Mark Francis, nato nel 1962 a Newtownards in Irlanda del Nord, è considerato uno dei massimi pittori britannici viventi, con due delle sue opere degli anni Novanta che fanno parte della prestigiosa collezione d’arte contemporanea del Parlamento europeo, attestando così la portata internazionale del suo impatto artistico. Il percorso artistico di Francis ha avuto inizio presso le prestigiose Saint Martins School of Art e Chelsea School of Art di Londra, emergendo successivamente come parte della generazione degli “Young British Artists”. La sua rapida affermazione nel panorama artistico è stata evidenziata da partecipazioni a mostre significative come The Adventure of Painting a Düsseldorf e Stoccarda e From Here a Londra, consolidando la sua posizione come artista di rilevanza.
La sua tecnica sfumata astratta, ispirata allo stile di Gerhard Richter, è uno strumento per rispondere, assistito e stimolato dalla scienza, a irrisolvibili dilemmi esistenziali. La sua arte è così una forma di scienza o di rappresentazione scientifica: dalle immagini che rivelano gli “sguardi” degli elettroni sulla materia, alle rappresentazioni dettagliate dell’universo attraverso i microscopi, fino alle interpretazioni grafiche dei dati provenienti dai radiotelescopi, le meraviglie tecnologiche e scientifiche da sempre sfidano e alimentano la sua creatività artistica.
Francis attraverso l’arte esplora e cerca di trovare un ordine nel caos dell’esistenza: per l’artista, infatti, tutto è collegato dall’infinitamente piccolo all’immensità del cosmo; è l’essere umano che non riesce ancora a comprendere tale visione di insieme. La sua pittura, sempre di natura astratta, si rivela così come una forma di narrazione visiva, in cui si possono facilmente scorgere evocative tracce di strutture astronomiche, biologiche e cellulari.
All’interno di questa cornice concettuale, la griglia, la rete e la connessione emergono come elementi fondamentali della sua estetica, contribuendo in modo significativo a plasmare la sua firma artistica. Sono gli strumenti visivi attraverso cui Francis esprime il suo dialogo unico tra la scienza e l’arte, invitando gli osservatori a contemplare la complessità del nostro universo. I suoi dipinti invitano sempre gli spettatori a immergersi nelle profondità dell’esistenza, esplorando il significato, il peso e il valore di concetti quali lo scambio e la relazione, senza però voler mai condizionarne pesantemente l’interpretazione con chiavi di lettura provenienti dall’esterno. Questa intervista ci porterà a esplorare più approfonditamente questo immenso universo creativo di Mark Francis, i suoi percorsi artistici e le intricate connessioni tra scienza e pittura.
Dopo aver frequentato scuole prestigiose, sei diventato un’artista: com’è accaduto e qual è stata la reazione della tua famiglia?
Il disegno è qualcosa di molto “naturale” per me: era un’attività che mi teneva occupato nelle serate sin dai primi anni di scuola. Copiavo illustrazioni da fumetti e libri di storia naturale. In casa mia, i miei genitori, mio fratello e mia sorella, erano tutti abili nel disegno, e per un periodo ci riunivamo addirittura tutti insieme intorno a un tavolo per dipingere e disegnare. Rimasi devastato quando all’età di sedici anni mi hanno dato appena una C in arte. Ho capito quanto indietro fossi in arte rispetto ai miei compagni di classe. Questa consapevolezza è stata per me uno stimolo a lavorare ancora più duramente, poiché avevo già deciso di voler intraprendere una carriera da artista. Alla fine, ho ottenuto una A. I miei genitori sono stati molto solidali con la mia scelta, anche se sapevano che sarebbe stato difficile guadagnarsi da vivere facendo l’artista. Inizialmente speravano che diventassi un artista “commerciale”, ma hanno completamente sostenuto ogni mia scelta. Cruciale è stato mio padre, che aveva un’azienda di stampa commerciale, e che aveva avuto l’opportunità di frequentare una scuola d’arte dopo la Seconda guerra mondiale. Lui, però, scelse di non fare l’artista a causa della pressione per guadagnare denaro. In qualche modo penso che mio padre abbia vissuto attraverso di me quello che lui non potè o non riuscì a cogliere nella sua vita.
La tua arte in che modo è maturata nel corso di quarant’anni di carriera?
Dalla fine degli anni Ottanta, la mia arte è stata influenzata e fortemente ispirata dalla scienza come punto di partenza. Ma tutto cambia mentre dipingo e l’influenza scientifica passa in secondo piano, e la meccanica della creazione di un dipinto prende sopravvento: a comandare sono forme, linee e colori. Durante il processo, c’è una consapevolezza della costruzione e del tocco fisico infuso nell’opera d’arte. È solo dopo aver completato un dipinto e aver passato del tempo a contemplarlo che le idee originali “scientifiche” che l’hanno ispirato riemergono gradualmente.
Cosa intendi quando parli di “scienza”?
