A sedici anni ha sentito il bisogno di muoversi dal “triangolo lariano”, dove la ristorazione gli sembrava «stagnante e limitata dagli ingredienti disponibili». Giona Fedrigo, classe 1985, voleva esplorare nuovi orizzonti, trovare ispirazione e crescere professionalmente in un ambiente più dinamico e stimolante. E così è diventato un ragazzo dell’Europa che «mi offriva l’opportunità di scoprire una vasta gamma di culture culinarie».
È stata dunque la curiosità e la voglia di trovare stimoli nuovi a spingere Giona a un cambio di prospettiva, in cerca di opportunità che non sono mancate e che ha saputo cogliere. Prima lavorando in cucina, poi fermandosi – per ora – nel cuore di Praga dove ha fatto un salto importante, diventando patron del ristorante Sansho. Uno spazio dal respiro internazionale, a metà strada tra piazza Repubblica e i primi palazzi del quartiere di Karlin, dove la cucina si fa fusion assieme alle idee e dove le esperienze si mescolano. I piatti sono intriganti come la squadra multietnica che Giona ha costruito tra sala e fornelli, i vini (moravi, slovacchi, italiani, francesi) si alternano a una miscelazione senza pretenziosità. E il sorriso è il benvenuto migliore, rendendo i sapori (ottimi) nel piatto un godimento senza formalismi.
L’anima rapita in viaggio
«Ho avuto la fortuna di avere uno zio chef, che fin da ragazzo mi ha aperto le porte di ristoranti in giro per il mondo» racconta Giona. «Con lui ho fatto brevi stagioni estive fra Isole Vergini, Cipro, Irlanda, Ucraina e naturalmente Italia».
Durante gli anni dell’università – ha studiato scienze del turismo – si rende conto che la ristorazione esercita su di lui un fascino maggiore rispetto all’hôtellerie. «Appena finito il ciclo di studi, ho accettato una collaborazione con l’agriturismo Sant’Anna 1939 in provincia di Como, dove a ventidue anni gestivo una quindicina di persone fra cuochi, camerieri, banconieri. Guardandomi indietro, è stata la scuola migliore e sono molto grato della fiducia che la famiglia Paleari ripose in me ai tempi. Coordinare l’operatività di un’azienda agricola aperta al pubblico mi ha insegnato moltissimo e sono rimasto molto legato ai temi della sostenibilità ambientale, della circolarità, dell’attenzione agli sprechi, ma anche alla connessione con il territorio tipici di un agriturismo».
A Praga è arrivato dieci anni fa per lavorare in un ristorante italiano. «Nel frattempo frequentavo Sansho da cliente – spiega Giona – ed era il mio ristorante preferito. Decisi di provare a lavorarci una stagione poiché mi aveva veramente colpito l’approccio asian fusion combinato a carni bio». Dalla cucina al management il passo è stato inevitabile, dato che il creatore di Sansho decide di vendere e Giona prende le redini. «In effetti, il mio percorso è iniziato lavando i piatti, poi ho lavorato per cinque anni in sala. Durante questo periodo, ho anche completato la mia formazione come sommelier (con l’Ais) e ho lavorato come caposala e sommelier per altri cinque anni. A un certo punto, ho capito che il mio sogno era aprire il mio ristorante, ma mancava l’esperienza in cucina. Così ho deciso di passare un anno in cucina per acquisire le competenze necessarie. La cucina mi ha preso così tanto che sono rimasto chef per molto più tempo del previsto. Due anni fa, si è presentata l’opportunità di fare il passo verso l’imprenditoria, che è il ruolo in cui mi riconosco e che vivo con maggiore passione».
Sansho, un progetto di ricerca
Nel ristorante che Fedrigo ha rilevato a Praga ha portato il proprio Dna, orientato alla curiosità e alla ricerca costante. «Sono sempre stato ossessionato dal provare tutto, dal nuovo ingrediente alla nuova preparazione alla tradizione centenaria – rivela infatti Giona – e la mia curiosità compulsiva mi ha portato a viaggiare per ristoranti di qualsiasi tipo, sia da cliente che da lavoratore. Ho sempre investito buona parte dei miei stipendi in ricerca (chiamiamola così, anche se in realtà è puro godimento) e tutt’ora le mie piccole vacanze qua e là sono sempre legate a opportunità di visita a produttori di qualsiasi tipo».
Perché dare da mangiare non è una cosa semplice né scontata né banale. «Sento una grande responsabilità verso il prodotto e i produttori – chiosa – e quindi nell’offrire qualità e far star bene le persone. Dare da mangiare è un atto di cura e attenzione che richiede passione e dedizione». E con Sansho la scelta cruciale è stata di lavorare sulla sostenibilità tra cucina e cantina.
«La nostra filosofia si basa sulla collaborazione con produttori artigianali – spiega Giona – sia per la selezione dei vini che per gli ingredienti dei piatti. Anche se la nostra cucina è di fusion asiatica, utilizziamo il più possibile prodotti locali, bio e provenienti da piccole realtà. Crediamo che sostenere questi produttori non solo garantisca la qualità nei nostri piatti e calici, ma contribuisca anche a una comunità più sostenibile e responsabile». La ricerca in questo settore, oggi e domani, «deve sempre più andare verso la valorizzazione del singolo e della particolarità. È importante mettere in luce i prodotti di qualità locali, promuovere la diversità e sostenere le piccole realtà, che spesso sono portatrici di autenticità e innovazione. La passione e la creatività devono continuare a essere al centro della ristorazione».
