Siamo a Palermo, a 350 metri sul livello del mare, a pochi chilometri dal centro città. A giugno si sfiorano già i trenta gradi, ad agosto si superano anche i quaranta. «Non è Rio de Janeiro, ma c’è un clima fantastico». Almeno per il caffè.
Andrea Morettino, rappresentante della quarta generazione dello storico marchio “Morettino”, si muove nella sua finca, tra le piante di caffè, come un fazendeiro sudamericano. Con il riscaldamento globale e le temperature che aumentano, quest’angolo di Sicilia ora sogna di diventare il Brasile d’Italia lanciando il primo caffè nativo siciliano.
L’azienda Morettino è riuscita a mettere in piedi una delle piantagioni di caffè più a Nord del mondo, facendo germogliare il primo chicco locale, cento per cento arabica. Fu Arturo Morettino, il padre di Andrea, a portare in azienda negli anni Ottanta i primi semi di caffè dal Guatemala. Da questi semi sono cresciuti in via sperimentale, intorno alla torrefazione, le prime piante all’aria aperta, che via via si sono adattate al clima siciliano a latitudini di gran lunga superiori rispetto alla cosiddetta “Coffee Belt”, ovvero l’area in cui viene tradizionalmente coltivato il caffè tra l’America latina, l’Africa Orientale e il Sud-Est asiatico. Nel corso degli anni i chicchi raccolti sono stati tostati per essere degustati o riseminati per dar vita a nuove piante nate e cresciute in Sicilia.
«Ma solo quattro anni fa abbiamo iniziato a capire che la coltivazione poteva effettivamente diventare reale “grazie” al cambiamento climatico», dice Andrea Morettino. Nel 2021, quando l’estate ha raggiunto un grado Celsius in più rispetto a dieci anni prima, Morettino ha ottenuto il primo «super raccolto» da trenta chili. Nel 2022 si è saliti a cinquanta chili, settanta nel 2023. E per il 2024 la previsione è di superare i cento chili. In due anni, in pratica, la produzione è raddoppiata. «Certo si tratta ancora di raccolti simbolici, ma ogni anno il quantitativo aumenta», dice Andrea.
Nella finca Morettino, la raccolta a mano delle drupe, i frutti del caffè, è appena finita. Il colore delle drupe va dal verde, passa per il giallo, diventando poi rosso intenso, quando è il momento giusto per la raccolta.
Qualche bacca è stata dimenticata sulle piante. Basta fare forza con due dita per staccarle, poi si spremono e si vedono sbucare i chicchi gialli coperti da una sostanza lattiginosa e zuccherina. Di solito se ne trovano due, i più fortunati ne trovano tre. Ma Andrea, sulla sua scrivania, ha conservato in bella mostra la prima e unica drupa contenente cinque chicchi.
I nuovi fiori bianchi, simili alle zagare siciliane, sono già comparsi qui e là sulle piante della finca. E si vedono già le giovani drupe verdi. Il ciclo che va dal fiore al frutto finale dura dai nove ai dodici mesi, ma a queste latitudini può essere anche un po’ più lungo. «Grazie alle temperature sempre più alte, la piantagione sta andando a ciclo continuo», spiega Andrea. «Si alternano fioritura e fruttificazione, troviamo fiori e drupe in continuazione. In un anno, ormai, riusciamo a fare anche sette microraccolti. E la prima raccolta, con il caldo che aumenta, è sempre più anticipata. L’anno scorso l’abbiamo fatta a maggio, quest’anno a marzo».
È la fotografia dell’adattamento dell’agricoltura ai cambiamenti climatici, che ha già portato diverse aziende agricole siciliane a specializzarsi nella coltivazione di frutti tropicali, tabacco e tè. Accanto a vigne, uliveti e agrumeti tradizionali, ora sorgono pintagioni di avocado, mango e papaya. Ed è stata recuperata pure l’antica tradizione della coltivazione di canna da zucchero.
Il dipartimento di Scienze agrarie dell’Università di Palermo monitora e studia da anni la “tropicalizzazione” dell’agricoltura siciliana. E nella finca Morettino sono sparsi diversi sensori che registrano temperatura, umidità e pressione, in modo da capire in quali condizioni le piante vanno in sofferenza.
