L’incontro di Joe Biden con il presidente delle Filippine Ferdinand Marcos e il primo ministro giapponese Fumio Kishida si è tenuto a Washington, nella sala est della Casa Bianca. Al centro del primo vertice tra Stati Uniti, Manila e Tokyo, la tensione che si respira nelle acque contese del Mare Cinese Meridionale, dove sempre più spesso navi della guardia costiera Cinese fermano o speronano unità militari della Marina filippina.
Biden si è impegnato a difendere le Filippine da qualsiasi attacco in quell’ampio tratto di mare che Pechino considera parte delle proprie acque territoriali, anche se nella disputa sono coinvolti anche Taiwan, Vietnam, Brunei e Malesia.
«L’impegno per la difesa di Filippine e Giappone sono ferrei», ha detto il presidente americano ai due ospiti, «Qualsiasi attacco contro aerei, navi o forze armate filippine nel Mar Cinese Meridionale farebbe scattare il nostro trattato di mutuo soccorso».
Finora sono state soltanto scaramucce, piccoli scontri piuttosto frequenti però, in una via navigabile che è strategica per i collegamenti tra i paesi del sud est asiatico e quelli che si affacciano sull’Oceano Indiano. All’interno dei tre milioni e mezzo di chilometri quadrati di quel mare, vi sono passaggi essenziali, come lo stretto di Malacca che detiene il record del transito giornaliero di 15 milioni di barili di petrolio, mentre i suoi fondali sono ricchi di giacimenti di gas naturale sopra i quali vi sono piccoli arcipelaghi contesi.
Si teme quindi che gli scontri possano far diventare quello che finora è stata una disputa toponomastica, un fronte geopolitico vero e proprio con ripercussioni simili a quelle che si stanno vivendo sul Mar Rosso. Il Mar Cinese Meridionale è da tempo in balia di cambi di denominazione, con il Vietnam che lo chiama Mare dell’Est, l’Indonesia che lo considera il Mar Settentrionale di Natuna e Manila che ci tiene a indicarlo con il nome di Mar delle Filippine Occidentali.
A distanza di pochi mesi, a cavallo tra la fine del 2023 e i primi mesi del 2024 ci sono stati gli episodi più preoccupanti nei dintorni di un relitto che però sembra alquanto importante sia per Pechino che per Manila. Si tratta della BRP La Sierra Madre, nave risalente alla Seconda Guerra Mondiale deliberatamente abbandonata dalle Filippine nel 1999, a Second Thomas Shoal, nelle Isole Spratly. Si sta sgretolando ma la riparazione è oggetto di un efficace blocco da parte dei cinesi che considerano il relitto un avamposto militare per quanto sia ancora saldamente issata sul pennone la bandiera filippina.
A ogni avvicinamento dei marinai filippini nella zona grigia scattano quindi le reazioni da parte della Cina, che non ha remore a usare laser e idranti, che un mese fa hanno provocato danni a una nave e ferito quattro militari. La presenza di Kishida alla Casa Bianca era invece dovuta ad altre frequenti incursioni cinesi presso le isole Senkaku disabitate e controllate dai Giapponesi, vicine alle coste Taiwanesi.
Durante l’incontro, nessuno dei leader ha nominato la Cina. Hanno invece ribadito il rafforzamento delle alleanze come baluardo di pace e democrazia per tutta la regione Asia-Pacifico, in contrasto con gli azzardi di Pechino. Considerato più vicino a Washington rispetto al predecessore Rodrigo Duterte, Marcos ha voluto esprimere il fermo e incrollabile impegno per un ordine internazionale basato su regole di civiltà. Kishida si è spinto oltre, definendo il dibattito sulla cooperazione un evento che «farà la storia». Anche perché il Giappone dopo l’ultima guerra mondiale non ha avuto più diritto a un esercito e questa è stata l’occasione per comunicare all’alleato americano che vorrebbe fare di più per condividere la responsabilità di mantenere la pace in estremo Oriente.
La reazione della Cina è arrivata addirittura prima del vertice. Mao Ning, portavoce di Pechino ha accusato Washington e Tokyo di aver attaccato la Cina su Taiwan e sulle questioni territoriali interferendo negli affari interni del paese e «violando le norme che regolano le relazioni internazionali». Il che ha portato Biden a fare una telefonata di due ore con il presidente Xi Jinping per gestire i “malintesi” e rassicurare la Cina sul fatto che l’asse con il Giappone ha scopo “puramente difensivo” e non mirato a minacciare altri stati della regione.