Tregua vicina, ma non vicinissimaIl cessate il fuoco ora dipende da Hamas

La milizia terrorista ha consegnato ai negoziatori di Qatar ed Egitto la risposta sulla proposta di un accordo a Gaza, proponendo però modifiche sulle tempistiche e sul ritiro totale delle truppe israeliane dalla Striscia

Lapresse

Il cessate il fuoco è il modo più efficace per affrontare la crisi umanitaria in corso a Gaza. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha riaffermato il suo impegno e la sua disponibilità a trovare un accordo, almeno così dice il segretario di Stato americano Antony Blinken. A mancare sarebbe quindi il benestare di Hamas e dei suoi leader.

Ieri Blinken ha ribadito il suo appello al gruppo di miliziani che controlla Gaza affinché accetti il piano delineato dal presidente Biden giorni fa. Hamas ha dato un primo segnale positivo rispondendo alla risoluzione approvata lunedì dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a sostegno del piano proposto dal presidente americano. «È un segnale di speranza», ha detto Blinken dopo un colloquio con Netanyahu a Gerusalemme. In particolare, Hamas ha rilasciato una dichiarazione in cui accoglie favorevolmente «ciò che è stato incluso» nella risoluzione. Una risposta che però non può essere considerata definitiva: di fatto la leadership del gruppo, in particolare Yahya Sinwar, dovrebbe esprimersi pubblicamente e in maniera netta. Solo in quel caso si può mettere nero su bianco il cessate il fuoco.

Il piano presentato da Biden a maggio traccia una roadmap verso un cessate il fuoco duraturo e il rilascio di tutti gli ostaggi. È previsto un cessate il fuoco iniziale di sei settimane con il rilascio di alcuni ostaggi da parte di Hamas in cambio del rilascio da parte di Israele di un numero indefinito di prigionieri palestinesi. Una seconda fase vedrebbe il rilascio dei rimanenti ostaggi da parte di Hamas e il ritiro totale delle forze israeliane da Gaza nell’ambito di un cessate il fuoco “permanente”, e proprio quest’ultimo sarebbe ancora soggetto a negoziati.

Da qui il viaggio in Medio Oriente, l’ennesimo negli ultimi nove mesi, del segretario di Stato Blinken. Sintomo di un intenso sforzo diplomatico da parte degli Stati Uniti per cercare di spingere le parti a fare progressi sulla proposta, ma la conclusione di un accordo ha ancora grossi ostacoli. Anche da parte israeliana, in qualche modo: Netanyahu ha riconosciuto che il suo gabinetto di guerra ha autorizzato il piano ma non ha espresso sostegno inequivocabile, ad esempio. Perché i membri di estrema destra del suo gabinetto hanno minacciato di lasciare la coalizione e di provocarne il collasso se l’accordo andasse avanti, vedendolo come una resa a Hamas. Ma è soprattutto Hamas a non aver dato una risposta definitiva e formale al piano di Biden. E se non arriva quella, difficilmente si possono fare veri progressi.

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