Gattopardo europeoAl Parlamento Ue doveva cambiare tutto perché nulla cambiasse (o quasi)

Le elezioni del 6-9 giugno hanno cambiato gli equilibri dell’Eurocamera, ma è probabile che la maggioranza politica rimanga la stessa

AP/LaPresse

All’indomani delle elezioni europee, che hanno portato alle urne appena più della metà degli aventi diritto (il 50,97 per cento secondo i dati ufficiali), a Bruxelles non è stato il risveglio da incubo che in tanti temevano. L’onda nera alla fine c’è stata ma non si è tramutata in uno tsunami e i principali partiti centristi e pro-Ue hanno retto piuttosto bene. E ora la maggioranza potrebbe essere allargata: probabilmente ai Verdi, ma non è ancora esclusa l’apertura (magari occasionale) alla destra.

Il risultato più importante, e quello che forse ha stupito un po’ di più, è la sostanziale tenuta dei principali partiti moderati dell’emiciclo, anche se con diverse sfumature nazionali. I Popolari (Ppe) sono arrivati primi alle urne per l’ennesima volta, aumentando i propri seggi dai centosettantasei della legislatura uscente a centottantasei. La volata l’hanno tirata soprattutto i tedeschi dell’Unione cristiano-democratica (la Cdu-Csu, che ha eletto ventinove eurodeputati), gli spagnoli del Partido popular (ventidue parlamentari) e i polacchi della Piattaforma civica di Donald Tusk (diciotto deputati). 

I Socialisti (S&D) hanno mantenuto il secondo posto, perdendo qualche eurodeputato (da centotrentanove a centotrentacinque) ma aumentando il proprio peso relativo in un’Aula che si prospetta ancora più frammentata. Qui le delegazioni più nutrite saranno quelle italiana e spagnola, con il Pd di Elly Schlein che dovrebbe portare in dote ventuno europarlamentari, uno in più del Psoe di Pedro Sánchez (che dovrebbe permettere ai dem di nominare il nuovo capogruppo a Strasburgo). Sono resuscitati anche i socialisti transalpini, che guidati da Raphaël Glucksmann hanno portato a casa tredici seggi. L’Spd del cancelliere tedesco Olaf Scholz è stata invece sbaragliata dalle opposizioni, arrivando dietro non solo all’Unione ma anche all’ultradestra di Alternative für Deutschland (AfD) ed eleggendo così solo quattordici deputati sui novantasei totali che spettano alla Germania.

Infine i liberali di Renew Europe, la terza gamba della “maggioranza Ursula”, sono calati vistosamente da centodue a settantanove eurodeputati, ma sono rimasti comunque il terzo gruppo dell’assemblea. La delegazione francese resta la più folta del gruppo e l’unica in doppia cifra (il che probabilmente significherà la riconferma della capogruppo Valérie Hayer) ma si ferma a tredici eletti, un crollo verticale rispetto ai ventitré uscenti. Lunedì Hayer ha confermato che Renew deciderà prossimamente sull’eventuale espulsione dei 4 eletti col Vvd olandese di Mark Rutte (reo di essere andato al governo con l’ultradestra di Geert Wilders), il quale potrebbe finire nel Ppe. Mentre pare che nel gruppo liberale entreranno i cinque eurodeputati eletti da Volt tra Germania e Paesi Bassi.

Ora, sulla carta queste tre forze politiche hanno i numeri per ricostituire da sole una maggioranza, che si attesterebbe a quattrocento seggi: una quarantina in più della maggioranza assoluta, fissata a quota trecentosessantuno. Ma non è detto che il sostegno di tutti i partiti che compongono questi gruppi sia monolitico. E questo si potrebbe vedere già a cominciare dalla prima importante votazione che gli eurodeputati saranno chiamati a fare nei prossimi mesi, forse già a luglio: la conferma del capo della prossima Commissione, che dovrà venire nominato dal Consiglio europeo nelle prossime settimane. 

Se, come probabile, la scelta dei leader dei Ventisette ricadrà sulla presidente uscente Ursula von der Leyen, potrebbero non essere sufficienti i soli voti della coalizione che l’ha supportata negli scorsi cinque anni a causa dei franchi tiratori inevitabilmente implicati da un voto a scrutinio segreto. Per essere sicura di poter succedere a se stessa, l’ex timoniera del Berlaymont dovrà quindi andare a caccia di altri voti. 

Il che apre un dilemma non solo per lei ma per i suoi stessi Popolari tra allargare la base parlamentare verso sinistra, includendo i Verdi (Greens/Efa), o verso destra, appoggiandosi ai pezzi “sani” dei Conservatori e riformisti (Ecr). Vale a dire quelli che rispettano le tre linee rosse tracciate dalla stessa Spitzenkandidatin del Ppe prima del voto: essere pro-Ue e pro-Nato, sostenere l’Ucraina (e non mantenere ambiguità sulla Russia) e rispettare lo Stato di diritto. 

