesso Mejlis è stato messo fuori legge da Mosca nel 2016 per «l’uso di propaganda di aggressione e odio verso la Russia, incitando al nazionalismo etnico e all’estremismo nella società» e indicato come organizzazione estremista due anni dopo l’annessione russa del 2014 Crimea. Nell’aprile 2017, la Corte internazionale di giustizia ha emesso la sua ordinanza sulla richiesta di indicazione di misure provvisorie, secondo le quali la Russia deve revocare il divieto. La Russia lo ha ignorato, ed ha rifiutato di conformarsi alla decisione della Corte. Refat Chubarov è appunto il presidente del Mejilis.
Chubarov denuncia che Putin ha addirittura ampliato la politica di pulizia etnica di Stalin, perché non è più diretta solo contro i tartari ma anche contro i Tatari. A Vienna per incontrare i diplomatici occidentali dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), ha avvertito che i tartari «stanno esaurendo il tempo» e che non può sapere per quanto tempo potranno sopportare l’attuale livello di repressione, poiché «non si sa cosa abbia in mente Putin». «Se Stalin aveva un potere illimitato, Putin ha un potere assoluto».
La maggioranza dei trecentomila tatari ha boicottato il referendum con cui la Russia ha tentato di legittimare l’annessione della penisola. Nato nel 1957 a Samarcanda, oggi Uzbekistan, perché la sua famiglia era stata deportata lì da Stalin, il leader tartaro vive ora a Kyjiv, dove è fuggito dopo aver protestato contro l’annessione russa della Crimea nel 2014. «Surgun» è il termine tataro per indicare la deportazione di centinaia di migliaia di tatari nel 1944, dopo che Stalin li accusò di collaborare con le forze naziste. A questo proposito, il leader tataro assicura che se allora i tatari vennero deportati in tre giorni, oggi tutto potrebbe andare ancora più velocemente.
Secondo Chubarov, Putin continua le politiche repressive dell’ex Russia zarista e dell’Unione Sovietica per diluire la popolazione tatara e sopprimere la loro identità collettiva. Per raggiungere questo obiettivo, Mosca ha intensificato la repressione nei confronti dei tatari, con l’obiettivo di farli emigrare. Dal 2014 Putin ha inoltre spostato popolazione russa nel territorio, per modificare la composizione etnica della penisola. «Dall’annessione illegale della Crimea nel 2014, la Russia ha trasferito circa un milione dei suoi cittadini nella penisola», afferma. Il leader tataro denuncia anche che due terzi dei centonovanta prigionieri politici in Crimea sono tatari, e che la repressione è peggiorata dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.
La resistenza interna, riconosce Chubarov, è limitata dall’occupazione russa, e la comunità internazionale ha poche opzioni per intervenire: con l’eccezione, forse, della Turchia, che ha mediato per ottenere lo scambio di prigionieri. Nonostante tutto, il leader tataro è contrario a un negoziato di pace con la Russia perché, a suo avviso, contribuirebbe solo a instaurare il potere di Mosca e la repressione nelle zone occupate. «Non ci sono politici o cittadini ucraini che vogliono negoziati con la Russia o un accordo di pace con la Russia», dice. Il leader tataro suggerisce che il «mondo civilizzato» debba decidere se vuole una sorta di pace con Putin, anche dopo il suo comportamento durante la guerra, o se sceglie di «rimanere fedele ai valori stabiliti in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale». «La questione è se stiamo parlando del diritto alla forza o della forza del diritto, della legge».
La guerra che Putin ha scatenato contro l’Ucraina punisce anche le minoranze all’interno della Russia. Ad esempio i Buriati, che affrontano una mortalità sproporzionata, poiché il reclutamento per la guerra è più intenso nelle zone più povere della Russia, dove si concentrano numerosi gruppi etnici. In questo senso Chubarov afferma che molti appartenenti alle minoranze che combattono contro l’Ucraina non lo fanno per convinzione, ma perché è l’unico modo per fare soldi. Chubarov ritiene che Mosca utilizzi il conflitto per indebolire le minoranze nazionali russe, «uccidendo le generazioni più giovani in alcuni territori in guerra». «Questa guerra è uno strumento specifico per risolvere i problemi interni russi e rafforzare l’autorità russa e lo sciovinismo etnico», conclude il leader tataro.