Può il vino essere un veicolo di narrazione e rivitalizzazione dei luoghi? La risposta, nel caso della Sicilia, è «sì». Lo hanno spiegato, nel corso del Sicilia Gastronomika Festival, due figure che, con competenze diverse, stanno esplorando nuovi percorsi di fare e comunicare il vino che nasce dall’isola. Guidati da Adua Villa, una delle prime figure che in Italia si è occupata in tv e in radio di divulgazione nel mondo del vino, Federica Fina (delle Cantine Fina di Marsala) e Nicola Marino Abate (enologo della Tenuta Marino Abate di Marsala), hanno raccontato il loro lavoro e l’impegno per far sì che diventi anche volano di un nuovo turismo.
Tutto parte dal tempo, come ha spiegato Adua Villa. Il vino regala tempo quando lo si beve. L’uva per diventare vino ha bisogno di tempo. E gustare del vino, andando nei luoghi dove lo si produce, richiede tempo. Un tempo diverso, fatto di qualità, non di quantità.
È un po’ la metafora di quello che è accaduto al panorama vitivinicolo siciliano. «Dagli anni Settanta agli anni Novanta, la viticoltura puntava sulla quantità per andare sul mercato con più facilità», ha spiegato l’enologo Nicola Marino Abate. «Con l’avvento di cantina come Planeta, Donna Fugata, Tasca d’Almerita, le cose sono cambiate. Alcuni hanno capito che lasciando la vigna per più del tempo, si raggiungeva un maggiore equilibrio produttivo-vegetativo che permette di avere un vino più elegante». Perché «la vigna vecchia ha una radice che arriva fino a due metri ed lì che prende tutti i minerali che danno succosità al vino».
Un mondo che ha bisogno di tempo ma che per forza deve guardare sempre al futuro. «Quando tu lavori l’uva di quest’anno, cominci a lavorare l’uva anche per anno successivo», ha spiegato l’enologo. «Lavoriamo qualcosa oggi che berremo in futuro», ma con un occhio sempre al passato. Perché «in bottiglia metti il tempo, incapsuli quella annata lì. Degustando un vino, recuperi la memoria del tempo atmosferico delle diverse annate. Si percepisce se è stata un’annata fresca o calda».
E ogni sorso di vino ha anche una storia da raccontare, rimanda alla terra che lo ha prodotto e ai produttori che ci hanno messo le mani. È quello che fa Federica, Chica, Fina nella sua azienda di famiglia, occupandosi delle visite guidate in cantina. «Nella collinetta dove oggi sorge la cantina, i miei genitori andavano a guardare i tramonti», ha raccontato. «Scoprirono poi che quella azienda era in vendita e, tramonto dopo tramonto, la cantina è diventata realtà nel 2005. Il mio compito, ora, è comunicare il nostro lavoro».
E sono sempre più i turisti che si muovono in lungo e in largo per la Sicilia in visita nelle cantine che aprono le loro porte con tour guidati e degustazioni. «Le persone che visitano la nostra cantina non sono per forza intenditori, ma anche semplici curiosi», ha spiegato Chica Fina. «Davanti a me trovo delle persone davvero curiose non solo sul vino ma anche sulla storia imprenditoriale». Ci sono i giovani, le famiglie, ma anche gli amici che festeggiano insieme una ricorrenza e scelgono questa esperienza per farlo.
«L’enoturismo è un’esperienza di viaggio che dà valore all’etichetta. Quando torneranno a casa e apriranno quella bottiglia, quel sorso li porterà di nuovo nei posti che hanno visitato». E per avvicinare i più giovani, di solito più dei cocktail rispetto al vino, «stiamo cercando di creare eventi un po’ “più rock” che creino appeal, ad esempio unendo degustazione e dj set». Perché «è un’opportunità avere un giovane in cantina, l’opportunità di educarlo al consumo dell’alcol». Ma anche di sfatare un po’ di falsi miti sul mondo del vino. Ad esempio: «Si dice che nella botte più piccola ci sta il vino più buono, in realtà è solo più strutturato perché ci sta per più mesi in affinamento». Anche se, ammette, la domanda che mi fanno più spesso è: «Come mai non fate il Prosecco?». E allora si capisce che c’è ancora tanto lavoro da fare.