Alle Olimpiadi di Parigi che inizieranno a luglio potrebbe non esserci la swimming leg del triathlon, perché la qualità dell’acqua della Senna potrebbe mettere a rischio la salute degli atleti. La Ong Surfrider Foundation Europe ha mostrato che su quattordici campioni d’acqua prelevati presso il ponte Alexandre III da settembre 2023 a marzo 2024, tutti eccetto uno mostrano un’allarmante presenza batteriologica. Lo stesso presidente del Comitato organizzatore olimpico e paralimpico di Parigi, Tony Estanguet, ha spiegato che al momento si sta pensando di ritardare le gare, conservando l’ipotesi di cancellazione solo come extrema ratio.
«Onestamente, io nuoterei in qualsiasi caso», ha detto, con un po’ di leggerezza il triatleta Martin Hauser, consapevole del fatto che l’organizzazione dell’evento non gli permetterebbe di gareggiare se ciò presentasse un rischio per la sua salute. Si attende in questo scenario di incertezza la cerimonia di apertura, il 26 luglio, evento che si terrà proprio sulla Senna. Nello stesso tempo, alcuni politici, compresi il presidente Emmanuel Macron e la sindaca di Parigi Anne Hidalgo, hanno promesso tempo fa – per poi ribadirlo negli ultimi giorni – di essere intenzionati a «fare un tuffo» nel fiume prima delle Olimpiadi per mostrare quanto sia sicuro fare il bagno in quelle acque. Insomma, entro tre mesi servirà una Senna pulita, una Senna balneabile, dopo più di un secolo.
Le promesse di Macron e Hidalgo non sono solo una trovata promozionale pre-Olimpiadi: la balneabilità del fiume avrà un ruolo fondamentale nel prossimo futuro nel contrasto al riscaldamento della città. L’adattamento al cambiamento climatico è il tema al centro del rapporto commissionato dalla Ville de Paris, il Comune, e la cui relatrice è Maud Lelievre, presidente del comitato francese della International union for conservation of nature (Unic). Il rapporto è intitolato “Paris à 50°C” poiché, secondo uno studio dell’istituto Pierre Simon-Laplace, nel 2050 in molte giornate estive le temperature della capitale francese raggiungeranno i cinquanta gradi centigradi, confermando la tendenza al caldo estremo degli ultimi anni (nel 2019, è stata registrata la temperatura record di 42,6 gradi).
Il processo di adattamento climatico della città illustrato nel report si articola in tre punti, simboleggiati da tre colori, e corrispondono a tre aree di intervento su cui lavorare sinergicamente: il primo, le bleu, il blu, ovvero l’utilizzo dell’acqua per la rinaturalizzazione e il raffrescamento della città; le gris, il grigio, ovvero l’immenso piano di ristrutturazione e rinnovamento green dell’edilizia parigina; le vert, il verde, ovvero il progetto di rivegetazione e piantumazione di strade, piazze e edifici.
Le bleu
Il 21 marzo scorso, il prefetto Marc Guillaume, la sindaca Hidalgo e il presidente della Città metropolitana Patrick Ollier hanno presentato una lista dei nuovi trentadue – di cui ben ventotto nella Città metropolitana – siti dove dal 2025 sarà consentita la balneazione.
Sarà possibile attraverso un sistema di depurazione delle acque molto costoso, chiamato Stormwater treatment plant (Sdep), installato a Champigny-sur-Marne e inaugurato il 27 aprile. La costruzione è iniziata nel 2020, con un investimento da cinquantatre milioni di euro. È più piccolo del bacino di Austerlitz, aperto lo scorso maggio (ottomila metri cubi contro cinquantatre), ma a differenza di quest’ultimo il sistema di Champigny non si limiterà a immagazzinare l’acqua piovana, ma si occuperà della pulizia della stessa.
La vera innovazione sta nel fatto che, dopo aver separato l’acqua dai fanghi e dalla sabbia, entrano in gioco un centinaio di lampade a raggi ultravioletti con le quali, a detta degli operatori, si ottiene acqua pulita al 99,9 per cento e priva di batteri. L’obiettivo è liberare settecento litri d’acqua al secondo nella Marna, il principale affluente della Senna. Parliamo di una quantità «equivalente a una piscina olimpionica all’ora», come ha precisato Olivier Capitanio, presidente del consiglio dipartimentale della Val-de-Marne. Di fianco alla balneabilità della Senna, per far fronte allo scenario che si prospetta nel 2050, bisogna prepararsi per una gestione ottimale delle risorse idriche urbane.
