Per Israele l’eliminazione di Hamas è direttamente connessa alla formazione di una nuova amministrazione a Gaza. Lo ha detto ieri il portavoce principale dell’esercito israeliano: «L’idea che sia possibile far scomparire Hamas senza immaginare gli sviluppi futuri nella Striscia equivale a gettare sabbia negli occhi del pubblico», ha detto il contrammiraglio Daniel Hagari, portavoce dell’esercito israeliano, in un’intervista trasmessa al canale israeliano Channel 13, mostrando tutta la frustrazione presente tra i vertici della sicurezza di Israele, dovuta soprattutto all’incapacità del governo nazionale di proporre un’alternativa postbellica al governo di Hamas a Gaza.
Le parole di Hagari sono una logica conseguenza della tensione presente tra i militari delle Forze armate (Idf)e il primo ministro Benjamin Netanyahu, raccontata da Carlo Panella qui su Linkiesta. Dopo l’attacco guidato da Hamas del 7 ottobre, Netanyahu ha ripetutamente promesso all’opinione pubblica israeliana una «vittoria totale» sul gruppo armato terroristico palestinese: ha ripetuto più volte che la guerra non sarebbe finita se lo Stato ebraico non avesse distrutto l’esercito e il governo di Hamas.
Il problema è che potrebbe volerci molto tempo per sostituire Hamas a Gaza, per trovare una valida alternativa. Ma, come ha ripetuto Hagari, non esiste un modo per indebolire Hamas senza trovare un’alternativa.
Da settimane, anzi mesi, i più critici hanno attaccato Netanyahu per aver permesso che il caos travolgesse Gaza senza aver trovato prima – o nel frattempo – un piano chiaro per stabilizzare e governare la regione. Anche L’amministrazione statunitense di Joe Biden sostiene che l’Autorità Nazionale Palestinese, riconosciuta a livello internazionale, dovrebbe assumere l’amministrazione del territorio nel dopoguerra. Solo che su questo punto Netanyahu non è d’accordo. E gli stessi partner di coalizione del premier, in particolare l’ala più estremista, hanno chiesto di costruire nuovi insediamenti israeliani nella devastata Striscia di Gaza come già avviene in Cisgiordania. Netanyahu respinge anche questa ipotesi.
«L’apparente spaccatura tra il governo e l’esercito è arrivata in un contesto di crescente dissenso all’interno del governo sulla condotta della guerra e su questioni non correlate. Mercoledì Netanyahu ha invitato i membri della sua coalizione di governo a “controllarsi” e a “mettere da parte tutti gli interessi estranei” per concentrarsi sulla guerra», ha scritto Aaron Boxermann sul New York Times. Yoav Gallant, il ministro della Difesa israeliano, il mese scorso ha detto che l’indecisione del premier israeliano sta portando il Paese a due sole opzioni possibili per il futuro, entrambe sarebbero risultati negativi: o un regime militare israeliano a Gaza, oppure Hamas resta al potere lì dov’è. «Il popolo di Israele – aveva detto – ci osserva e si aspetta che prendiamo le decisioni giuste».
Intanto il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha detto che nessun luogo di Israele sarà risparmiato in caso di guerra totale, e ha minacciato per la prima volta anche Cipro, considerato «parte della guerra» se permetterà a Israele di usare le basi e gli aeroporti sull’isola per esercitazioni militari.
Non è ancora chiaro se Cipro offra strutture terrestri o basi marittime all’esercito israeliano, ma in passato ha consentito a Israele di utilizzare il suo spazio aereo per condurre occasionalmente esercitazioni aeree, mai durante il conflitto in corso.
A Cipro però ci sono due basi britanniche, utilizzate per operazioni in Siria e, più recentemente, nello Yemen, e sono fuori dalla giurisdizione del governo cipriota. Da lì sarebbero partiti alcuni aerei da combattimento e di rifornimento della Royal Air Force britannica per contribuire a contrastare il massiccio attacco di droni e missili lanciato dall’Iran contro Israele a metà aprile.
Dopo il discorso di Nasrallah, il presidente cipriota Nikos Christodoulides ha detto che il suo Paese «non è in alcun modo coinvolto» in operazioni militari nella regione o altrove.