Il secondo turno delle elezioni presidenziali slovacche ha sancito la vittoria di Peter Pellegrini, ex primo pinistro ed esponente della coalizione euroscettica e russofila del premier Robert Fico, sull’ex ministro degli esteri ed europeista Ivan Korcok, appoggiato dal partito di centrodestra Libertà e Solidarietà. Pellegrini, a scrutinio quasi ultimato, può contare sul 53,26 per cento dei voti contro il 46,73 ottenuto dallo sfidante. L’euroscettico è riuscito a ribaltare il risultato sfavorevole del primo turno in cui aveva prevalso Korcok, che probabilmente era stato determinato dalla dispersione dei voti degli elettori nazionalisti che avevano appoggiato, nell’11,74 per cento dei casi, il radicale Stefan Harabin.
Pellegrini sarà, dunque, il prossimo Capo di Stato della Slovacchia e succederà all’uscente Zusana Caputova, prima donna a ricoprire questo incarico, che ha scelto di non ricandidarsi a causa delle aggressioni verbali e delle minacce di morte ricevute durante il primo mandato. Il presidente della Slovacchia ha poteri limitati: tra questi ci sono la possibilità di nominare alcuni giudici di organismi costituzionali e un potere di veto che può essere annullato da un secondo voto del Parlamento, ma che può comunque influenzare una parte dell’opinione pubblica e fungere da contrappeso al governo in carica.
E questo è proprio quello che era successo dopo la vittoria del partito di Fico alle elezioni dell’ottobre 2023. La Caputova, che si era spesa a lungo per sostenere le posizioni dell’Ucraina, era diventata un baluardo contro le derive autoritarie e russofile dell’esecutivo. Ma la decisione di non ricandidarsi ha reso vani questi sforzi.
La vittoria di Pellegrini, a capo del partito Voce-Socialdemocrazia (Hlas), consentirà a Fico di dettare la linea al Paese senza incontrare grossi ostacoli in un contesto dove le recenti azioni del governo destano qualche preoccupazione sul futuro democratico della Slovacchia. Tra queste ci sono l’abolizione dell’Ufficio del Procuratore Speciale, creato vent’anni fa per affrontare gravi casi di corruzione e di crimini economici, una proposta di legge che consentirà all’esecutivo di controllare i vertici della radiotelevisione pubblica ed un’altra che definisce, come riportato da Euractiv, «organizzazioni con supporto straniero» quelle organizzazioni non governative che ricevono più di cinquemila euro l’anno di fondi dall’estero. L’esecutivo Fico ha inoltre sospeso gli aiuti militari forniti all’Ucraina, ha avvicinato Bratislava all’Ungheria di Viktor Orbán, e ha rafforzato le relazioni con la Cina, oltre che esposto una retorica filo putiniana. La simpatia nei confronti di Mosca sembra essere condivisa anche da Pellegrini, che ha ricordato, durante la campagna elettorale, la necessità di negoziare con la Russia.
L’insediamento del governo Fico si è rivelato provvidenziale per il primo ministro ungherese Orbán che, proprio alla fine del 2023, ha dovuto rinunciare all’alleato polacco Legge e Giustizia sconfitto dal fronte europeista guidato da Donald Tusk. Orbán, euroscettico e nazionalista, ha bisogno di alleati in sede comunitaria per combattere la sua battaglia dall’interno contro Bruxelles, e Bratislava può consentirgli, a differenza di Varsavia, di ostacolare con più efficacia i pacchetti di aiuti all’Ucraina o le sanzioni alla Russia.
Le somiglianze tra Fico e Orbán, che condividono l’opposizione alle politiche di immigrazione, sono molte e travalicano anche le ideologie. Fidesz, il partito del premier ungherese, è schierato su posizioni di destra radicale, mentre Direzione-Socialdemocrazia (Smer) dell’omologo slovacco è nominalmente di sinistra. Si tratta, in realtà, di un progressismo di facciata e tanto lo Smer quanto Hlas sono stati sospesi dal Partito Socialista Europeo dopo l’alleanza fatta con la destra radicale del Partito nazionale slovacco per far nascere il governo Fico.
Secondo Ivan Miklos, ex vice primo ministro ed ex ministro delle finanze a Bratislava, Orbán e Fico hanno fatto entrambi ricorso al populismo e alla demagogia. Ma il premier slovacco, almeno sinora, non ha valicato i limiti della democrazia per mantenere il potere. Proprio per questo motivo è stato sconfitto nel 2010 e nel 2020, ma questa volta sarebbe pronto, sempre secondo Miklos, a farsi molti meno scrupoli in questo ambito. Fico non può però contare su una super-maggioranza parlamentare e nemmeno su un’ideologia forte in grado di portare dalla sua parte una percentuale sostanziale della popolazione slovacca, e questi fattori potrebbero inibirne le pulsioni autoritarie. Resta il fatto, però, che l’asse Fico-Pellegrini sembra poter trascinare Bratislava su una strada pericolosa, contrapposta agli obiettivi della maggior parte dei Paesi membri dell’Unione europea e molto vicina a Mosca e a Budapest.
Le posizioni di Bratislava indeboliscono quella che dovrebbe essere – in linea teorica, perché dal punto di vista pratico ci sono già alcune falle – la linea coerente di Bruxelles nei confronti dei rivali esterni come la Federazione Russa: le posizioni dell’Alleanza Atlantica, che ha nella Slovacchia uno dei suoi confini orientali, potrebbero infatti risentire negativamente della linea Fico-Pellegrini. E la sconfitta dei partiti europeisti a Bratislava è poi una cattiva notizia per i movimenti moderati della regione in vista delle elezioni europee di giugno. I partiti populisti ed estremisti sono presenti in questa parte del continente ma, con l’eccezione di Budapest, Bratislava e in parte Bucarest, non esercitano poteri significativi. Ora le cose potrebbero cambiare e le consultazioni europee potrebbero trasformarsi in un trampolino di lancio per le formazioni radicali e populiste.