Da parte loro, gli ecologisti si sono detti disponibili a “collaborare costruttivamente” con Ppe, S&D e Renew per governare l’Europa e mantenere in piedi il Green deal. Ma non è chiaro quanto peso possano esercitare nel nuovo emiciclo, né quanto i Popolari siano realmente interessati a trattare con loro, data la netta inversione di marcia dei cristiano-democratici sul Patto verde che è stato il fulcro del (primo?) mandato von der Leyen. I Verdi sono i veri sconfitti di queste elezioni: nella nona legislatura avevano settantuno deputati ma stavolta si sono fermati a cinquantatré, relegati alla sesta posizione. Questa batosta è dovuta soprattutto al crollo degli ambientalisti tedeschi (passati da venticinque a sedici) e francesi (scesi da dodici a cinque).

D’altro canto, von der Leyen potrebbe essere tentata di saggiare la collaborazione a destra con alcuni partiti dell’Ecr, a partire da Fratelli d’Italia che occuperà 24 seggi. Ma questo giochetto potrebbe costarle in un colpo solo il sostegno di Verdi, Socialisti, liberali e persino una parte dei Popolari (ad esempio i polacchi e gli spagnoli, che non accetterebbero un accordo con gli ultranazionalisti di PiS e i neofranchisti di Vox rispettivamente). Più probabilmente, l’asse Ppe-Ecr sarà più “fluido” (Nicola Procaccini dixit) e si creerà e dissolverà a seconda dei file legislativi, ad esempio su migrazione e Green deal. 

Una cosa certa è che, in ogni caso, alla destra dell’emiciclo si registreranno i maggiori movimenti. Qui, l’Ecr si è portato avanti rispetto a Identità e democrazia (Id): i nazional-conservatori guidati da Meloni si sono assicurati settantatré seggi (più undici) e il quarto posto, mentre i sovranisti – nonostante il risultato spettacolare del Rassemblement national di Marine Le Pen e Jordan Bardella (che ha eletto trenta europarlamentari e ha costretto Macron a indire a sorpresa elezioni anticipate) – sono scivolati a cinquantotto deputati dai settantatré attuali. A pesare su quest’ultimo dato è stata l’espulsione, lo scorso maggio, dell’AfD dal gruppo: ora la pattuglia dei quindici ultranazionalisti tedeschi siede nei “non iscritti”, insieme alla delegazione ungherese di Fidesz (il partito di Viktor Orbán, che ha eletto 10 europarlamentari). 

Al momento circolano molte voci sulle possibili ricomposizioni nel campo della destra radicale: Fidesz sta bussando da mesi all’Ecr e qualcuno menziona addirittura il rientro di AfD in Id. Magari accoppiato alla fuoriuscita del Rn francese, che potrebbe confluire nel gruppo di Meloni per scrollarsi definitivamente di dosso l’aura di impresentabilità che a Strasburgo si traduce nel famigerato “cordone sanitario” – una mossa tutto sommato strategica per il Rn, che potrebbe esprimere il prossimo primo ministro francese e porterebbe così a compimento il suo percorso di dédiabolisation.

Nei non iscritti ci sono anche gli otto nuovi eletti del Movimento 5 stelle, che stando alle indiscrezioni si sarebbero visti sbattere la porta in faccia dai Verdi a causa della freddezza sull’Ucraina. I pentastellati potrebbero a questo punto guardare ancora più in là: alla Sinistra (The Left), che è l’ultimo gruppo dell’Aula con trentasei eletti, oppure addirittura alla formazione di un nuovo raggruppamento “rossobruno”, dove potrebbero unirsi ai sei eletti nella lista tedesca di Sahra Wagenknecht (Bsw). 

Per creare un nuovo gruppo occorrono almeno ventitré deputati da almeno sette Paesi: i grillini ce l’hanno già fatta una volta con l’Ukip di Nigel Farage, e non è detto che non ci riescano nuovamente. Secondo i dati ufficiali – ancora provvisori al momento in cui scriviamo, perché non è ancora finito il conteggio in Irlanda – ci sono quarantacinque non iscritti (deputati già presenti all’Eurocamera ma non affiliati a nessun gruppo) e cinquantacinque nuovi membri (deputati che sono sbarcati per la prima volta a Strasburgo o che non fanno parte ufficialmente di nessuna famiglia europea, come la già citata Bsw oppure l’Aur romena o la Konfederacja polacca), per un centinaio di seggi totali che potrebbero essere ridistribuiti tra i gruppi esistenti o servire come base per crearne di nuovi. Seggi che fanno gola a tutti e che potrebbero effettivamente alterare gli equilibri descritti fino a qui.

Staremo a vedere. I gruppi politici si riuniranno tra il 18 giugno e il 3 luglio, e dovranno comunicare all’ufficio di presidenza la loro nuova composizione entro il 15 luglio. Dal giorno dopo inizia la sessione costitutiva della decima legislatura, che tra le altre cose dovrà eleggere il nuovo bureau: un presidente (che con ogni probabilità sarà di nuovo la popolare maltese Roberta Metsola, seguita a metà mandato da un socialista italiano o spagnolo), quattordici vicepresidenti e cinque questori. Più tardi, tra il 22 e il 25 luglio, si costituiranno le commissioni parlamentari. 

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