In associazione con la Métropole du Grand Paris (Mgp), l’Eptb Seine Grands Lacs e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), la città di Parigi ha deciso di elaborare un vasto studio sulla gestione della carenza idrica nella zona metropolitana. Sono stati analizzati «diversi scenari di approvvigionamento idrico entro il 2030, 2050 e 2070 a partire da diverse ipotesi in termini di evoluzione climatica», indica il comunicato stampa, che poi precisa: «Al termine dello studio, l’Ocse proporrà misure per migliorare la resilienza della metropoli parigina di fronte ai rischi della carenza idrica».
Un tema rilevante è l’innaffiamento degli alberi e del verde. Inevitabilmente, se le risorse idriche diminuiranno saranno necessari dei compromessi tra la volontà di realizzare il «patrimoine végétal» e il fatto che ciò richieda una certa quantità di acqua. Yves Contassot, presidente della Paris climate agency, ha proposto di vietare sistematicamente l’irrigazione diurna perché l’evapotraspirazione limita i benefici per la vegetazione. Benjamin Gestin, direttore generale di Eau de Paris, ritiene che per innaffiare le piante si possa pensare all’acqua piovana, non disponibile nei periodi di siccità ma che, in periodi normali, asseconda a suo dire la «vocation» della vegetazione a nutrirsi con «l’eau qui lui tombe du ciel», l’acqua che cade dal cielo.
Il report si concentra poi sull’importanza delle fontanelle, per cui è opportuna una politica di promozione di un utilizzo ottimale delle stesse da parte della cittadinanza, e la necessità della realizzazione di mares, gli stagni urbani, nei giardini pubblici. Si tratta di un esempio che rientra nel concetto di «città spugna», che sfrutta le soluzioni basate sulla natura (Nature based solution) per reagire agli effetti dell’emergenza climatica.
Le gris
Il report analizza anche l’edilizia parigina. L’Atelier parisien d’urbanisme (Apur) osserva che negli anni si è progressivamente posto in secondo piano il concetto di habitabilité d’été, l’abitabilità estiva, concentrandosi sul comfort termico invernale. «Il novanta per cento degli edifici non è progettato per resistere a climi caldi», ha detto Emmanuel Grégoire, vicesindaco di Parigi delegato all’urbanistica.
Si arriva così al concetto di maladaptation, un processo di adattamento al cambiamento climatico incompleto o del tutto mancante. Negli anni, con l’evoluzione dell’architettura a Parigi, nonostante sugli edifici più moderni sia aumentato l’utilizzo di verde (tetti verdi, pareti verdi) e si sia lavorato per ottimizzare l’impatto energetico, si è sviluppata la tendenza a usare superfici vetrate, le quali si riscaldano considerevolmente.
Come dice l’assessore alla pubblica edilizia, Jacques Baudrier, è necessario «rinnovare completamente 1,4 milioni di abitazioni e ventuno milioni di metri quadri di uffici». Un piano che risulta un’impresa «titanesque» per ammissione stessa di Baudrier. Ma non si parte da zero. Infatti, già il Piano sul clima del 2007 aveva previsto una ristrutturazione massiccia di duecentocinquantamila unità di edilizia sociale, da completare entro il 2050. Se si proseguirà con il ritmo attuale, ovvero cinquemila unità all’anno, l’obiettivo sembra alla portata.
Parlando di soldi, il report osserva che si tratta di sessantamila euro per abitazione, di cui trentacinquemila per la quota destinata alla «ristrutturazione termica». In totale, centosettantacinque milioni all’anno per le tasche della Ville. Successivamente, nel 2020, viene elaborato il Plan Local d’Urbanisme (Plu), un progetto che tra le altre cose prevede un progressivo abbandono delle facciate in vetro, uno sviluppo della vegetalizzazione, la promozione di materiali di costruzione che siano isolanti termici e con un impatto ambientale minore e un utilizzo di sistemi aggiornati di ventilazione naturale degli edifici abitativi. Serve denaro, anche perché «i costi necessari alla trasformazione degli edifici non devono ricadere sui singoli proprietari o su singole imprese», insiste Baudrier, in quanto «il Plu sarà efficace come strumento di facilitazione».
