Dell’opportunità di bere a casa nelle occasioni speciali si parla almeno da dieci anni, dapprima per effetto della crisi economica, che ha reso di moda in tutto il mondo risparmiare optando per il Capodanno casalingo, poi a causa del Covid e dell’impossibilità di frequentare i locali pubblici. E se durante la pandemia c’è chi si è inventato il cocktail ready-to-drink già miscelato in busta, in lattina o in boccetta – Nio Cocktails per citare uno dei più diffusi – o ha ripiegato sull’asporto, c’è invece chi ha colto l’opportunità per reinventarsi. Sono nati così app e account social (come Cocktails, One drink a day, Guerilla mixology) su cui esperti del settore conducono video lezioni, webinar e tutorial per insegnare a preparare drink a regola d’arte da servire agli ospiti in salotto.
Per esempio nel maggio 2020 il sito Coqtail Milano ha organizzato un ciclo di dirette Instagram per imparare dai barman come preparare drink a base di tequila (in collaborazione con un brand che avrebbe fornito un kit omaggio a chi avesse fatto un acquisto online) e un video seminario dedicato ai cocktail futuristi. Nello stesso periodo Julian Biondi ha firmato per la Florence Cocktail Week il format di ricette Cocktail in quarantena su YouTube, lo store di Condé Nast Frame ha lanciato su Instagram la rubrica Fashion on the rocks dedicata ai drink, il sabato pomeriggio, e la piattaforma Acadèmia (una sorta di Netflix delle lezioni di cucina) ha ospitato il corso del bartender Flavio Angiolillo, creatore dello speakeasy milanese 1930.
Come hanno fatto prima di loro gli chef, di recente anche molti bartender si sono ritagliati un ruolo da star. Contemporaneamente, ci sono stati professionisti che hanno scelto di intraprendere un percorso inesplorato, dedicandosi a una nuova nicchia della miscelazione e declinando in un format tutto nuovo il concetto di bar. È nato così il fenomeno dell’home bartending, che non ha nulla a che vedere con il delivery né con il catering, ma che punta a reinterpretare e trasferire in un contesto familiare il significato esperienziale dello stare al bancone.
Tra questi c’è Mirko Scorteccia aka @gente.da.bar, che nel 1995 lascia il Gruppo Sportivo Esercito per dedicarsi alla sua passione e farne una professione: «Ho iniziato facendo il garzone da bar, poi ho frequentato i corsi di specializzazione Aibes (ha anche partecipato a vari concorsi e gare, e collezionato tre vittorie ai campionati italiani, sette finali europee con due secondi posti, e la finale mondiale a Malaga nel 2001, ndr) e per venti anni ho viaggiato in Italia ed Europa, collezionando esperienze anche presso location prestigiose» come l’Hotel Cristallo di Cortina d’Ampezzo e il Billionaire di Porto Cervo.
Nel 2015 è tornato in patria, a Terni: «Ho voluto mettermi alla prova in una cittadina che, apparentemente, non aveva molto da offrire, e ho aperto ZezzegA, un ristorante e cocktail bar con focus sul food pairing e, nel frattempo, ho portato avanti un’attività di bar-catering per matrimoni e altri eventi privati e aziendali». Proprio questo impegno collaterale si è rivelato provvidenziale durante le restrizioni imposte con il Covid, e dopo la fine dell’emergenza si è trasformato nella sua attività principale.
«Non è un semplice servizio di catering, ma un impegno a portare il concetto di bar direttamente a casa delle persone: il mio compito quindi non si limita a preparare buoni drink restando dietro le quinte, ma consiste nel creare esperienze uniche che prendono forma tra la cucina e il salotto del cliente e lo coinvolgono insieme ai suoi ospiti». In più, con la compagna (e collega) Valentina Scuotto, Mirko ha creato il suo home cocktail bar: un vero e proprio speakeasy in stile anni Trenta, con arredo vintage nella loro casa a Milano. «Per noi è una sorta di parco giochi in cui divertirci; per i clienti un luogo in cui sperimentare il piacere di uscire con in più la possibilità di sentirsi più coccolati di quanto lo sarebbe in qualsiasi comune locale, e la consapevolezza di star vivendo un’esperienza esclusiva in un ambiente unico nel suo genere».
Come funziona l’home bartending? Tutto parte dalla consapevolezza che entrare a casa delle persone implica una prima grande responsabilità: «Nel momento in cui mi apre la sua porta e mi affida la sua cucina (oltre che i suoi ospiti!), il cliente compie un grande atto di fiducia. Per questo oltre a preparare dei drink buoni e adatti alla situazione, sono molto attento ad avere cura del suo spazio. […] C’è poco margine di errore; basta una mossa sbagliata per rovinare una serata, per trasformare un’occasione speciale in un brutto ricordo. Per questo cerco sempre di arrivare preparato all’imprevisto».
Lavorare a domicilio prevede che tutto sia costruito su misura in base alle richieste del cliente, a partire dalla drink list. Alla domanda se l’home bartender sarà il futuro della miscelazione, Mirko risponde che «l’atmosfera e il ruolo sociale del bar in quanto luogo di evasione e incontro non sono sostituibili» perché fanno parte della cultura italiana, come ha dimostrato l’immediata ripresa del settore dopo le chiusure forzate imposte durante la pandemia: «Le persone non vedevano l’ora di tornare a incontrarsi in pubblico, davanti a un bancone. E a questo format di fruizione del buon bere non rinunceranno mai. La possibilità di replicare l’esperienza anche a casa, con un bartender professionista tutto per sé per qualche ora, rappresenta qualcosa di diverso, un di più esclusivo da riservare a qualche occasione per renderla memorabile».
Una tendenza della miscelazione da assecondare dunque, ma che comunque trae la sua linfa vitale da quella pubblica, più accessibile e facile da condividere.
Credits Jia Jia Shum e Nick Fewings