Water diplomacyNell’era della scarsità idrica le attuali politiche ambientali non bastano

L’innovativa Reuse brew segna un progresso significativo nelle tecnologie di riciclaggio. Resta ancora molto da fare, però, in termini di cambiamento climatico e crisi ambientale

AP

Lo scorso 6 maggio è stato annunciato il lancio della prima birra al mondo (la Reuse Brew), ovviamente tedesca, più precisamente bavarese, realizzata con acque reflue trattate di alta qualità. Lo sviluppo della Reuse Brew è il culmine di una partnership tra la cattedra di Brewery and Beverage Technology presso l’Università Tecnica di Monaco (Tum), la Cattedra di Urban Water Systems Engineering presso la medesima Università e il colosso tedesco nel trattamento delle acque Xylem, quotato alla New York Stock Exchange (Nyse) con più di ventritremiladipendenti.

Un significativo progresso nelle tecnologie di riciclaggio dell’acqua che offre una soluzione sostenibile alle crescenti sfide poste dal cambiamento climatico. «Reuse Brew non è semplicemente una birra eccezionale; esemplifica le vaste capacità del riciclo dell’acqua nel combattere il problema urgente della scarsità d’acqua», ha affermato Roxana Marin-Simen de Redaelli, vicepresidente di Xylem.

Il tema della scarsità d’acqua dolce è assai datato, ancor più il suo valore geopolitico. Secondo il “World Water Development Report 2024” delle Nazioni Unite, nel 2022 2,2 miliardi di persone non hanno avuto accesso ad acqua potabile gestita in sicurezza. Di coloro che non potevano usufruire neanche di servizi essenziali di fornitura di acqua potabile, quattro su cinque vivevano in zone rurali. La situazione relativa a servizi igienico-sanitari gestiti in sicurezza rimane grave: 3,5 miliardi di persone infatti non hanno accesso a questi servizi. E la situazione non potrà che peggiorare.

La lettura del Rapporto finale relativo al “VI Assesment Report Climate Change 2023” approvato di recente dal The Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) a Interlaken (Svizzera) parla fin troppo chiaro: i cambiamenti climatici intensificheranno il ciclo globale dell’acqua, aumentando ulteriormente la frequenza e la gravità di siccità e inondazioni. Più probabilità di inondazioni in alcuni paesi e in altri maggiori e più frequenti periodi di siccità tralasciando altri fenomeni climatici parimente (o ancor di più a secondo delle zone) preoccupanti. Fenomeni che possono colpire anche aree che consideriamo iper-sviluppate come Barcellona, città spagnola che nel 2008 ha dovuto importare acqua potabile dalla Francia.

Nemmeno a dirlo, l’anno 2023 è stato il più caldo da quando viene registrata la temperatura a livello globale (dal 1850). I dieci anni più caldi degli ultimi centosettantaquattro anni si sono verificati tutti durante l’ultimo decennio (2014-2023).

Peraltro, terzo elemento, ben poco abbiamo speso e realizzato per rilevare  – in maniera appropriata – gli andamenti dei  vari bacini idrografici presenti sul nostro pianeta. In un articolo della prestigiosa Mit Review “How to measure all the world’s fresh water” pubblicato nel dicembre del 2021 si fa riferimento alla scarsissima attenzione alla misurazione dei bacini idrici; si cita il fiume  Congo — secondo sistema fluviale più grande del mondo dopo l’Amazzonia — che una volta aveva una rete di circa quattrocento stazioni di rilevamento idrografico (all’epoca dell’artic ridotte a sole quindici, rendendo impossibile sapere esattamente come il cambiamento climatico stia influenzando uno dei bacini fluviali più importanti dell’Africa). Ma lo stesso accade in Texas negli Stati Uniti dove il monitoraggio on-the-ground riguarda solo poche centinaia dei loro circa settemila serbatoi.

A questo aggiungiamo che spesso, come nel caso del bacino del fiume Mekong, che si estende attraverso sei nazioni dalla Cina al Vietnam, i paesi non si scambiano i dati sulla disponibilità di acqua, sempre che li raccolgano.

