Sadica perversioneL’orrore di Rafah e l’ignobile comparazione con i morti del 7 ottobre

Anziché denunciare l’attacco al campo profughi e chiedere giustizia contro chi ha ordinato il bombardamento, i soliti odiatori di Israele hanno utilizzato l’orribile immagine del bambino decapitato per sostenere che i crimini umanitari di Hamas del Sabato Nero fossero esagerati o falsi

LaPresse

L’immagine di quell’uomo che tra i roghi dell’accampamento solleva e ostenta il corpo decapitato di un piccolo bambino avrebbe potuto essere usata per maledire la guerra, per denunciare la responsabilità di chi ha ordinato di bombardare quel sito e per chiederne la destituzione, per rimproverare a Israele di aver condotto un’operazione sconsiderata o criminale senz’altro, per pretendere altri processi, sanzioni, embarghi, tutto. 

E nel denunciare, rimproverare, pretendere tutto questo si sarebbe potuto non tenere conto in nessun modo delle spiegazioni finora fornite dai militari israeliani, e cioè che l’attacco non era programmato per essere attuato lì, né lì sarebbe avvenuto, bensì a una certa distanza, dove si sarebbero trovati dei comandanti di Hamas, e che l’incendio nell’accampamento si sarebbe determinato per l’esplosione di un deposito di armi o carburante. Tutte spiegazioni e ipotesi di cui comprensibilmente e legittimamente potrebbe disinteressarsi chi ritenesse oltraggiosamente intollerabile, e insuscettibile di qualsiasi rivoltante contestualizzazione, l’immagine di quel bambino senza più la testa.

Ma c’è chi ne ha fatto uso per altro. Non per imputare a Israele responsabilità criminali, non per pretendere condanne incondizionate, non per reclamare punizioni esemplari: ma per opporre quel piccolo corpo veramente decapitato alla “falsità” delle decapitazioni del 7 ottobre. Occorre una dotazione di ignominia inenarrabile per esercitarsi in un’operazione così malvagia, in un esperimento così ributtante. 

Ne parliamo perché l’atrocità di questa vicenda segnala in modo oscenamente efficace a quale livello di odio sanguinario si è ormai giunti nel confronto sulla tragedia in corso da quel Sabato Nero a questa parte. Ne parliamo perché un bambino sfracellato da una bomba nel corso di un’operazione militare è un orrore per il quale, come bisogna ripetere, si può maledire tutta la catena di comando militare e governativa del Paese responsabile e chiederne la destituzione, la carcerazione a vita, tutto quello che si vuole: ma adoperare quelle spoglie spappolate in una comparazione di “verità” con il bambino del Kibbutz meramente sgozzato o imparagonabilmente incenerito è qualcosa che non si definisce schifoso solo perché nessuno schifo ammonterebbe a tanto.

Erano in orgasmo, questi sadici, nel rinfacciare la genuinità di un corpo con il capo mozzato alle esagerate descrizioni di quelli che tutt’al più erano stati fucilati, scannati, mutilati, sventrati, bruciati vivi: ma decapitati, signori miei, davvero no.

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