L’impronta della campagna elettorale è ormai definita attorno ai due principali contendenti alle europee. Iperpersonalizzata quella della presidente del Consiglio. “Social” quella di Elly Schelin. Per la verità la segretaria del Partito democratico avrebbe voluto metterci di più la faccia, come la competitor, avrebbe voluto scrivere il suo nome nella scheda e candidarsi ovunque. Insomma, avrebbe voluto sovrapporsi alla comunicazione di Giorgia Meloni. Non l’ha potuto fare e quindi si è acconciata a correre come capolista solo al Centro e nelle Isole e al più scontato del messaggio focalizzato sul salario minimo, le liste d’attesa negli ospedali, l’Europa per la pace. Una roba debole. È come, scrive Marcello Sorgi su La Stampa, fare una corsa con una gamba legata dietro la schiena. Mentre dall’altra parte basta scrivere il nome “Giorgia” per fare scomparire tutto quello che c’è dietro di lei dentro una fuliggine indistinta.
Il risultato del voto dirà molte cose. Le urne diranno anche (non solo) quale delle due strategie avrà avuto maggiore successo. Qualche idea, ahinoi, ce l’abbiamo già e non perché la sostanza della personalizzazione sia per se stessa migliore. C’è un semplice calcolo di quello che è la comunicazione politica moderna, capace di mobilitare il tuo elettorato.
Meloni vuole portare al voto pure i dubbiosi che però mettono mano alla pistola quando sentono parlare di sinistra, sindacato e politicamente corretto. Una comunicazione anche scorretta nell’usare i volti degli avversari, additandoli, per chiedere agli elettori di farli incazzare votando “Giorgia”, la vicina di casa, l’underdog del pianerottolo che scende insieme a te a fare la spesa e magari ti aiuta ad attraversare la strada e portare la spesa se sei acciaccato. La «borgatara» come molti/ed elevata all’Olimpo, come la cuoca di Lenin che poteva governare, se l’esempio non fosse troppo urticante per loro.
Usano pure le facce di giornalisti che nei loro talk show attaccano ogni settimana e ogni giorno “Giorgia” e sono concentrati tutti su La7. Questo è forse l’esempio più nitido di attacco alla libertà di stampa, più che oscurare lo scrittore Antonio Scurati alla Rai.
Ma la “Bestia” di Fratelli d’Italia è stata scatenata, le hanno aperto la gabbia, attenta a far scomparire le facce proprie, a non mostrare che dietro quella di “Giorgia” c’è ben cosa. Se non il vuoto. È il sondaggio del consenso sul governo che oscura tutto e tutti, anche Antonio Tajani, che deve ancora ricorrere a Silvio Berlusconi che nei manifesti gli alza il braccio per scavalcare Matteo Salvini. Il quale a sua volta non si candida con la scusa che a Strasburgo lui, che è serio, non ci andrebbe se eletto, ma mette la faccia di Roberto Vannacci, una vera garanzia di estrema destra.
Meloni in questa campagna elettorale fa le prove generali di premierato eletto senza una maggioranza che potrebbe sfiduciare il premier. La fine del Parlamento. Schlein si barcamena invece tra pacifisti che vogliono fermare i carri armati con i fiori, i baci e il corpo, come a Tienanmen (evitando di ricordare come finì a Pechino). Tra Marco Tarquino e un pezzo di partito che, dopo averla sostenuta alle primarie, aspetta di cucinarsela. Oppure attende il messia che torni da Bruxelles, quel Paolo Gentiloni che si guarderà bene dal mettere piede in quel nido di vipere che è la sede del Partito democratico.
Le alternative di voto sono disarmanti, c’è una terza via che combatte per il quattro per cento. Ciò che uscirà dalle urne sarà anche il risultato di campagne elettorali che hanno una natura e una logica comunicativa opposte. Sarà molto interessante vedere se varrà di più l’Io “Giorgia” o il Noi sfumato in miniatura di Elly. Già sapendo che l’elettore tipo di destra è sempre attirato dal/dalla leader forte e se ne pasce. Quello di sinistra, o più genericamente progressista, ne ha paura e preferisce astenersi. O andare a giocare a biliardo con Elly.