Una buona notizia, in questo senso, ci arriva dal satellite Swot (Surface Water and Ocean Topography) lanciato da un Falcon 9 di SpaceX nel dicembre del 2022, che utilizza una tecnologia all’avanguardia di «interferometria radar» che permetterà di fare delle misurazioni accurate su scala globale dei volumi dei bacini d’acqua (fiumi, laghi e serbatoi) assemblando, unitamente ad altri dati già in possesso della comunità scientifica, un inventario globale delle risorse idriche per comprendere meglio il ciclo globale dell’acqua sulla terra.

Rimangono invece irrisolte, anzi sono in aumento, le lotte e le dispute tra i popoli e tra le nazioni sul tema dell’acqua: da chi vuole esercitare, attraverso l’uso della sua acqua (quella che passa sui propri confini)uno sfruttamento energetico e/o per sostenere la propria agricoltura e altri bisogni del proprio territorio creando, ovviamente, una sperequazione a svantaggio degli altri paesi confinanti.

Sul piano geopolitico l’Istituto di ricerca  “Pacific Institute for Studies in Development, Environment and Security”, nato nel 1987 in California, nel suo enorme database (Water Conflict Chronology) rileva che dal 2000 ai giorni nostri vi sono stati ben cinquecentotrentaquattro conflitti legati all’acqua.

Dal fiume Testa che vede India, Cina e Bangladesh in totale disputa o la stessa cosa per il Tigri e l’Eufrate che vedono coinvolti Turchia, Iraq e Siria, per non citare il  Nilo e il relativo conflitto sorto per la costruzione della più grande diga d’Africa in Etiopia ma che regolerà i flussi d’acqua del Sudan e dell’Egitto (negoziati inziati nel 2011 e ancora in essere).

O il Mekong (4880 km), una delle principali fonti di tensione tra Cina, Laos e Cambogia, il fiume Helmand (millecentocinquanta km) oggetto di violenze al confine tra l’Iran e l’Afghanistan, così come il fiume Anu Darya (2540 km) tra lo stesso Afghanistan e l’Uzbekistan, giusto per citarne alcuni.

«Vediamo [anche] un preoccupante aumento della violenza associata alla scarsità d’acqua peggiorata dalla siccità, dalle perturbazioni climatiche, dalla crescita della popolazione e dalla competizione per l’acqua» affermò Peter Gleick, co-fondatore e attuale Presidente Emerito del Pacific Institute, in un articolo del dicembre scorso del Los Angeles Time, peraltro autore di un importante libro pubblicato nel giugno sempre dello scorso anno “The Three Ages of Water”. Al momento la cosiddetta water diplomacy non sta producendo i risultati aspettati.

D’altronde il «conflitto dell’acqua» è una questione annosa e con svariati esempi risalenti nella storia dell’Umanità.  Il primo conflitto storicamente accertato risale al 2500 a.c., quando le città-stato di Lagash e Umma (nell’odierno Iraq sud-orientale) andarono in guerra per l’uso dei canali di irrigazione in Mesopotamia. Una guerra che durò a fasi alterne per circa un secolo con un numero incalcolabile di morti.

Il data base del Pacific Institute registra anche violenze e uso dell’acqua come strumento di guerra. Non entro in questo tema ma richiamo solo uno dei casi più eclatanti, quale l’omicidio di Bertha Cáceres, ambientalista e attivista di origini indigene, uccisa nel 2016 dopo anni di minacce per il suo lavoro per fermare un progetto di diga sul fiume Gualcarque in Honduras.

«L’esercizio della gestione dell’acqua è in definitiva un esercizio di potere. Qualcuno ha bisogno di costruire qualcosa da qualche parte nel cortile di qualcuno per controllare e gestire le risorse idriche. E [con questo] alcuni ne trarranno beneficio e altri perderanno» disse Giulio Boccaletti, direttore scientifico del Centro Euromediterraneo sui Cambiamenti Climatici e autore di pubblicazioni sul tema, in una intervista in occasione della Water Conference delle Nazioni Unite del 2023 (Un Water Conference 2023), tenutasi a Dubai negli Emirati Arabi Uniti. In cinquemila anni poco abbiamo imparato, e  le conseguenze davanti a noi per vari motivi climatici, demografici e di sviluppo economico saranno sempre più devastanti.

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