Il 7 maggio a Katowice, a circa trecento chilometri da Varsavia, la polizia ha comunicato di aver individuato e poi distrutto una cimice nella stanza in cui il Governo polacco stava tenendo il suo Consiglio dei ministri. Un luogo scelto in via eccezionale, a causa della partecipazione del primo ministro Donald Tusk a una conferenza economica che si sarebbe tenuta nella città.
La notizia arriva proprio nei giorni in cui nelle prime pagine della stampa polacca c’è la storia di un altro caso di presunto spionaggio. Quello che coinvolge la fuga in Bielorussia e conseguente richiesta di asilo politico di Tomasz Szmydt, un giudice della Corte amministrativa provinciale di Varsavia, fuggito nel Paese confinante a causa di quella che considera una «persecuzione politica». «Il giudice era ufficialmente in congedo, la notizia è uscita perché ha scelto di fare una conferenza stampa quando era già arrivato a Minsk», spiega a Linkiesta Aleksandra Tarka del quotidiano polacco Rzeczpospolita.
Ora la divisione Corruzione e Crimine organizzato della Procura nazionale ha aperto un’indagine a carico del giudice. L’accusa è di spionaggio e di partecipazione nell’attività di intelligence di un Paese straniero.
Ma la storia di questo giudice non sembra quella di una tradizionale spia. Tomasz Szmydt, ancor prima di essere tra i maggior sostenitori del precedente governo guidato da Mateusz Morawiecki, dal 2001 ha svolto la sua professione in molte corti ordinarie polacche senza partecipare in maniera attiva al sostegno di una precisa parte politica. Solo con la maggioranza guidata dal partito di estrema destra Prawo i Sprawiedliwość (PiS) ha iniziato a schierarsi e a ottenere diverse promozioni. Prima al ministero della Giustizia e poi come direttore dell’ufficio legale del nuovo Consiglio superiore della magistratura, istituto che si occupa di decidere chi potrà diventare giudice in Polonia.
La sua vicinanza alle posizioni del governo Morawiecki in questi ultimi nove anni è andata a farsi sempre più esplicita. Tanto da vederlo coinvolto anche in un’altra indagine, questa volta relativa alla campagna diffamatoria condotta nel 2019 nei confronti dei giudici polacchi, critici della riforma giudiziaria promossa dal partito di Kaczyński. Secondo l’accusa lui e l’ex moglie avrebbero partecipato alla macchina del fango messa in piedi da Łukasz Piebiak, all’epoca viceministro della Giustizia. Un hate affair col quale per mesi si è cercato di diffamare i magistrati polacchi che si opponevano all’illegittima riforma giudiziaria approvata dal PiS, che per anni ha compromesso lo Stato di diritto nel Paese.
Ma ora di questo rapporto che negli anni aveva legato Szmydt alla maggioranza non sembra essere rimasto molto. Mateusz Mikowski, giornalista di Rzeczpospolita riferisce un altro particolare: «Molti elementi indicano che dal 2015 Szmydt abbia avuto un rapporto stretto con alcuni politici del PiS che all’epoca lavoravano al ministero della Giustizia. Ma ora alcuni sostengono di non conoscerlo personalmente o di averlo incontrato poche volte, altri di non sapere nemmeno chi sia».
Tutti questi elementi però sono ora oggetto delle indagini della Procura, che comunque per il momento non sembra aver individuato alcun legame diretto tra il PiS e la fuga in Bielorussia di Szmydt.
Tuttavia, dopo qualche giorno di attesa lo scorso giovedì la sezione disciplinare della Corte suprema amministrativa polacca ha deciso definitivamente per la revoca dell’immunità del giudice, dando il via libera al suo arresto e alla successiva detenzione, sospendendolo ufficialmente dall’esercizio delle sue funzioni. Ma la fuga dell’ex giudice, che fino a pochi giorni fa continuava a postare su X foto che lo ritraevano sorridente a passeggio per la Bielorussia, sembra essere più di un semplice gesto politico. Per Adam Bodnar, ministro della Giustizia polacco, a preoccupare il dicastero è la presenza di indizi sul coinvolgimento di Szmydt in attività di intelligence russa, e della sua detenzione di materiale sensibile per la sicurezza della Polonia.
