La svoltaIl grandioso 25 aprile di Biden per la liberazione dell’Ucraina

Chi contesta l’invio di armi in nome della pace oggi dovrebbe astenersi dal festeggiare, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

LaPresse

Joe Biden ha firmato ieri un pacchetto di aiuti militari per l’Ucraina da oltre sessanta miliardi, sbloccato grazie a una complicata manovra parlamentare dello speaker repubblicano Mike Johnson in un inedito asse con i democratici. «È un buon giorno per l’America, è un buon giorno per l’Europa, è un buon giorno per la pace nel mondo», ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti, assicurando che le armi cominceranno ad affluire in Ucraina entro poche ore.

E tutti coloro che immancabilmente si affretteranno a segnalare la contraddizione tra le due parole – armi e pace – dovrebbero avere almeno il buon gusto di astenersi, oggi, dal festeggiare il 25 aprile. Giorno in cui si celebra l’insurrezione generale, armi in pugno, proclamata dal Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia il 25 aprile del 1945, mentre da sud l’avanzata delle truppe alleate sgominava le ultime resistenze nazifasciste.

La svolta, nel congresso degli Stati Uniti, è arrivata dopo quasi un anno di stallo imposto dall’ala trumpiana, al prezzo di migliaia di vittime sul campo, civili e militari. Perché questo – è bene ricordarlo sempre, tanto più in vista delle elezioni europee – è stato l’unico esito concreto di quello stop all’invio di armi quotidianamente invocato in Italia dal fronte cosiddetto pacifista: avanzata degli invasori russi, più morti e più distruzione nell’Ucraina aggredita, più vittime civili nelle città bombardate, cui anche noi europei continuiamo di fatto a negare o centellinare persino i sistemi di difesa antimissilistica necessari a proteggere le loro case. In nome della pace e della sicurezza, naturalmente.

Quanto poi all’obiezione secondo cui noi avremmo avuto il diritto di cacciare l’invasore con le armi (anche americane) e gli ucraini no, perché i paragoni storici sarebbero sempre impropri, le situazioni troppo diverse, le cose sempre più complesse, mi resta una sola domanda.

A che cosa serve, allora, la memoria? Se di tutti i principi proclamati in piazza durante le celebrazioni si dà per inteso che poi non ce ne facciamo niente, perché non si possono applicare al mondo di oggi, che senso ha tutto questo? Perché piuttosto non ce ne restiamo a casa, avendo anche la fortuna che casa nostra, almeno per ora, non ce la bombarda nessuno?

Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.

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