Nel 1930 i coniugi Kellogg presero uno scimpanzè femmina di sette mesi, Gua, e lo misero nella cameretta del figlio Donald di dieci mesi, cosa che onestamente sarebbe stata normale se si fosse trattato di un cane, ma una scimmia insomma. La scimmia veniva cresciuta, educata e vestita come il bambino. Questa adozione non era un vezzo come quello di mia nonna che aveva comprato una scimmia a mia madre perché era molto di moda come gli alligatori nelle fogne, i Kellogg erano scienziati e stavano conducendo un esperimento. La scimmia si sarebbe umanamente evoluta? All’epoca non c’era Facebook a dire loro che l’animale era già umano e figlio; quindi, hanno dovuto mettersi in casa lo scimpanzè. L’esperimento sarebbe dovuto durare qualche anno, ma dopo nove mesi i Kellogg diedero via la scimmia; se si fosse trattato di un cane, tutto questo non sarebbe mai successo. La dovettero allontanare perché il bambino aveva iniziato a comportarsi come la scimmia e non la scimmia come il bambino.
Ora prendete l’esperimento, togliete la scimmia e metteteci internet. I bambini imitano. La massima aspirazione per un bambino è fare felice sua madre, se va bene pure suo padre. Siamo nell’epoca del compiacere, solo che per rimosso, proiezione e telecamera frontale adesso sono gli adulti a voler compiacere i ragazzini, ne abbiamo la prova provata con la Saltburn Intifada nelle università americane.
Una generazione di adulti che ha confuso Gustave Le Bon con Simon Le Bon, a cantare “Save a prayer” mentre veniva ipnotizzata dai tutorial su TikTok su come iniettare testosterone. Quello che so per certo è che nessun ragazzino ha mai perdonato i propri genitori per non aver fatto i genitori. Nessuno che da piccolo abbia preso decisioni che andavano prese da un adulto ha mai pensato che fosse qualcosa di diverso dal rovinargli la vita.
Si può sbraitare finché si vuole sui social, ma tutto quello che ha a che fare con la disforia di genere non ha mai avuto a che fare con i ragazzini, ma con gli adulti. Che un bambino di due, tre, quattro, sei anni sia trans lo dice un adulto, non un bambino, e non ci voleva la Cass Review per scoprirlo, bastava guardare “I am Jazz” nel 2015.
Per anni nessuno ha detto niente sulla somministrazione di farmaci ai bambini, delle operazioni irreversibili su minorenni o poco più che maggiorenni nemmeno parlo, e tutto questo perché le persone si sono ridotte a essere ossessionate dal piacere agli altri e a morire di paura se uno gli fa «bu!» su X. La responsabilità del disastro riguarda diverse persone: medici, influencer, servizio sanitario, intellettuali, transfemminismi vari.
L’NHS nel 2020 commissiona alla dottoressa Cass una revisione indipendente sui servizi della sanità pubblica inglese sulla disforia e incongruenza di genere. Le meno sveglie si sono messe a dire che Cass non ha alcuna specializzazione, forse perché a fare i trattati di medicina pensano sia più corretto metterci le attiviste del collettivo loro. Poi ci sono quelli che dicono che il testo è scritto in maniera troppo specifica, ma vi tolgo il dubbio senza che andiate a leggervi quattrocento pagine: a parte i grafici che non so leggere bene, il testo è scritto a prova di ex studenti del liceo classico.
Le prime trenta pagine della Cass Review sono di messa avanti delle mani, dove la dottoressa Cass si firma “Hilary” senza il cognome nella premessa, passa le pagine ad applaudire l’ovvio, si rivolge direttamente ai ragazzini in una presa di quella che è sincera consapevolezza: se non lo capiscono i vostri genitori, lo capirete voi. Cass dice quanto il dibattito sui social sia polarizzato, e quanto questo sia pericoloso, antiscientifico e inutile: effettivamente è pericoloso non assecondare gli umori dei social, tanto pericoloso che dopo la pubblicazione i servizi di sicurezza hanno suggerito alla dottoressa Cass di non prendere i mezzi pubblici.
Cass non vuole scrivere contagio sociale perché qualcuno si sentirebbe offeso, ma lo scrive. Scrive che le evidenze scientifiche sui bloccanti della pubertà sono deboli, che non ci sono studi sul lungo termine, che l’approccio affermativo è sbagliato e scadente. Scrive che non si è tenuto conto delle varie commorbità con l’autismo, con i disturbi alimentari, con la depressione, non si è tenuto conto in maniera adeguata del contesto familiare, a volte tragico. Scrive, soprattutto, che l’incongruenza di genere riguarda, con numeri importanti, le ragazze, e questo è un dato che racconta quasi tutto quello che non vogliamo vedere.
Qualcuno dice che la Cass Review non vale, e non vale perché arriva a delle conclusioni che non piacciono né compiacciono. Bella la vita delle diagnosi autoavveranti. Poco prima della pubblicazione della Cass Review erano usciti i leak di un forum interno al Wpath (World Professional Association for Transgender Health).
Tra i messaggi pubblicati, un medico chiede consiglio su cosa fare con una paziente trans quattordicenne, paziente che ha iniziato la transizione all’età di quattro anni, perché insomma vorrebbe operarsi. Una dottoressa risponde che ha praticato una ventina di vaginoplastiche su minori di diciotto anni negli ultimi diciassette anni, e che nessuno l’ha mai denunciata. Scrive che non tutte quelle vaginoplastiche erano riuscite, ma c’è da stare allegri, la maggior parte era venute bene. La vera domanda a cui dovremmo rispondere è quale sia il movente di tutto quello che è successo, ma per questa risposta non servono i medici.