Sei elezioni in tre anni e una paralisi politica semi-permanente che sembra irrisolvibile. Queste sono le condizioni in cui si trova la Bulgaria, membro tanto dell’Unione europea quanto della Nato alla vigilia di appuntamenti importanti come il possibile ingresso nella zona Euro e la piena adesione all’area Schengen. Le recenti consultazioni politiche, svoltesi lo stesso giorno del voto per il rinnovo del Parlamento europeo, hanno riproposto uno scenario incerto che, secondo alcuni, potrebbe aprire la strada all’ennesimo ritorno alle urne.
Il partito più votato dagli elettori è stato il Gerb, formazione politica di centrodestra capeggiata dall’ex premier Boyko Borissov, che si è aggiudicato il 24,7 per cento dei consensi mentre in seconda posizione è giunto il centrista Movimento per i Diritti e le Libertà con il diciassette per cento dei voti. In terza e quarta posizione, quasi appaiati, gli europeisti liberali di “Continuiamo il Cambiamento-Bulgaria Democratica (Pp)” e gli ultranazionalisti filorussi di Revival con il 14,3 e il 13,8 per cento dei voti. Chiudono il cerchio il Partito Socialista, filorusso, con il sette per cento, i populisti di “C’è un popolo come questo” con il 5,9 per cento dei voti e l’estrema destra di Velichie con il 4,6 per cento.
L’onere di provare a formare il prossimo esecutivo è nelle mani del Gerb che, sino allo scorso marzo, aveva governato per nove mesi in coalizione con il Pp. La coalizione era poi collassata a causa dei dissidi sulle riforme giudiziarie e sulla spartizione degli incarichi nella rotazione governativa prevista dagli accordi post-elettorali. Borissov, che aveva governato la Bulgaria per un decennio prima di rassegnare le dimissioni nel 2021 a causa delle massicce proteste anti corruzione che avevano sconvolto il Paese, si è escluso dalla rosa dei possibili premier perché poco gradito agli altri partiti. Manca una figura carismatica in grado di prendere in mano la situazione e il protrarsi della paralisi politica sta avendo pesanti effetti sull’elettorato.
L’affluenza alle recenti consultazioni è stata la più bassa dalla caduta del comunismo a oggi ed ha raggiunto appena il 33,4 per cento degli aventi diritto al voto. Il German Marshall Fund, un think tank apartitico statunitense, ha evidenziato come tutti i partiti in Parlamento, con l’eccezione del Pp, rappresentino il vecchio status quo che ha impedito alla Bulgaria di combattere la corruzione e l’influenza russa sul Paese. Sofia, secondo il think tank, è solo filo-occidentale ma spesso ha favorito gli interessi di Mosca.
Il più grande arretramento democratico è stato registrato durante il premierato di Borissov, nel periodo compreso tra il 2009 e il 2020. Il German Marshall Fund evidenzia come l’esecutivo di coalizione, guidato da Nikolay Denkov del Pp e collassato lo scorso marzo, sia stato il primo negli ultimi anni a imprimere un orientamento filo-occidentale alla politica estera bulgara, a combattere l’influenza della Russia e a promuovere riforme giudiziarie e anti-corruzione. La crisi in atto può favorire i tentativi di penetrazione del Cremlino, indebolire la credibilità internazionale di Sofia e minare la coesione dell’Alleanza Atlantica su un fronte caldo come quello della regione balcanica e del Mar Nero.
La Bulgaria ricopre un ruolo strategico dal punto di vista energetico perché il suo territorio è attraversato dal gasdotto Balkan Stream, un prolungamento del Turk Stream che consente al gas russo di raggiungere i Balcani e l’Europa Centrale senza passare dall’Ucraina. Mosca intende chiudere i gasdotti che attraversano l’Ucraina entro la fine dell’anno e il territorio bulgaro diventerà vitale per assicurare rifornimenti a nazioni alleate come l’Ungheria del premier Viktor Orbàn e la Serbia del Presidente Aleksandar Vucic. Sofia ha ridotto la dipendenza dal gas russo dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e, pur non ricevendone più, consente alla risorsa di transitare dal proprio territorio nazionale.
Le autorità locali hanno deciso di allacciarsi, grazie alla costruzione di un interconnettore, alla Trans-Adriatic Gas Pipeline che porta il gas dell’Azerbaigian verso la Grecia e di porre fine all’importazione di petrolio russo sostituendolo con greggio kazako, iracheno e tunisino. La Bulgaria era quasi totalmente dipendente dalle fonti energetiche russe prima dello scoppio della guerra in Ucraina e la decisione di tagliare questi legami ha rappresentato un punto di svolta per la nazione balcanica. L’incertezza politica rischia, però, di influire su questi mutamenti e di modificare le decisioni già adottate.
Sullo sfondo restano, poi, due questioni importanti che possono far accelerare o rallentare l’integrazione di Sofia con il resto d’Europa. La Bulgaria è stata parzialmente ammessa, insieme alla Romania, nell’Area Schengen e questo sviluppo ha posto fine a tredici anni di attesa dato che il Paese aveva soddisfatto da tempo i criteri richiesti per l’adesione. L’adesione è comunque parziale perché riguarda le sole frontiere aeree e marittime. Quelle terrestri continueranno a essere soggette ai controlli a causa del veto posto dall’Austria che ritiene possibile un eccessivo afflusso di richiedenti asilo provenienti da Bulgaria e Romania, le due nazioni più povere dell’Unione Europea.
Sofia intende inoltre entrare nell’Eurozona ma l’obiettivo di un ingresso nel gennaio 2025 non verrà raggiunto ed è possibile uno slittamento alla fine dell’anno prossimo. L’inflazione continua a ostacolare l’adozione dell’Euro da parte della Bulgaria ma anche l’instabilità politica e l’alternarsi di elezioni e governi non giocano di certo a favore, proprio come nel caso dell’area Schengen, della credibilità della nazione balcanica.
Il raggiungimento del duplice obiettivo da parte della Bulgaria è vitale per allontanare le mire di Mosca, per rafforzare la coesione interna e per offrire alla popolazione locale dei risultati tangibili portati dall’adesione all’Unione Europea. Un fallimento ed un protrarsi dell’incertezza giocano, invece, a favore dei populismi locali e degli estremismi che possono provocare un’involuzione dello scenario politico e della trazione filo-occidentale del Paese. I prossimi mesi saranno dunque essenziali per capire che direzione prenderà il Paese.