Strategia zeroNetanyahu non riesce a vincere la guerra e non sa fare la tregua

L’offensiva israeliana non sta ottenendo quanto sperato e i miliziani nella Striscia continuano a combattere. Il piano Biden, i ricatti degli estremisti, il sì di due partiti ortodossi e la possibile crisi di governo

AP/LaPresse

Sullo sfondo delle notizie contrastanti di queste ore sulla possibile tregua nella Striscia, una realtà si impone sempre di più e determina gli avvenimenti: Idf, l’esercito israeliano, non sta affatto vincendo la guerra di Gaza, al contrario continua a muoversi con estrema difficoltà e ha raggiunto solo obiettivi parziali, ben lontani da quelli prefissati. Un bilancio militare sostanzialmente negativo. Questa è la notizia e su questo si deve ragionare.

Sono passati otto lunghi mesi dall’inizio delle operazioni militari nella Striscia, migliaia e migliaia sono state le vittime civili che costano a Israele un prezzo immenso sulla scena internazionale, ma Hamas non è per nulla sconfitto, né sta per esserlo. Il diabolico piano strategico ideato da Yahya Sinwar è fallito solo sul piano internazionale. Il “Fronte della resistenza” infatti non ha scatenato una guerra totale dal Libano, dalla Siria o dall’Iran, ma solo un’intensa guerra di usura a bassa intensità e soprattutto la piazza araba non si è assolutamente mossa, neppure in Cisgiordania.

A Gaza però sta funzionando a pieno l’immensa casamatta costituita dai settecento chilometri di tunnel in cui sono rifugiati i miliziani di Hamas con i loro ostaggi. La riprova? Non uno degli ostaggi è stato liberato dall’esercito israeliano. La seconda riprova? Hamas è ancora in grado di lanciare missili contro Israele, sia pure in maniera più dimostrativa che distruttiva. La terza riprova? L’obiettivo di sradicare completamente l’apparato militare di Hamas appare oggi irrealistico e sono proprio gli alleati americani ad affermarlo mentre invitano Israele ad accontentarsi del fatto che oggi i suoi miliziani non potrebbero replicare il pogrom del 7 ottobre, un obiettivo minimale.

Di fatto ha mostrato tutti i suoi limiti la strategia israeliana basata sul risparmio di vite umane dei propri soldati e quindi sull’impiego su larga scala dei bombardamenti aerei con “bunker buster”, le speciali bombe da novecento chili che avrebbero dovuto neutralizzare i tunnel sotterranei. Obiettivo mancato: questi intensi e diffusi bombardamenti hanno distrutto l’abitato di Gaza, ma i tunnel ne sono usciti se non indenni, quasi.

Sia chiaro, Hamas ha subìto enormi perdite, sia di migliaia di miliziani che di depositi d’armi e di tunnel bonificati e distrutti. Ma è ancora in grado di resistere, è assolutamente lontano dall’essere distrutto. Yahya Sinwar, dopo tanti mesi di combattimenti, è ancora in grado di dettare condizioni a lui favorevoli per una tregua. Questo anche perché alla sua resilienza inaspettata sul piano militare si è sommato un elemento determinante a suo favore: la campagna elettorale negli Stati Uniti. Mai, dai tempi della guerra del Vietnam, il peso della scadenza elettorale ha pesato in modo così profondo sulla conduzione di una guerra. Solo che questa guerra non è condotta dagli americani, ma Joe Biden rischia comunque grosso in alcuni Stati determinanti se non si imporrà sul riottoso alleato israeliano.

Da qui, la tregua sul tavolo in questi giorni, di fatto imposta da Washington. Bibi Netanyahu la subisce, anche a causa del difficile quadro militare sul terreno, in una situazione di crisi di governo virtuale. Alle pressioni per le elezioni anticipate che nelle settimane scorse sono venute da Benny Gantz, si aggiungono oggi le minacce di uscire dal governo nel caso si accettasse la tregua da parte dell’estrema destra di Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, mentre i due partiti religiosi degli Haredim l’hanno accettata.

Dunque, una situazione di tensione massima per il governo di Gerusalemme, che si riflette sull’implementazione della tregua, con un Netanyahu che parla solo di un cessate il fuoco temporaneo mentre Biden vorrebbe arrivare a una tregua definitiva.

Di certo c’è solo che se il presidente americano riuscirà a imporsi e si arrivasse, con questi rapporti militari sul terreno, a una fine delle ostilità, per la prima volta nella sua storia Israele dovrebbe prendere atto di non essere riuscito a vincere una guerra.

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