Il dolce salatoEducare i clienti è il modo di far quadrare i conti

Mantenere identità e autenticità nel proprio progetto imprenditoriale è un passaggio chiave per i giovani professionisti della pasticceria e saper trasmettere questi valori ai consumatori è fondamentale

©LorenzoCevaValla

Lavoro dunque sono, quindi cosa sono? La discussione al tavolo 14, “Il dolce salato”, in collaborazione con Petra Molino Quaglia, è partita subito in profondità grazie agli spunti storici, antropologici e filosofici che la moderatrice Anna Maria Pellegrino, blogger, consulente e grande appassionata di gastronomia, ci ha portato. Una pila di libri al centro del tavolo ha dato il via alla discussione, rendendo chiaro fin da subito quanto il terreno su cui i professionisti del settore under 40 stavano per confrontarsi fosse estremamente complesso, diversificato e con una lunga storia.

La discussione non ha seguito un percorso lineare ma si è sviluppata attraverso i racconti delle esperienze dei partecipanti, che ci siamo accorti presto essere accumunate da deviazioni di percorso e molta fame di imparare. Emerge che ciascuna persona seduta a questo tavolo è arrivata per motivi e con aspettative diverse: dalla pura curiosità alla manifesta volontà di essere qui per portare alla luce le problematiche del settore e lanciare una “rivoluzione gentile”, abbiamo provato a tracciare insieme una mappa dei temi più critici e delle possibili soluzioni che potrebbero migliorarli.

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La parola chiave che ha trovato intersezioni con tutti i temi affrontati è sicuramente identità; le nuove generazioni di pasticcieri, a partire da chi si sta ancora formando come Enrico, a Laura e Lorenzo che hanno fatto il coraggioso passo di mettersi in proprio (i loro progetti sono rispettivamente Dolceria Chantilly a Bologna e Oro Nero a Milano), non sono più disposte a rinunciare ai propri caratteri identitari e alla propria idea di pasticceria in nome dell’idea di “far tornare i conti”.

L’obiettivo risiede nel trasmettere a chi sta dall’altro lato del bancone come ogni dettaglio, dalla scelta delle materie prime fino agli orari di apertura, non sia lasciato al caso e rientri nel valore intrinseco di ciò che sta acquistando.

Sebbene la costruzione di un’identità gastronomica, che per alcuni diventa anche un brand, sia decisamente la via più impervia, è quella che può ripagare sul lungo periodo.

Quindi, a tutti i costi, identità consapevole. La domanda che resta è: come trasmetterla?

Comunicare con i clienti, destinatari delle creazioni dei pasticceri, è complicato e faticoso ma rappresenta l’unico modo in cui investimenti, sacrifici e costante impegno creativo possano trovare riscontro; diversi sono i mezzi a disposizione oggi, tra digital e social media che si uniscono al quotidiano racconto del prodotto in negozio, ma rimaniamo tutti d’accordo sull’autenticità come valore chiave da cui partire. Educare i clienti, in questo senso, è il modo di far quadrare i conti.

Tra le numerose tematiche invisibili che appartengono a chi lavora in laboratorio tra farina, burro e zucchero, abbiamo toccato la questione di genere. Dal gender pay gap (la disparità di retribuzione tra uomo e donna a parità di mansioni e responsabilità, purtroppo diffusa in ogni settore) ai pregiudizi legati all’essere donna nel mondo della ristorazione, emerge la frustrazione di doversi conformare a dei codici maschili per poter lavorare in brigata.

Tuttavia, conserviamo uno sguardo fiducioso verso il futuro, grazie ai cambiamenti positivi percepiti negli ultimi anni, che hanno visto emergere nuovi nomi di brillanti pasticciere.

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La riflessione non si è mai veramente interrotta, nemmeno nell’intervallo di pranzo quando le parole di Antonia Klugmann, in particolare, ci hanno ammutolito per quanto ci sia arrivata con immediatezza la sua passione e l’idea che l’unica vera via possibile sia perseguirla.

L’esigenza di corrispondenza con i propri piatti, la complessità e non ripetibilità della propria persona, e quindi conseguentemente delle proprie creazioni culinarie, ricalca il concetto di identità consapevole, con cui abbiamo aperto il dibattito al tavolo.

Infine, nell’invito alla riscoperta del gioco in cucina, come necessario contrappeso al controllo, abbiamo rivisto il concetto di cambiamento e metamorfosi, una delle tre parole chiave frutto del lavoro di questa giornata. All’appello di Anna Prandoni, a inizio Festival, a preservare, a tutti i costi, le professioni di coloro che lavorano con e insieme al cibo, rispondiamo con un incoraggiamento ad abbracciare il cambiamento e le deviazioni nelle nostre vite lavorative e ad accompagnarle con un po’ di gioco, ogni volta che sia possibile.

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