Dopo avere inseguito per mesi l’illusione di fare cappotto, alzando continuamente la posta, per concentrare su di sé tutte le attenzioni e tutti i poteri in un gigantesco lascia o raddoppia politico-costituzionale («o la va o la spacca», come si è lasciata sfuggire venerdì), Giorgia Meloni si è resa conto di avere pronunciato qualche parola di troppo e ha pensato di potersele semplicemente rimangiare (a distanza di quarantotto ore, peraltro). Dando così la prima volta un segnale di arroganza, il secondo di debolezza.
Ora, si può discutere se gli italiani siano più inclini a perdonare la prima o la seconda, ma è storicamente dimostrato che tollerano pochissimo le due cose insieme. Una volta spremuto il tubetto, sarebbe stato più saggio rassegnarsi a buttare il dentifricio, o al limite lasciarlo lì. Dopo aver dichiarato con tono stentoreo, fiero e romanamente inflessibile che il premierato «è una riforma necessaria in Italia, o la va o la spacca: ma nessuno mi chieda di scaldare la sedia o di stare qui a sopravvivere, non sarei la persona giusta per ricoprire questo incarico», andare in tv a dire che no, ma che avete capito, «se poi la riforma non passa, ma chissene importa», fa un po’ sorridere.
Come sarebbe a dire «ma chissene importa»? Non era la madre di tutte le riforme, la sua missione, l’unico motivo per cui faceva questa vitaccia, sottraendo tempo prezioso ai suoi affetti? E adesso ci dice che non gliene importa niente? Non suona benissimo, obiettivamente. E non cancella affatto – anzi, rafforza – l’idea che il voto sul premierato sia un referendum su di lei.
Del resto, Meloni ha tentato di trasformare in un referendum su di sé persino le elezioni europee, che si svolgono con il proporzionale e non riguardano né il governo né il parlamento italiano. Si è candidata in tutte le circoscrizioni, pur non avendo la minima intenzione di lasciare Palazzo Chigi per il Parlamento europeo, com’è ovvio, e ha detto pure all’elettore: «Sulla scheda, scrivi Giorgia».
Un presidente del Consiglio dovrebbe mostrare maggiore senso delle istituzioni, ma soprattutto maggiore senso del ridicolo. Il tentativo di ritrovare i consensi che sente sfuggire non già attraverso i risultati di governo, ma rispolverando toni e contenuti delle campagne populiste condotte dall’opposizione, a cominciare dalle sempre più frequenti strizzatine d’occhio ai no vax, alla lunga, è destinato a irritare i sostenitori delusi e a compattare gli avversari. Vedremo come andranno le europee, ma di questo passo sulla scheda del referendum, ammesso che ci si arrivi, gli italiani scriveranno: «Ciao Giorgia».
Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.