«La pianta di caffè non deve mai scendere sotto i dieci gradi e non deve mai superare i trenta», spiega Nicola Battista, responsabile formazione di Morettino. «Qui, durante il mesetto di maggiore freddo invernale siciliano, ci siamo difesi con dei teli di materiale plastico. Ma il principale problema che abbiamo oggi è come difenderci dal caldo. In estate in Sicilia ci sono picchi di oltre quarantotto gradi. Nelle serre stiamo provando a favorire la ventilazione, ma per noi è uno studio in divenire». Anche perché, parallelamente, «c’è la paura degli acquazzoni, per cui ormai in una settimana vengono giù i volumi di pioggia di una stagione». Alcune piante sono più alte, altre più basse. «A volte interveniamo sul terreno con un’integrazione di elementi naturali, come magnesio, potassio e ferro. Ma non c’è un manuale che ci dice come dobbiamo agire, dipende tutto dai dati che raccogliamo, dall’osservazione e dal nostro continuo adattamento ai cambiamenti climatici».
L’area coltivata a caffè di Morettino copre in totale circa un ettaro. Le coltivazioni si trovano a Palermo, nel quartiere San Lorenzo ai Colli e all’Orto Botanico, e in alcune aree della Sicilia orientale, selezionate in base alle condizioni del suolo e del clima.
Alla raccolta manuale delle drupe, segue poi la lavorazione. A seconda del trattamento, con lavaggio o tramite il metodo naturale di essiccazione, la sostanza zuccherina viene eliminata o lasciata assorbire dai chicchi, che quindi avranno maggiore o minore acidità. Il sapore finale della miscela, dicono gli assaggiatori, ha i sentori tipici della terra siciliana, con note di uva zibibbo e carruba.
La notizia delle coltivazioni siciliane ha fatto il giro del mondo. E diversi Paesi ora vorrebbero replicare l’esperimento. «Mi hanno chiamato anche dalle Canarie e da Israele», dice Andrea Morettino.
Era la fine dell’Ottocento quando all’Orto Botanico di Palermo arrivarono da Etiopia e Somalia alcune piante di caffè, che furono custodite all’interno della Serra Carolina. Nei primi anni del Novecento, si decise di intraprendere l’esperimento di coltivare il caffè in piena terra, con lo scopo di affrancare l’Italia dalla dipendenza dei flussi commerciali con l’estero e aprire la strada ad una nuova “Via del caffè” tutta italiana. Nel 1905 si avviò la sperimentazione con le prime venticinque piantine. Ma non riuscirono a superare le temperature invernali. Ci riprovarono nel 1911, ma anche quella volta un’ondata di gelo distrusse le piante di caffè. Negli anni Quaranta, poi, i semi furono piantati nella Serra Carolina e qui riuscirono ad adattarsi perfettamente, raggiungendo nel tempo un’altezza di circa tre metri (queste piante si possono vedere tuttora all’interno della serra).
Oggi, a quasi centoventi anni dal primo esperimento in piena terra, l’Orto Botanico e Morettino ci stanno riprovando, «grazie» ai cambiamenti climatici. A giugno Morettino ha organizzato all’Orto Botanico la seconda edizione del “Palermo Coffee Festival”, coinvolgendo i produttori di olio e vino, ma anche quelli di frutti tropicali, tè e tabacco.
«Il progetto va visto in prospettiva, attualmente non ha finalità commerciali ma scientifiche e sperimentali», spiega Andrea Morettino. «I cambiamenti climatici devono farci riflettere sul presente e sul futuro della nostra terra, che ha mostrato segnali di sofferenza e rischi per le tradizionali colture, ma anche inaspettate potenzialità, come dimostrano il successo delle coltivazioni di frutta tropicale in Sicilia come mango, papaya, avocado, kiwi o litchi. Lo studio, condotto dal gruppo di colture tropicali dell’Università di Palermo, ha messo in evidenza che le coltivazioni di caffè made in Sicily sono paragonabili, dal punto di vista delle componenti bioattive e nutrizionali, a quelle delle zone tropicali di origine».
Il paradosso, però, è che le piantagioni di caffè richiedono tanta acqua e necessitano di un terreno sempre umido. Nella stagione calda ogni pianta necessita di un litro di acqua al giorno, in inverno un litro a settimana. «Questo, con la siccità di cui soffre la Sicilia, potrebbe essere un problema». È il cambiamento climatico, bellezza.