Uno spettro si aggira per l’Europa. Ma anche per le Americhe, il Giappone o Taiwan: insomma, il mondo libero tutto. È la paura dell’atomica. Magari solo di un ordigno tattico o di Zaporizhzhia diventata teatro di una prova di forza maldestra. O ancora dell’Iran che arricchisce uranio a una ventina di miglia dalla città santa di Qom. L’idea dell’apocalisse, ricacciata indietro a lungo dal pensiero comune insieme al Patto di Varsavia, ricompare appena può e impregna l’immaginario.
L’ultimo esorcismo collettivo, già nel nome, è tutto un programma: “Fallout”. La pioggia radioattiva, ma anche una delle serie più azzeccate degli ultimi tempi, in streaming su Prime da alcuni giorni con attributi da kolossal e dosi di genialità televisiva. Basata sulla famosa saga dei videogiochi che fece proseliti tra i millennials, è ambientata duecento anni dopo un’apocalisse nucleare che ha sconvolto il pianeta. Adesso i più ricchi e fortunati si sono rinchiusi in forniti bunker antiatomici, gli altri vagano in superficie tra esseri mutanti e bestie mostruose.
Nel videogame – una storia infinita nata nel 1997 con mille e più ore di gioco, quattro capitoli più spin-off vari, persino un wiki-Fallout per districarsi nel complesso mondo post-tutto in cui è ambientato – a scatenare il casino è stata una guerra tra Stati Uniti e Cina.
Nella serie Amazon la genesi non è chiara, ma l’aria che tira è maccartista e per reclamizzare i Vault (i rifugi accessoriati di cui sopra) si dice siano «impenetrabili a qualsiasi radiazione e anche ai russi». A girare gli spot è un divo di film western che ritroveremo duecento anni dopo trasformato nel Ghoul, il Walton Goggins di “The Hateful Eight”, un cacciatore di taglie mutante e spietato. È uno dei tre protagonisti insieme a Maximus, soldato della Confraternita, sorta di ordine cavalleresco nato dalle ceneri dell’esercito americano e a Lucy McLean (Ella Purnell, perfetta nel ruolo), giovane e idealista abitante del Vault 33.
Tutto, a veder bene, comincia da lei. Le è venuto in mente di lasciare il placido Vault o così sembra, risalire in superficie e avventurarsi nella zona contaminata alla ricerca del padre. Il resto è una miscela di estetica da American Dream anni Cinquanta e inquieto futuro cyberpunk. Un po’ di “Mad Max”, un tantino di “The Last of us”, conditi da litri di sangue e scene splatter, ma subito mitigate da dosi di ironia e dal ricorso a un paio di volti noti del “Saturday Night Show”.
La serie “retro-futurista” è il frutto dell’incontro tra Jonathan Nolan, autore di “Westworld” (e fratello di Christopher con cui ha scritto “Il Cavaliere oscuro” e “Interstellar”) e Todd Howard, il game designer a cui si deve il successo della saga, coadiuvati da alcuni dei migliori showrunner sul mercato e potrebbe segnare il sorpasso del videogioco sul fumetto come fonte di ispirazione dell’industria dell’intrattenimento.
La strada è stata aperta dal clamoroso favore riservato a “The Last of us”, altra serie nata da un gioco post-apocalittico. In passato non erano mancati i tentativi e in contemporanea con “Fallout” su Paramount+ è possibile seguire anche “Halo”, altra trasposizione dalla console alla tv prodotta addirittura da Steven Spielberg, ma qualcosa ha fatto girare il vento. A scrivere le storie sono arrivati autori cresciuti con il joystick in mano. Ne è convinto Nolan (che da piccolo giocava già a “Pong”) per il quale il genere videoludico è una «vasta miniera di storie» a cui Hollywood attingerà nei prossimi anni.
«È come essere nati alla fine del XIX secolo e aver assistito alla nascita del cinema», ha sentenziato di recente. «Ma i videogiochi non sono un genere, sono un mezzo per raccontare storie, e addirittura il mezzo più grande dato il numero di persone che ci giocano e le dimensioni dell’industria». Il flop dei più recenti kolossal adattati dagli albi dei supereroi (da “The Marvels” a “Madame web”) è lì ad avvalorare la tesi.
«Amo i fumetti, ma quante persone conoscete che vanno a comprarne davvero? Confrontateli con il numero dei vostri amici che giocano ai videogiochi» ha detto sempre Nolan a Hollywood Reporter. E Jonathan, uno capace di reinventare l’epopea di Batman in coppia col fratello, qualcosa ne capirà. Strano questo incrocio familiare in salsa nucleare: Christopher cantore dei tormenti di Oppenheimer, padre della bomba, Jonathan indagatore delle (improbabili) conseguenze della sua creatura. Il passato visto dal futuro e il suo contrario.
Alle serie ispirate dai videogame non è mancata la tempistica. “The Last of us” (dove una pandemia ha decimato l’umanità e i sopravvissuti vivono in zone di quarantena) è giunto dopo il Covid, mentre “Fallout” arriva nel pieno della crisi dei rapporti con Russia e Cina.