Il Paese dell’antipoliticaIl caso Toti e la grande questione irrisolta del finanziamento ai partiti

Nel 2014, nel mezzo dell’inda populista dei partiti anti-casta, il governo guidato da Enrico Letta tagliò il finanziamento pubblico. «È sempre un errore pagare un prezzo legislativo all’antipolitica, sperando così di placarla. Il risultato è che non hai battuto l’antipolitica e hai fatto una cosa sbagliata», commenta Casini

Lapresse

L’arresto del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti riapre la discussione su quali siano i confini dei rapporti tra la politica e i suoi finanziatori. Ne parla il senatore Pier Ferdinando Casini in un’intervista alla Stampa, in cui dice che «indipendentemente da un caso giudiziario o un altro: il tema in democrazia si pone a prescindere». E, secondo lui, va affrontato occupandosi di una legge sui partiti, ripristinando il finanziamento pubblico e lavorando a una legge elettorale con le preferenze. Perché «siamo in una tempesta perfetta».

Il senatore di Centristi per l’Europa ricorda che «caduta la Prima Repubblica, i partiti come li conoscevamo sono stati sostituiti da partiti personali, la formazione politica non esiste più, così come il radicamento territoriale. La classe dirigente ha subito una metamorfosi: in Parlamento non va più chi ha i voti, ma chi è amico del leader. E in questa situazione di maggiore permeabilità, abbiamo tolto il finanziamento pubblico!».

Nel 2014, nel mezzo dell’inda populista dei partiti anti-casta, il governo guidato da Enrico Letta tagliò il finanziamento pubblico, lasciando solo il 2 per mille dei cittadini. «È stato un errore, che mi vanto di non aver fatto: sono stato uno dei pochi che hanno votato contro. Sarebbe stato un errore anche in presenza di bontà e onestà generalizzate», dice Casini. «È sempre un errore pagare un prezzo legislativo all’antipolitica, sperando così di placarla. Il risultato è che non hai battuto l’antipolitica e hai fatto una cosa sbagliata». Perché, aggiunge, «per quanto l’abolizione del finanziamento pubblico possa essere stata fatta con le migliori intenzioni, è stata un errore. Perché la democrazia ha dei costi».

Il Movimento cinque stelle risponde a questa obiezione dicendo che si può sopravvivere di microdonazioni. «Massì, si possono mettere dei tetti di massimale alle donazioni, ma io più che sull’entità, mi concentrerei sulla trasparenza. Anche perché le microdonazioni si possono aggirare», spiega Casini. Anche le Fondazioni sono spesso guardate con sospetto. Alcune vengono usate «per i migliori scopi, come la Fondazione Sturzo o la Fondazione De Gasperi, ma non metterei la mano sul fuoco per tutte», dice il senatore.

Il direttore del Foglio Claudio Cerasa in un editoriale si chiede: «Esiste un criterio oggettivo con cui si può considerare illecito un rapporto tra un privato che finanzia un amministratore e un amministratore che compie un atto di cui può beneficiare il privato che lo ha finanziato?». «Complicato», risponde. Nel 2019 la Cassazione, ai tempi di un’inchiesta sullo stadio della Roma, intervenne sul tema spiegando che per identificare un patto corruttivo non è sufficiente la contemporaneità degli atti politico-amministrativi con le donazioni o le promesse di donazioni.

Negli Stati Uniti, dove il finanziamento privato governa l’attività politica dei partiti, sapere che un politico è vicino a un certo gruppo di interessi è considerato normale, perché vi è l’idea che la politica sia legittimata a governare gli interessi e a comunicare con loro. Basta farlo in trasparenza. In Italia invece, scrive Cerasa, «esiste un grumo patologico, perverso, formato da populisti cialtroni, anti populisti allo sbaraglio, magistrati d’assalto, opinione pubblica stordita che ha scelto da anni di sposare in modo acritico l’idea secondo cui il politico onesto è solo quello che fa politica senza soldi, senza finanziamenti, senza interessi che lo possano condizionare».

Per Casini «servono tre provvedimenti. Il primo: una riforma che restituisca all’elettore la possibilità di scelta. Le preferenze hanno delle controindicazioni, ma non si è inventato un meccanismo migliore». Poi: «Bisogna applicare l’articolo 49 della Costituzione: ci vuole un controllo democratico sulla vita dei partiti. E poi bisogna ripristinare il finanziamento pubblico: in questo modo non dico che avremo sconfitto il malaffare, ma almeno toglieremo l’alibi di dire che è colpa della politica o delle elezioni». E accanto a questo, «ci vorrebbe un’autorità indipendente che controlli la trasparenza dei partiti politici». Casini ammette che «queste mie riflessioni in privato sono molto diffuse. Spero che ci sia chi ha il coraggio di farle anche in pubblico».

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