Fra undici giorni i primi elettori europei saranno gli olandesi, a cui seguiranno fino al 9 giugno gli altri ventisei Paesi europei. Nel 2019 quasi il sessanta per cento degli abitanti dei Paesi Bassi disertò le urne, ma una maggioranza relativa della minoranza degli elettori premiò Frans Timmermans come candidato di punta (Spitzenkandidat) dei socialisti europei e annientò l’estremismo razzista di Geert Wilders che non ottenne neppure un seggio nel Parlamento europeo.
Dopo quattro anni, quasi il doppio degli olandesi ha deciso invece di votare per la “seconda” Camera premiando la campagna razzista di Wilders, fondata su un mix di paure (immigrati, costo delle politiche ambientali, distruzione della ricca agricoltura intensiva, eliminazione dei paradisi fiscali, smantellamento delle multinazionali), che sarà così il maggiore azionista del nuovo governo relegando all’opposizione Timmermans e la sua cosiddetta “ideologia ambientalista”.
Vedremo se la stessa maggioranza di olandesi si recherà alle urne il 6 giugno per rinnovare i parlamentari europei, se il voto europeo premierà la campagna razzista di Wilders e quanti eletti del Pvv entreranno nel gruppo Id accanto al Rassemblement national di Marine Le Pen e alla Lega di Matteo Salvini.
Il successo di Wilders nelle elezioni legislative del 22 novembre 2023 ha rafforzato le speranze, o meglio le illusioni, di tutte le destre e le estreme destre europee – nonostante le sconfitte in patria di Vox in Spagna e del Pis in Polonia – di imporre nell’Unione europea un’alleanza che qualcuno chiama già “maggioranza Giorgia”, sul modello dei governi in Italia, Svezia, Finlandia, Repubblica Ceca ed ora nei Paesi Bassi, con ha uno sguardo benevolo all’Ungheria di Viktor Orban per sostituire la “maggioranza Ursula” del 2019 fra popolari, socialisti e liberali con il sostegno esterno dei Verdi.
La stessa Ursula von der Leyen ha del resto manifestato la sua propensione a liberarsi della casacca europeista indossata nel 2019 a condizione che quella nuova sia tessuta con i colori giallo e blu della bandiera ucraina — insieme alla bandiera della rosa dei venti bianca su campo blu della Nato -—considerata come l’unica, vera linea di discriminazione per future alleanze europee e accettando così il giudizio demolitorio di Giorgia Meloni secondo cui la nona legislatura europea «è stata contrassegnata da priorità e strategie sbagliate» e che «con le loro ricette folli, il loro centralismo ideologico, la loro assenza di visione le sinistre sono state i principali artefici dei fallimenti di questa Unione europea, un gigante burocratico che pretende di regolamentare ogni aspetto della nostra vita».
Come avviene ora nei Paesi Bassi, e come è avvenuto in Finlandia e in Svezia, una parte dei partiti liberali potrebbe decidere in Europa di abbandonare la linea di discriminazione europeista dividendone il destino politico da quello dei liberali francesi, belgi, tedeschi e lussemburghesi così come una parte dei popolari potrebbe decidere di allearsi non solo con i nazionalisti dell’Ecr, ma anche con i sovranisti “identitari” ora che il gruppo Id si è sdoganato dal peso ingombrante dell’Afd, che Le Pen e Meloni hanno scoperto di avere “valori comuni”, che la prima ha offerto a alla seconda di “unirsi in un unico gruppo” e che primi segnali di apertura alla destra sono venuti dal leader conservatore spagnolo Alberto Feijòo.
Nel suo discorso del 23 maggio come candidata di punta del Ppe — o meglio di una maggioranza del Ppe — von der Leyen ha cercato di gettare sui tavoli dei gruppi politici europei l’idea di uno spacchettamento trasversale delle alleanze non «fra i gruppi» ma «all’interno dei gruppi». In questo modo ha confermato la sua simpatia politica per Meloni sapendo che la composizione politica nel Consiglio europeo renderà inevitabile la scelta di uno/a presidente della Commissione europea proveniente dal Ppe e che la mancanza di coesione all’interno dei gruppi politici potrebbe condurre il Parlamento europeo a optare per una maggioranza assoluta a geometria variabile.
La scelta tattica di von der Leyen potrebbe tuttavia fallire prima nel Consiglio europeo, dove i capi di Stato e di governo non condividono il metodo dei candidati di punta e tre leader di peso come Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Pedro Sanchez mal accetterebbero una Commissione europea condizionata dai voti della destra nazionalista se non sovranista, e poi nel Parlamento europeo, dove il consenso verso il suo rinnovo sta lentamente evaporando senza considerare che gli ancora ipotetici alleati di estrema destra della destra conservatrice, come Le Pen in accordo con Salvini, considerano Uvdl come un «prodotto tossico».
Le incertezze sul destino europeo di von der Leyen hanno spinto del resto le cancellerie europee ad avviare una riflessione, per ora sotto traccia, su possibili alternative nella famiglia del Ppe come l’ex Taoiseach irlandese Leo Eric Varadkar, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis o sull’ipotesi di Mario Draghi. Quest’ultima è considerata tuttavia meno improbabile per entrare nel Palazzo Europa del Consiglio europeo piuttosto che nel Palazzo Berlaymont della Commissione europea.
L’idea di uno spacchettamento trasversale dei gruppi politici con un’alleanza che passi all’interno dei gruppi – tutti divisi su temi essenziali come la conversione ecologica, le politiche migratorie, la pace o la guerra, le politiche fiscali e di bilancio, l’allargamento o l’approfondimento per non parlare della riforma dell’Unione europea in una prospettiva federale e costituente – e non fra i gruppi dovrebbe essere seriamente presa in considerazione dagli innovatori europeisti per contrastare gli immobilisti e nazionalisti fin dall’inizio della nuova legislatura europea.
Questa idea dovrebbe realizzarsi a partire dalla procedura di nomina e di fiducia della Commissione europea e dell’Alto rappresentante degli affari esteri, pretendendo dal Consiglio europeo l’avvio di una vera concertazione sulla Agenda Strategica 2024-2024, su un vero equilibrio fra le istituzioni, sul rispetto della Carta dei diritti, sulla trasparenza del sistema istituzionale e sulla successione delle presidenze del Consiglio che garantisca la cooperazione leale.