Brava gente L’errore antistorico di sminuire le responsabilità degli italiani nella Shoah

In “Le conseguenze economiche delle leggi razziali”, Ilaria Pavan spiega che nelle giornate della memoria tendiamo a ricordare più le storie dei nostri connazionali salvatori di ebrei, sottostimando i crimini dei repubblichini e indicando i nazisti come i veri responsabili degli orrori antisemiti nella seconda guerra mondiale

AP/Lapresse

È stato il settennato di Carlo Azeglio Ciampi a inaugurare i discorsi presidenziali in occasione del 27 gennaio. Interventi solitamente brevi, quelli di Ciampi, in cui la condanna delle leggi razziali del 1938, quando presente, quasi mai si è affiancata alla citazione esplicita del termine «fascismo» e mai è nominata la Repubblica sociale italiana, così che la stagione antisemita appare orfana del suo mandante politico e ideologico. Solo nel discorso del 2005 Ciampi utilizzerà il sintagma «leggi razziali fasciste del 1938» interpretate, sulla scia del messaggio neo-patriottico e neo-risorgimentale che tanto ha segnato il suo impegno pubblico, come «il più grave tradimento del Risorgimento e dell’idea stessa della nazione italiana».

I colpevoli, tuttavia, sono altrove: «Ricordiamo i colpevoli: l’ideologia razzista di Hitler» – dirà Ciampi nel 2004 – mentre «coloro che resero possibile anche in Italia le deportazioni» rimangono soggetti dall’identità sfocata e dai contorni indeterminati. Se è palese la chiave pro-europeista che il presidente ha sempre utilizzato in tutti i suoi discorsi del 27 gennaio (Ciampi ha così adottato il paradigma identitario proposto dalle politiche della memoria europee di quegli anni, che ha visto nella Shoah uno dei miti fondativi dell’Europa postbellica), altrettanto evidente è la sottolineatura dell’aiuto prestato dagli italiani agli ebrei.

Si tratta di un vero e proprio filo rosso declinato in modo da sottolineare il presunto carattere corale di quel soccorso – «migliaia di uomini e di donne», dirà nel 2003. E, ancora nel 2004: «migliaia di persone, semplici cittadini, funzionari, diplomatici, militari che in ogni regione d’Italia […] in Grecia, in Jugoslavia, nel sud della Francia, salvarono […] la vita di migliaia
di ebrei, italiani o stranieri». Una maggioranza, dunque, che si contrappose a una minoranza di «deviati» (così saranno definiti gli italiani antisemiti in un discorso del 2003 tenuto in occasione della visita al campo di Fossoli).

Nel 2006 Ciampi aveva inoltre inserito un suo messaggio nel volume “I Giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei 1943-1945”, pubblicato da Mondadori con la prefazione di Gianfranco Fini. E senza paragoni rispetto ai predecessori (e anche ai successori) è stata la politica di Ciampi riguardo al generoso conferimento di onorificenze – di medaglie al merito civile – a favore di singoli o spesso di intere comunità (città, comuni, province) premiati in ragione dei comportamenti solidali tenuti in favore dei perseguitati razziali.

Nel complesso, appaiono ugualmente reticenti rispetto all’esplicita denuncia delle responsabilità fasciste, o della partecipazione attiva alla campagna antisemita di molti italiani, anche i numerosi discorsi pronunciati da Giorgio Napolitano. Se nel 2007, per la prima (e unica) volta, sarà menzionata la Repubblica sociale italiana – «Come italiani […] dobbiamo serbare il ricordo e sentire il peso degli anni bui delle leggi razziali del fascismo e delle persecuzioni antiebraiche della Repubblica di Salò», sono immancabili le parole in riferimento agli italiani salvatori di ebrei.