Le vert
La vegetazione della città è la colonna portante dello studio. Per essere pronti a ciò che ci attenderà nel prossimo futuro è essenziale adottare il modello di una città naturale, con più verde e (molto) meno cemento. In questo specifico caso, come scritto in precedenza, anche meno facciate vetrate sugli edifici. In parte, per coniugare l’esigenza di rivegetazione, le ampie vetrate possono essere sostituite con le facciate verdi.
«Se i tetti verdi sono molto efficaci perché coprono grandi superfici e riproducono in maniera fedele delle tipologie di habitat naturale, riscontrabili, per esempio, in un parco, le facciate verdi sono più onerose dal punto di vista della manutenzione», dice il paesaggista Andrea Balestrini, director of research dello studio di architettura Land.
«Le facciate verdi», insiste Balestrini, «possono avere requisiti tecnologici maggiori», e tra le altre cose «non sono adatte a tutti i contesti urbani». Viste le potenziali difficoltà, nel report si dedica spazio anche al cool roofing, riguardo ai tetti, e al corrispettivo cool paving rivolto ad altre superfici, ovvero utilizzare colori chiari. Ma, come suggerisce Balestrini, «si tratta di soluzioni di mitigazione», poiché gli effetti benefici della vegetazione non possono essere sostituiti del tutto.
Le piante, infatti, rinfrescano l’aria facendo ombra, ma grazie all’evapotraspirazione delle foglie contribuiscono a valorizzare la biodiversità urbana e a migliorare in maniera consistente la qualità dell’aria. Per usufruire al massimo di queste qualità del verde, è da ripensare anche la modalità di scelta delle piante. Deve infatti prevalere la scelta climatica alla scelta estetica: per esempio, specie ad elevata densità di fogliame, capaci di resistere maggiormente allo stress idrico, sono da prediligere.
Serge Muller, ricercatore presso l’Institute de Systématique, Évolution, Biodiversité (Isyeb), ha fatto numerose proposte per ridare centralità all’albero nelle strade di Parigi, verificando prima di tutto che vi sia spazio sotterraneo sufficiente. Infatti, come ricorda Balestrini, «quando molti alberi in città vengono sradicati, non è unicamente responsabilità di venti eccezionalmente forti, ma il problema è il terreno», spesso degradato o fortemente cementificato, e che quindi «non consente uno sviluppo dell’apparato radicale tale da dare stabilità all’albero».
Un altro dibattito è quello legato alle piante autoctone. Da una parte, Elsa Caudron, responsabile del programma «Nature en Ville», sostiene che la vegetazione locale debba avere la precedenza su quella esotica, tenendo conto dell’interdipendenza degli insetti con le piante nel loro ambiente.
Dall’altra parte, Emmanuelle Baudry, ricercatrice all’Université Paris-Saclay, ritiene che la priorità data al verde autoctono non sia rilevante in un ambiente urbano artificiale in cui è impossibile ristabilire il classico ecosistema locale. Parlando di proposte e rischi, esiste un altro tema, ovvero quello sollevato da Sébastien Denys, di Santé Public France, e Agnès Lefranc, capo del Service parisien de santé environnement, per cui è necessario introdurre solo specie idonee. «Dobbiamo evitare il rischio di emergenza malattie infettive nella rinaturalizzazione della città», ha detto Denys.
Gli esperti coinvolti nella stesura del rapporto sono concordi nel dire che c’è ancora molto lavoro da fare. Non si può negare però che la sindaca Hidalgo, in carica dal 2014, oggi nel pieno del suo secondo mandato, negli anni abbia portato avanti una forte politica ambientalista.
Dal 2014, l’inquinamento dell’aria si è ridotto del quaranta per cento e dalla sua prima elezione sono stati implementati milletrecento chilometri di piste ciclabili. La lotta contro le automobili è proseguita all’inizio di quest’anno con un referendum che ha aumentato le tariffe di parcheggio per i veicoli pesanti come i Suv, mentre le rive della Senna sono state chiuse al traffico e l’accesso a Rue de Rivoli – che passa dal municipio e dal Louvre – è stato limitato a veicoli autorizzati.
Abbiamo trattato il tema delle città sostenibili nel nuovo numero di LK Magazine + Climate Forward del New York Times: si può ordinare qui, senza spese di spedizione.