Che cos’hanno in comune l’abruzzese famiglia Pepe, conosciuta per la sua produzione vitivinicola pluriennale, e l’imbattibile squadra bergamasca dei fratelli Cerea? Nonostante le distanze geografiche, i punti di contatto tra queste due eccellenze imprenditoriali italiane sono svariate e felici. In primo luogo la condivisa necessità, imprescindibile, di fare qualità con il proprio lavoro.
Che si tratti di uve pigiate o di paccheri al sugo, niente viene proposto al cliente finale se non si è certi della sua qualità. Entrambi i marchi sono famigliari, una conduzione che vede impegnati i vari membri della famiglia tanto in Centro Italia quanto al Nord, e con uno slancio sempre più forte verso le nuove generazioni e i giovani professionisti.
Tuttavia, nella familiarità del management non manca l’impresa, l’idea di azienda, di efficacia produttiva e gestionale, tutti aspetti che rendono un brand esportabile a livello internazionale, forte di un’identità propria sul mercato e competitivo. Non è tutto. L’umiltà e l’entusiasmo con i quali Sofia Pepe racconta ad ogni curioso – professionista o meno – «la storia di papà», le sue visioni e le sue intuizioni, incantano chiunque abbia pazienza di ascoltare.
Si è messi a proprio agio e resi partecipi di una storia famigliare che dagli anni Sessanta quando è iniziata, non ha mai smesso di evolvere, trasformarsi e rinnovarsi. Con contenuti diversi e mantenendo lo stesso understatement, Chicco, Bobo, il resto della famiglia e dello staff, aprono le porte di Da Vittorio come fosse casa loro. E lo è, a tutti gli effetti, con la stessa naturalezza di un grande pranzo in famiglia, tra amici, colleghi, conoscenti. Poco importa il grado o la tipologia di relazione perché a rendere tutti uguali ci pensano loro, come osti, ristoratori e autori di un manifesto della perfetta ospitalità italiana.
Quale migliore occasione se non i sessant’anni della cantina Emidio Pepe per farli incontrare, a Brusaporto, scoprendo la loro cucina confortevole accompagnata dalle migliori annate di Pecorino, Trebbiano e Montepulciano d’Abruzzo? Siamo nel 1964 quando il papà di Sofia fonda l’azienda. Un momento storico in cui chiaramente i vini sopracitati erano considerati vini da taglio, da bere giovani senza particolari invecchiamenti. Fortunatamente, Emidio scelse di fare il bastian contrario, credendo fortemente nelle potenzialità della sua terra, che lui stesso riteneva votata per la viticoltura e, perché no, per gli affinamenti.
Lo scenario è quello di Torano Nuovo, piccolo paesino immerso all’interno della Docg Colline Teramane. Ci troviamo a dieci chilometri in linea d’aria dal Mar Adriatico e a venti dal Gran Sasso, dove l’incontro tra l’aria marittima e i venti freddi di montagna assicurano un’escursione termica fruttuosa tra giorno e sera. I suoli argillosi e calcarei inoltre trasmettono quel timbro minerale specifico dei territori toranesi. Emidio decise di scommettere proprio sul Montepulciano, per restituire un valore sociale ancora prima che economico al vitigno. Dopo sessant’anni, non possiamo che riconoscere quanto il tempo abbia confermato il suo coraggio e quanto la scelta di lavorare seguendo il corso della natura gli sia stata premiante.
«Ogni annata ha un colore diverso e sentori differenti. È un vino vivo, che parla a distanza. Le quantità cambiano di volta in volta perché ogni raccolto è differente. In cantina non abbiamo macchine e ancora adesso, pigiamo l’uva a mano, o meglio con i piedi» racconta con trasporto Sofia. «Non usiamo legno bensì cemento proprio per non volerne intaccare il Dna. Il vino riposa qui per due anni e poi viene imbottigliato. A tutte le bottiglie diamo vent’anni di garanzia – un grande impegno – perché le controlliamo una ad una prima di metterle in commercio ma proprio perché si tratta di vini poco soggetti all’intervento umano, nei lunghi invecchiamenti la bottiglia sbagliata può capitare».
Se per diversi anni sono state Sofia e Rosa a portare avanti il lavoro del padre, oggi sono le nuove generazioni a farsi strada nella gestione concreta dell’azienda. «Attualmente ho lasciato la fase produttiva e mi occupo principalmente degli affinamenti e del racconto dell’azienda in Italia e nel mondo. Sono Chiara ed Elisa, la nostra terza generazione, ad avere in carica il lavoro in vigna e le scelte decisive sulla produzione. Ci confrontiamo costantemente, ma è in primis un momento di coerenza, per far sì che il lavoro sia sempre in continuità con quanto fatto in passato.
È fondamentale che ci sia un passaggio ai giovani, che siano loro a portare avanti la nostra storia perché non possiamo che imparare da chi ha mente più fresca e maggiori strumenti a disposizione». Dal 1964 a oggi il metodo di vinificazione in casa Pepe è rimasto pressoché immutato e ogni vendemmia rappresenta una nuova sfida. Da qualche anno, tra le sperimentazioni in vigna, Chiara ha inserito il latte. Dopo aver fatto un’esperienza in Francia dove questo sistema portava ottimi frutti, si è deciso di ricoprire le vigne con latte vaccino.
Questo ha la capacità, a contatto con la luce, di creare una trama sulla foglia, che la protegge dalla peronospora e dallo oidio. «Prima usavamo solo zolfo e rame» ci spiega Sofia «mentre oggi queste sperimentazioni sono portate avanti in maniera progressiva: ne studiamo prima gli effetti su porzioni ridotte e progressivamente su porzioni sempre maggiori». L’evoluzione che prende a braccetto l’eredità storica dei fondatori, il trapasso di padre in figlia, da nonno a nipote, è necessario e maturo, progressivo e coerente. Una grande azienda e, non a caso, una grande famiglia.