Se Sansho è nato come ristorante asiatico e fin dall’inizio la forza è stata lavorare con carni bio e locali, ora spinge sulla connessione field-to-table: «Oggi stiamo proseguendo su questa strada, scegliendo ulteriori fornitori locali per latticini, pesce, verdure e altro ancora. Questo approccio ci permette di garantire la freschezza e la qualità dei nostri ingredienti, supportando al contempo l’economia locale e promuovendo la sostenibilità».
I progetti futuri sono orientati a un passo ulteriore nel segno della sostenibilità e della circolarità. «Mi piacerebbe espandere il nostro concetto di ristorazione – spiega – attraverso l’apertura di una piccola azienda agricola con animali da cortile e verdure biologiche. Stiamo inoltre cercando di introdurre una compensation fee per ogni commensale da girare a progetti di sostenibilità vera e certificata, in collaborazione con l’amministrazione di Praga e la locale Università di Agraria».
Laboratorio di incontri e contaminazioni
In quanto “laboratorio fusion” di cucina, vini, spirits, le contaminazioni sono essenziali nel costruire un’esperienza enogastronomica. «Sono fondamentali per noi – specifica lo chef/imprenditore – e non parlo solo di ingredienti e beverage. In otto anni, nel nostro team sono passate oltre venti nazionalità diverse. Sansho è sempre stato un ristorante molto aperto, capace di attrarre persone da tutto il mondo. La contaminazione qui parte dalle persone stesse, che portano con sé le proprie culture, esperienze e passioni».
Ecco che gli incontri sono fondamentali nella vita e nella carriera di Giona. «Due persone in particolare hanno avuto un grande impatto su di me: mio zio, che mi ha trasmesso la passione per la cucina e la ristorazione, e uno storico caposala a Milano, che mi ha insegnato l’importanza del servizio e dell’ospitalità. Questi mentori sono stati una fonte di ispirazione e hanno influenzato profondamente il mio approccio al lavoro».
La curiosità si ripercuote anche nella scelta dei collaboratori. «Scelgo persone che condividano la mia passione per la cucina e l’ospitalità, che siano curiosi e desiderosi di imparare, senza che per forza abbiano esperienze nella ristorazione. Anzi, all’opposto mi piace trovare persone che arrivano da altri settori, che possano portare nuove idee e prospettive al nostro ristorante».
Italia oltreconfine, italiani in Europa
Quale apporto viene dunque dall’italianità in un contesto internazionale qual è Praga? «Va oltre la cucina – replica Giona – perché portiamo con noi il nostro modo di vivere bene e di goderci il bello, valori che si riflettono non solo nei piatti che serviamo, ma anche nell’atmosfera che creiamo nel ristorante e nell’accoglienza riservata ai nostri ospiti. La nostra italianità si esprime attraverso l’attenzione ai dettagli, la passione per la qualità e la gioia di condividere momenti attorno a una buona tavola».
Vista dal cuore della Boemia, l’Italia rimane dunque una culla del mangiare bene, con una tradizione enogastronomica ricca e variegata. «Tuttavia, è importante che non si adagi sugli allori – chiosa lo chef – e continui a innovare per evitare di cadere nei cliché e mantenere la sua posizione di eccellenza. Sai, quella vecchia frase “dove vai vai mangi bene” non la sento così vera come una volta. Eppure, con un po’ di ricerca, si riesce sempre a trovare l’eccellenza. L’Italia resta un posto speciale per il cibo, ma bisogna scavare un po’ più a fondo per trovare le vere gemme culinarie».
L’overtourism (che affligge anche Praga, come alcune città italiane) non aiuta, perché «può avere un impatto significativo sulla ristorazione, portando a una domanda eccessiva e a una possibile perdita di qualità. È fondamentale gestire questo fenomeno con attenzione, garantendo che l’esperienza culinaria rimanga autentica e di alta qualità, nonostante l’aumento dei visitatori».
Come professionista e come persona, Giona è un figlio vivace di un’Europa aperta. «Oggi ho la fortuna di poter esprimere la mia creatività ogni giorno, di lavorare con un team appassionato e di vedere la soddisfazione dei clienti. Nella mia vita personale, posso godere di una città vibrante come Praga e continuare a esplorare nuove culture e cucine. Sono nato italiano e ho visto l’Europa prendere forma mentre crescevo. L’apertura tra i Paesi dell’Unione e la maggior possibilità di viaggiare mi hanno reso più aperto e curioso verso le diverse culture e modi di pensare. Mi sento profondamente europeo. L’essere figlio dell’Europa mi ha permesso di apprezzare la diversità culturale e culinaria del nostro continente, influenzando il mio approccio alla cucina e alla ristorazione. Questa apertura mentale mi spinge a innovare e a creare esperienze che combinano il meglio delle diverse tradizioni. Sono appena tornato da dieci giorni in Andalusia e lì, sul mio quadernetto, ho buttato giù le idee per il nuovo menu estivo ispirato da questo viaggio. Penso che sia veramente la cosa più bella poter essere un imprenditore, viaggiare, incontrare culture per poi portare questo meraviglioso bagaglio di novità al mio team e al mio Sansho».