Mi piace considerare che tutto nell’universo sia interconnesso. Una rete infinita e allentata di condotti collega tutti gli elementi dell’esistenza, risultando in una forma di caos organizzato. Così, trovo profonda fascinazione nell’esaminare mappe di città, osservando l’intricata rete di strade che collegano vari luoghi e la moltitudine di percorsi che si possono intraprendere per “navigare” da un luogo all’altro. Questo tipo di visualizzazione catalizza da sempre il mio interesse, non posso farne a meno. Perciò di solito mi impegno a lavorare su serie, ognuna incentrata su un tema “scientifico” specifico. La transizione da una serie all’altra avviene a volte organicamente, mentre altre sono pianificate meticolosamente. C’è sempre comunque una costante sottostante che ritorna a questo concetto di mappatura, che per me è insito della scienza… in fondo anche la mia pittura si può dire che sia “scientifica”, ovvero è essa stessa una diversa forma di mappatura, che parte da altre mappature.
Sei sicuro che il pubblico capisca sempre in modo semplice la complessità del tuo lavoro, che spesso sfocia nell’astrazione?
È una domanda che occupa i miei pensieri. Personalmente, tendo verso una direzione astratta, e quando osservo l’arte, questa è solitamente la mia scelta preferita. Alcuni dei miei dipinti più antichi possono essere visti solo in modo più letterale, poiché non avevano subito il processo di decostruzione in quel momento. In ogni caso, nel corso di tutta la mia carriera, una costante è stata la riluttanza a imporre tutte le mie idee e interpretazioni allo spettatore. L’interpretazione dei miei dipinti è un processo in corso e in costante evoluzione. Ogni spettatore può e deve avere una propria prospettiva, anche se lontana dalla mia. Per me, un dipinto assomiglia a una cipolla con strati multipli, destinati a essere compresi su diversi livelli.
Il tuo lavoro nasce dalla scienza che si fa gesto pittorico: perciò quale è il tuo rapporto con i gesti e i processi creativi?
Il gesto è forse uno dei più importanti comun denominatori della mia ricerca, anche se la sua esecuzione si è fatta con il tempo più sottile. Si manifesta nella trascinata sistematica del pennello con gradi variabili di pressione, che vanno da molto evidenti a estremamente delicati. In qualche modo, si allinea a un approccio orientato al processo, poiché l’esecuzione finale della maggior parte dei dipinti coinvolge una sorta di trascinamento sistematico, sia orizzontale sia verticale, su tutta la superficie. Questo processo appare ancora più forte con i dipinti più recenti che si basano maggiormente su una trascinata verticale.
Oserei dire che hai avuto un rapporto quasi conflittuale con il colore, mentre oggi le tue opere sono sempre coloratissime: cos’è cambiato?
È vero, nei miei dipinti più recenti, il colore ha assunto un ruolo centrale, diventando onnicomprensivo. Avverto di essermi immerso in una moltitudine di diverse relazioni cromatiche, creando un’esperienza travolgente, e credo di essere solo all’inizio di comprenderle. Al contrario, durante gli anni Novanta mi avvicinavo al colore con timore, usando con parsimonia poiché sembrava ostruire le idee che mi intrigavano in quel momento. Circa l’ottanta per cento dei miei dipinti erano monocromatici durante quel periodo, mantenendo un’estetica semplificata e più pura. Il colore nei miei dipinti attuali è collegato ai suoni, un concetto che mi è sempre sembrato naturale come artista.
Non solo pittura, ma anche carta e scultura. Trova limitante la definizione di pittore?
Mi identifico principalmente come pittore, ma è vero e inevitabile nella carriera di ogni pittore che capiti di provare la frustrazione di avere un’idea ma sentire che proprio la pittura non possa catturarne adeguatamente l’essenza al momento. Ciò mi ha spinto a sperimentare con la scultura e ho addirittura fatto una pausa dalla pittura di quasi un anno per esplorare queste possibilità. Mentre lavoravo come artista a Londra negli anni Novanta, ho osservato molti dei miei contemporanei che si cimentavano con vari materiali, suscitando a volte invidia dentro di me. Il seme per esplorare diversi medium è stato piantato in quel periodo ma ha impiegato altri due decenni per realizzarsi appieno. Attualmente, però, la pittura mi serve bene come strumento per le domande che mi pongo. Se quella dinamica cambiasse, potrei tornare a esplorare altri medium.
E adesso quali domande ti poni? Cambiano nel corso degli anni?
Come artista, continuo a pormi domande su ciò che creo. In definitiva, il mio obiettivo è creare un dipinto che sia in linea con i parametri che mi sono prefissato. Miro a coinvolgere lo spettatore e ad attirarlo nell’opera d’arte. Cerco risultati aperti, senza una conclusione definitiva. Il colore può trasmettere l’essenza del suono? È possibile utilizzare pattern per esprimere concetti legati alla mappatura? Può un dipinto illustrare concetti ipotetici privi di fondamento nella realtà? Il titolo potrebbe suggerire la direzione dei miei pensieri, ma il viaggio effettivo va oltre i limiti dell’espressione verbale, rendendo difficile esprimerlo a parole. In conclusione, trarrei grande soddisfazione dalla creazione di un dipinto che non svela immediatamente il suo significato. Lo spettatore dovrebbe provare o percepire qualcosa di diverso ogni volta. Per me, questo rappresenta il successo.