Dale Lawrence, classe 1988, è una delle giovani promesse dell’arte sudafricana, considerata la nuova Eldorado dell’arte contemporanea mondiale, il luogo dove si può vivere d’arte anche a trent’anni. Fondatore dello studio creativo Hoick di Città del Capo, si è fatto notare grazie alla sua pratica artistica che riflette una visione della creatività come elemento fondamentale e addirittura “sacro” della condizione umana. Nel suo lavoro, Lawrence esplora momenti di intimità e invenzione, rompendo i processi ripetitivi sia nell’ambito della maestria artistica che nella vita quotidiana, nel linguaggio familiare e nelle narrazioni. La sua pratica abbraccia una fusione di mezzi espressivi, tra cui stampa, performance, scultura, installazione e testo, sfumando abilmente i confini tra di essi.
Attraverso nuove opere create mediante la lacerazione di quelle invendute o la ricreazione della Tragedia Civile di Kounellis (1975) utilizzando pacchetti di patatine, Lawrence si pone l’obiettivo di individuare il valore e l’origine di un’opera d’arte e del suo “creatore”. L’artista esplora momenti di novità nei comportamenti ripetitivi, sia nelle azioni meccaniche della maestria che nei rituali quotidiani, nelle storie familiari e nelle consuetudini dell’industria artistica stessa. In tal modo, indaga le complessità connesse ai concetti di valore, finalità, intento, lavoro, produttività e autenticità. La sua ricerca artistica è approdata recentemente anche in Europa attraverso alcune fiere, tra cui Artissima 2023 grazie al lungimirante supporto della Galleria RESERVOIR di Cape Town. Continuando un percorso di “talent” scouting tra i giovani artisti africani, abbiamo voluto intervistarlo.
Quando e perché hai deciso di diventare un artista?
Sin da bambino trascorrevo ore a disegnare e ho sempre sperato di intraprendere una carriera creativa. Quindi da sempre ho voluto essere un artista. Dopo la scuola, ho deciso di studiare direzione artistica e grafica. Sono stato influenzato dai miei docenti, che erano artisti praticanti di notte e artisti nel cuore: Charles Maggs, Elsabe Milandri e Connor Cullinan. A loro devo molto e così ho proseguito gli studi artistici dopo la laurea e ho iniziato a creare ed esporre arte in modo indipendente.
Com’è essere un giovane artista in Sudafrica?
Attualmente c’è molto lavoro potente che emerge dal paese, con una forza che sembra rara in molti altri luoghi. Infatti, in questi anni c’è stato un aumento significativo di persone che vivono e che guadagnano la maggior parte del loro sostentamento attraverso il loro lavoro artistico: è fantastico! Dopo il lockdown, sembra esserci addirittura una rivitalizzazione della scena artistica qui a Città del Capo, con numerosi spazi indipendenti e progetti che iniziano, molti dei quali operano in modo aperto e collaborativo.
Quello che dici è sorprendente, soprattutto se si paragona al nostro scenario italiano, in cui la quasi totalità degli artisti deve avere un secondo o terzo lavoro per mantenersi. Io però intendevo se l’Africa e il Sud Africa come Paese e cultura influiscono e impattano sul tuo lavoro?
Ti stupirà ma più della storia recente del mio paese, ultimamente, sono molto interessato alla preistoria della zona specifica in cui vivo: la penisola del Capo, a sud di Città del Capo. La ricca storia umana del Capo precede l’insediamento europeo, con caverne vicine che contengono resti sepolti di persone vissute quasi diecimila anni fa. La storia umana è stata influenzata dalla risalita del livello del mare, rendendo gran parte di quella storia sommersa. Ciò mi rende consapevole della temporaneità delle situazioni e di come il paesaggio sia in continua evoluzione.
È la temporaneità del vivere il messaggio della tua arte? Perché ogni tua opera si distingue per un’estetica molto minimalista e “fusion”: come combini, perciò, gli elementi estetici con il gesto e un messaggio sociale?
Per me estetica e contesto sono sempre intrecciati. Cerco di capire perché un’estetica mi attrae e cosa la sua esistenza o apparenza suggerisce che voglio di più nella mia vita. Inoltre, non penso che nel mio lavoro ci sia un messaggio sociale predefinito. A volte possono emergere, ma sono intrinseci agli argomenti con cui lavoro. Mi assicuro che gli argomenti con cui lavoro (materiali, parole, immagini, gesti) siano cose familiari che fanno parte della mia vita quotidiana. La mia arte racconta me in primo luogo.
Il gesto ripetuto sembra essere al centro del tuo lavoro. Scrivi anche degli aspetti ritualistici: l’arte è la religione contemporanea o una sua forma?
Hai ragione, l’arte è sicuramente per me un modo per impegnarmi, capire e apprezzare il mondo, in modo simile alla religione. Lavoro su diversi media che in qualche modo si completano, consentendomi di operare in modalità e pensieri differenti. Gli elementi materiali del mio lavoro sono recentemente stati fortemente stratificati, con l’applicazione manuale di nastro adesivo, carta o grasso animale fino a conferire a questi materiali effimeri una qualità litica. Il lavoro è molto meditativo e richiede lunghe ore di lavoro ripetitivo.
Hai una tecnica specifica a cui sei più legato? Fai tutto da solo?
Non direi: la creazione di testi e video è molto diversa dalla stratificazione del nastro adesivo. Associo frasi che risuonano, spesso utilizzando una parola o frase scelta come punto di ingresso per cercare di comprendere ciò che sto leggendo da un punto di vista diverso. Per me, è quasi come un’archeologia, scavando verticalmente attraverso strati di tempo, scoprendo momenti sovrapposti senza mai vedere l’intera immagine. Perciò forse, a ben pensarci, più che il gesto ripetuto in sé alla base c’è questa stratificazione, che è un comune denominatore al mio lavoro e che esploro con diverse tecniche, alla cui base c’è la ripetizione. In ogni caso non c’è un apparato teorico così preciso a priori: cerco di essere aperto a scoperte e incidenti.
Ci sono delle opere che hanno fatto la differenza nella tua carriera?
Da anni faccio l’artista, ma credo che dopo la pandemia il mio lavoro sia arrivato alla maturità. Il 2021 è l’anno di Ends and Beginnings. Dopo un incendio sulla Table Mountain che aveva raggiunto la biblioteca dell’Università di Città del Capo bruciando oltre mille libri. Ho perciò raccolto e macinato le ceneri delle piante carbonizzate. Ho poi unito la polvere con pigmento nel grasso di mucca, fissandole in un semplice quadrato nero. La superficie ha un aspetto di pietra, simile a marmo o calcare, ma registra anche bei dettagli – tratti di texture burrosa e fini grani cristallini di carbonio.
Questa tipologia di lavoro di creare una lastra simil pietra attraverso l’aggregazione è alla base anche di un altro lavoro Someday (It May Be Tomorrow) del 2023, quello che forse reputo il mio lavoro migliore. Si tratta di un trittico costituito da quelle che potrei definire “lastre” realizzate attraverso migliaia di strati di nastro adesivo trasparente, applicati uno sopra l’altro, che alla fine hanno il peso e l’aspetto della pietra. Ogni lastra contiene oltre dodici chilometri di nastro e pesa più di trenta chilogrammi. Incorporato in ognuna di esse c’è un foglio con una lista di frasi che inizia con «Non ci sarà più…». Le frasi sono tutte trovate, provenienti da articoli di giornale, ricerche su internet e testi di canzoni (molti dei quali testi gospel).