Ora si attende sia emesso il mandato di arresto e la conseguente comunicazione all’Interpol, che restringerebbe molto la libertà di movimento dell’ex giudice. Ma sulle possibilità di estradizione e sulla collaborazione bielorussa non sembrano esserci segnali positivi, soprattutto dopo che il presidente Alexander Lukashenko ha comunicato che prenderà in considerazione la richiesta di asilo politico dell’ex giudice, poiché dopo tutto «non si tratta altro che di un patriota», come ha precisato in risposta alla domanda di un giornalista.
Secondo Mikowski del quotidiano Rzeczpospolita, infatti, non c’è alcuna speranza che Szmydt ritorni presto in Polonia: «I rapporti con la Bielorussia sono andati deteriorandosi per molti anni e ora sono praticamente inesistenti, anche quelli stretti con le autorità di polizia. Credo che rimarrà là perché a Lukashenko e al Cremlino serve per alimentare la loro propaganda. Se ne serviranno finché ne avranno bisogno e poi se ne sbarazzeranno».
Proprio durante una conferenza stampa tenuta a Minsk la scorsa settimana, Szmydt ha spiegato ai giornalisti le ragioni della sua fuga. Secondo l’ex giudice l’influenza britannica e statunitense starebbe portando il Paese in guerra, trascurando completamente gli interessi dei veri polacchi, ancora oggi ben disposti a mantenere buone relazioni con la Bielorussia e il Cremlino. E che in tutto questo il nuovo governo guidato da Donald Tusk non farebbe altro che eseguire gli ordini sovranazionali, anziché incentivare un dialogo con i due Paesi. Ma secondo Oko press, quella del giudice polacco non sarebbe altro che una conclusione naturale di un rapporto basato sulla propaganda antioccidentale costruito in anni di relazione.
Un altro elemento che accresce lo stato di allerta. A gennaio le autorità polacche arrestano un altro cittadino sospettato di spionaggio a favore del Cremlino. Solo un paio di mesi dopo la polizia interviene con diverse perquisizioni tra Varsavia e Tychy, a circa trecento chilometri dalla capitale, scovando una rete di spie russe dopo una soffiata dell’intelligence della Repubblica Ceca. Secondo quanto riferito dall’Agenzia per la sicurezza interna polacca (Abw) l’obiettivo sarebbe stato quello di indebolire il profilo polacco sulla scena internazionale e insieme screditare l’Ucraina e le istituzioni europee che continuano a sostenerne la resistenza.
Nel frattempo il ministro della Giustizia Adam Bodnar solo la settimana scorsa ha dato la notizia di un ulteriore piano di sorveglianza, questa volta usato dalla precedente maggioranza di governo. Tra il 2017 e il 2022 più di cinquecentosettanta persone sarebbero state intercettate dalle autorità tramite tre diverse agenzie governative: la Central anticorruption bureau, il Military counterintelligence service e l’Internal security agency. A quanto riferito, la maggior parte dei sorvegliati sarebbero stati giornalisti, opponenti politici e organizzazioni umanitarie locali. E in tutti questi casi le agenzie avrebbero utilizzato il sistema di spionaggio Pegasus, il più famoso spyware al mondo, principalmente impiegato in attività di lotta al crimine e al terrorismo.
Lo stesso è stato utilizzato in Polonia in un altro caso salito alla cronaca. Quello scoppiato nel 2017 all’interno dell’esercito militare polacco che aveva coinvolto due soldatesse vittime di violenza sessuale e intimidazioni da parte dei rispettivi superiori. E che lo scorso aprile si è scoperto fossero state messe sotto sorveglianza speciale senza alcun motivo, se non quello di intimidire le loro dichiarazioni e costringerle a ritirare le denunce mosse nei confronti della gendarmeria. La sottotenente Joanna Jałocha e la caporale Karolina Marchlewska per sette anni sono state sottoposte a molestie e insulti per poi essere espulse dall’esercito. Ora si scopre che erano state intercettate dall’esercito in modo da ottenere materiale che ne potesse compromettere le testimonianze e la credibilità professionale. Entrambe verranno sentite nei prossimi mesi.
È innegabile che un aumento della sorveglianza svolto in queste forme sia un segnale poco incoraggiante per la democrazia. La Polonia comunque rimane anche uno dei Paesi più direttamente coinvolti nel conflitto che continua a fare morti al di là del suo confine e dunque un bersaglio eccezionale per la propaganda di Vladimir Putin, che con un governo ora meno simpatizzante di quello precedente non smetterà certo di tentate di infiltrarsi dove può.