L’esclusione di Roberto Saviano dalla delegazione italiana alla Fiera del libro di Francoforte, dove il nostro paese sarà ospite d’onore, è stata giustificata dal commissario Mauro Mazza con un argomento che negli ultimi tempi abbiamo sentito più volte e suona sempre fasullo, ma qui appare particolarmente incongruo: «Saviano non ci sarà perché, da un lato, abbiamo voluto dare voce a chi finora non l’ha avuta. Dall’altro, tra i criteri che ci hanno ispirato, c’è stato anche quello di scegliere autori le cui opere fossero completamente originali, quindi si è fatto questo tipo di scelta». Per quanto riguarda il secondo criterio, con quel «completamente originali», non penso sia necessario l’intervento di Sherlock Holmes per accertarne l’autenticità. Sbaglierò, ma a me suona tanto come «abbiamo deciso di non selezionare autori calvi con la barba, quindi si è fatto questo tipo di scelta». Molto più interessante, appunto perché ricorrente, è il primo criterio: «Abbiamo voluto dare voce a chi finora non l’ha avuta».
In fondo, è una variazione sul tema classico con cui la destra meloniana giustifica da tempo qualunque prepotenza, quello del «riequilibrio», che sarebbe dovuto a chi viene da anni di emarginazione e persecuzioni. Una storia del resto ben rappresentata da Mazza, cresciuto professionalmente nella redazione del Secolo d’Italia, che prima di occuparsi così bene della delegazione italiana alla Buchmesse è stato vicedirettore del Tg1, direttore del Tg2, direttore di Rai uno e direttore di Rai sport (mi scuso con lui se in questa sommaria ricostruzione ho dimenticato altri fondamentali passaggi della sua tragica esperienza di prigioniero politico).
Di fatto, il risultato del suo lavoro, piuttosto umiliante per il nostro paese, è che Saviano alla Buchmesse ci sarà comunque, invitato dagli editori tedeschi e persino dalla tv pubblica Zdf, mentre buona parte dei principali scrittori italiani ha rifiutato per protesta di partecipare. Dato l’esito evidentemente controproducente della manovra, anche Guia Soncini, su Linkiesta, ne ha tratto la conclusione che «magari fossero fascisti», sono semplicemente «balordi».
Tralascio il discutibile criterio, già utilizzato da Enrico Mentana a proposito del caso Scurati, secondo cui qualunque nefandezza escogitino, finché non riescono nel loro intento, possiamo stare tranquilli (ma dopo, domando, non sarà un po’ tardi?). Mi dispero piuttosto per dover constatare di non essere letto nemmeno dalla vicina di scrivania (escludendo categoricamente che qualcuno possa leggere le mie ficcanti osservazioni e rimanere in disaccordo) e sono pertanto costretto a ripetermi: la storia del fascismo è caratterizzata dal ridicolo non meno che dalla violenza. E siccome nell’Italia di oggi un regime fascista certamente non c’è, ma di fascisti ne girano ancora parecchi, sarebbe forse utile imparare a riconoscerli, anche da questi particolari. Nel fascismo la farsa è da sempre una parte essenziale della tragedia.
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