[…] Era stato del resto Napolitano a scegliere di dedicare la Giornata della Memoria del 2008 al tema dei «Giusti italiani» (è tradizione che ogni anno sia proposto dalla presidenza della Repubblica un tema specifico su cui gli studenti delle scuole d’Italia sono invitati a presentare lavori, ricerche, riflessioni). Nel discorso di quell’anno, coerente con il messaggio che in quell’occasione si voleva trasmettere, Napolitano affermerà inoltre che le leggi razziali «suscitarono orrore negli italiani».

Per molti anni, in occasione dell’appuntamento annuale che, pur con i suoi limiti e le sue contraddizioni, ha comunque assunto una centralità nello spazio memoriale italiano, nelle parole della più alta istituzione dello Stato è apparso assai debole (quando non assente) ogni preciso richiamo al coinvolgimento e alle responsabilità italiane nella persecuzione antisemita. Ed è lo stesso riferimento al fascismo come mandante di quella persecuzione a essere tratteggiato in modo solitamente rapido, mai sottolineato, quasi a volerlo eludere.

Lontane dalla ricostruzione critica elaborata dagli storici, anzi, «quasi a essa impermeabili», le parole pronunciate in occasione del Giorno della Memoria non paiono aver contribuito a scalfire quella tradizionale narrazione del «buon italiano», messa invece in discussione da una storiografia consolidata, che nel primo decennio degli anni Duemila aveva già alle spalle ricerche quasi ventennali.

Spicca, pertanto, la posizione assunta da Sergio Mattarella. Nel suo primo discorso, nel gennaio 2016, erano per la prima volta citate in modo netto le responsabilità nazionali, e l’esperienza italiana era storicizzata e inclusa a pieno – anche per ciò che riguardò l’attacco ai beni degli ebrei, per la prima volta ricordato – all’interno del percorso europeo dell’antisemitismo e della Shoah. «Il piano di eliminazione degli ebrei d’Europa, come ricorda il grande storico della Shoah, Raul Hilberg, si muoveva lungo un progressivo e inesorabile percorso: la legge che proclamava la persecuzione, l’espropriazione dei beni, la perdita dei diritti, l’arresto, la deportazione, l’assassinio.

[…] Neanche l’Italia, centro del Cristianesimo, culla del Rinascimento, patria di Dante, Leonardo e Galileo, fu immune dal virus razzista e antisemita. Anche se la persecuzione degli ebrei in Italia non fu, per vastità, paragonabile a quella realizzata nella Germania nazista, bisogna sapere e ricordare che il tragico percorso delineato da Hilberg, nel nostro paese, si è svolto per intero».

Se immancabile, anche per Mattarella, era il riferimento a quegli italiani salvatori di ebrei – topos pressoché imprescindibile in ogni discorso presidenziale – egli sottolineava tuttavia come quelle azioni non potevano in alcun modo far dimenticare o alleviare altre colpe. Anche nei successivi discorsi, Mattarella, con accenti e rilievi differenti, non ha smesso di sottolineare le responsabilità italiane con parole nette, non utilizzate dai predecessori. Vi era il riconoscimento, dirà nel 2018, che i primi cinque anni, interamente fascisti, della persecuzione avevano rappresentato la premessa di quanto accadde in seguito.

E se nel 2020 la persecuzione fascista era definita «feroce e spietata», attingendo finalmente ai risultati già da anni messi in luce dalle ricerche sulla deportazione dall’Italia, Mattarella riconosceva con parole chiare la responsabilità, autonoma, delle autorità della Repubblica sociale italiana nell’arresto e quindi nella deportazione degli ebrei. «In Italia, sotto il regime fascista, la persecuzione dei cittadini italiani ebrei non fu, come a qualcuno ancora piace pensare, all’acqua di rose. Fu feroce e spietata. E la metà degli ebrei italiani, deportati nei campi di sterminio, fu catturata e avviata alla deportazione dai fascisti, senza il diretto intervento o specifica richiesta dei soldati tedeschi».

Copertina Le conseguenze economiche delle leggi razziali

Tratto da “Le conseguenze economiche delle leggi razziali”,  Ilaria Pavan, il Mulino, 320 pp., € 25,00

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