Dopo un anno e mezzo di governo, la benevolenza accordata alla presidente del Consiglio da stampa e tv, che tante figuracce continuano ad abbuonarle ogni giorno con immeritata generosità, basta ormai a malapena per lei. Mi riferisco a quel misto di indulgenza e sciatteria con cui, per fare un esempio, a suo tempo molti finsero di credere alle penose scuse del ministro Francesco Lollobrigida a proposito della sua uscita sulla «sostituzione etnica», quando in pratica sostenne di aver parlato di qualcosa che non conosceva (non sarebbe stata la prima volta, in effetti) e in pochi vollero ricordare tutte le volte in cui a rilanciare quella tesi delirante e chiaramente razzista era stata proprio Giorgia Meloni.
Per non parlare di tutte le volte in cui la presidente del Consiglio, per rintuzzare le accuse di autoritarismo, ha insistito nell’accreditare i peggiori cospirazionismi no vax, come ha fatto ancora ieri, alla festa della Verità, riferendosi a chi oggi la critica ma ieri «usava gli idranti contro lavoratori inermi» (con riferimento appena velato a quei sindacalisti che pretendevano di bloccare il porto di Trieste contro l’obbligo del green pass). La tesi dell’evoluzione europeista, liberale, addirittura «draghiana» della leader di Fratelli d’Italia, insomma, è una barzelletta che non fa ridere più nessuno. Ma è comunque degno di nota, a proposito di barzellette, che un simile ombrello protettivo non riesca più a coprire i baldi esponenti della nuova, cosiddetta, classe dirigente.
Le innumerevoli prodezze dei La Russa e dei Lollobrigida, per stare solo ai nomi più illustri, senza scendere giù per li rami fino a Sgarbi, Sangiuliano e Santanchè, passando magari per Donzelli e Delmastro, sarebbero sufficienti a fare più volte il giro dell’alfabeto. E per ogni genere di assurdità: dalla «f» di Fiocchi, il candidato che sui manifesti si fa ritrarre a fucile spianato (unendo così al dilettevole della propaganda anche gli utili dell’azienda di famiglia, che produce armi) alla «p» di Pozzolo, come il deputato pistolero dell’indimenticabile festa di capodanno (il quale peraltro sostiene che a sparare sia stato il caposcorta di Delmastro).
Siccome difenderli è diventato impossibile anche ai più volenterosi, torna sempre più spesso l’argomento secondo cui il vero problema di Meloni sarebbero loro, incapaci di tenere il suo passo. Quando però atti e parole della presidente del Consiglio ne confermano l’assoluta sintonia con persone che del resto è stata lei a scegliere e a piazzare, al governo e nel sottogoverno, e dunque anche quell’argomento cade, si dice allora che i nuovi potenti siano troppo goffi e maldestri, perfino ridicoli, per essere davvero pericolosi.
Argomento ancora meno solido del precedente, per chiunque conosca minimamente la storia del fascismo, caratterizzato dal ridicolo non meno che dalla violenza. E siccome nell’Italia di oggi un regime fascista certamente non c’è, ma di fascisti ne girano ancora parecchi, sarebbe forse utile imparare a riconoscerli, anche da questi particolari. Come dimostrano da ultimo le parole, squisitamente monicelliane, con cui il generale Vannacci ha concluso la sua verbosa lettera di rettifica dopo la denuncia di Paola Egonu («Spero, signora Egonu, di avere compiutamente esplicato il senso delle mie espressioni e mi rallegrerei se in futuro, a sua discrezione, fosse possibile un amichevole incontro tra noi che mi permetta di esprimerle a voce i miei più sinceri sentimenti di viva cordialità e chiederle un autografo»). Nel fascismo la farsa è da sempre una parte essenziale della tragedia.