Reelpolitik Così i follower si possono trasformare facilmente in consenso elettorale

La polarizzazione e la sfiducia nell’establishment hanno confermato l’esistenza di un trend in corso ormai da qualche anno. Le recenti nomine a europarlamentare di youtuber, influencer e tiktoker descrivono l’enorme potere dei fandom durante le elezioni

AP/ LaPresse

Non più solo piazze e sale convegni, la politica si fa anche, e soprattutto, sui social. Lo dimostrano le recenti elezioni Europee, dove il consenso si è misurato anche in like e follower, poi trasformati in voti. E se in questo clima da reelpolitik da un lato è stato l’influencer ad aver indossato la cravatta, anche il politico si è armato di like. O, meglio, di persone che al posto suo se ne occupino, aumentando lo share. «La trasparenza totale impone alla comunicazione politica una temporalità che rende impossibile una programmazione lenta e a lungo termine. Più trend topic, meno programmi politici», sostiene il filosofo e docente sudcoreano Byung-Chul Han, uno dei più importanti esperti delle traiettorie della comunicazione politica nell’era dell’agora digitale.

Non sono solo i politici a rifarsi agli influencer per parlare a un pubblico che guarda loro come a delle barriere anacronistiche da superare. In un’epoca di astensionismo e sfiducia nelle istituzioni sono in molti a cercare risposte nei nuovi influencer. I social media diventano «political pipelines», condutture per l’educazione politica di un’intera generazione. Gli utenti, spesso disinteressati, sviluppano una connessione con i content creator che somiglia sempre di più a un’affiliazione politica.

«È la prima volta che voto. In passato nessuno mi ha spinto a votare, oggi è diverso, oggi sento una motivazione che mi porta qui», dichiara il neoletteo europarlamentare cipriota Fidias Panagyiotou alludendo scherzosamente a se stesso. Europarlamentare sì, ma anche youtuber con 2,62 milioni di iscritti al suo canale. Il ragazzo cipriota ha ricevuto il diciannove per cento dei voti alle recenti elezioni europee, diventando uno dei sei europarlamentari che Cipro manderà a Bruxelles. «Non sono l’unico ad andare in Europa, andiamo tutti quanti», ha detto ai suoi follower in un video pubblicato sul suo profilo Instagram immediatamente dopo le elezioni.

«Con i social chiunque può intervenire, non solo nel dialogo diretto con il politico, offrendo così la possibilità di una comunicazione bidirezionale, ma anche in relazione a qualsiasi argomento. A questi pro, ovviamente corrispondono dei contro. Un po’ come avviene durante le partite della nazionale, sui social tutti diventano CT», dichiara a Linkiesta Daniele Cinà, social media manager e consigliere per la comunicazione digitale del sindaco di Roma Roberto Gualtieri.

Panagyiotou aveva annunciato la propria candidatura nel gennaio scorso. Dopo aver detto di non sapere nulla di politica e non aver mai votato, lo youtuber aveva espresso l’esigenza di avere voci nuove, di non poter continuare «a obbedire alla voce dei nerd» di Bruxelles. «Voglio che sappiate che non ho interessi di partito da servire. Non mi adatto agli stampini», ci tiene a sottolineare, alludendo al fatto che non si conformi ad alcuno schieramento politico esistente. Un moderno Icaro – come lo definisce Cinà – in grado di superare «quello che per i cittadini comuni può essere il labirinto della politica e dell’ideologia».

«La maggior parte delle persone che hanno votato per lui sono persone che normalmente non votano. Molti miei amici che lo hanno votato credono li aiuterà. Non è il solo ad andare in Europa. Tutti i suoi sostenitori saranno in europarlamento con lui, o almeno sono convinti di ciò. E il problema è che non ha neppure annunciato quali siano le sue idee, il programma politico al quale si avvicina. Le persone lo hanno votato senza nemmeno sapere in cosa creda», dice a Linkiesta Ioanna, ventenne cipriota residente nella capitale, Nicosia. «Le persone sono frustrate, vogliono sollevare una questione, esprimere la loro insoddisfazione», aggiunge.

Anche la Spagna ha visto il trionfo di un altro influencer, Alvise Pérez, che ha conquistato tre seggi con i suoi ottocentomila voti, equivalenti al 4,59 per cento dei consensi. Alvise Pérez vanta quasi un milione di followers su Instagram. Roberta Cavaglià, fondatrice della newsletter Ibérica, lo definisce «un politico senza un partito che non ha molte idee originali, ma è molto bravo a copiare». Ha preso dal presidente argentino Javier Milei l’idea di sorteggiare chi riceverà il suo stipendio da eurodeputato, «una strategia formidabile di acquisizione di nuovi elettori», conclude Cavaglià.

In vista delle elezioni Europee, il 30 aprile 2024 Pérez ha fondato il partito «Se Acabò la fiesta» (La festa è finita), in linea con i tanti «è finita la pacchia» usata dalla destra in Italia dopo le elezioni del 2022. Pérez è la nuova stella nascente dell’estrema destra spagnola. «La Spagna è diventata il partito dei criminali, dei corrotti, dei mercenari, degli stupratori. Voglio distruggere il sistema dall’interno», dichiara a Euractiv subito dopo le elezioni. «I politici si sono dimenticati del loro popolo. Noi non lo faremo», aggiunge a El País all’indomani delle elezioni. 

Stribor Kuric, ricercatore del Centro Reina Sofia de la juventud, ha individuato una tendenza polarizzatrice nella fascia 15-29 anni. E tale polarizzazione avviene proprio online. «Se il contenuto pubblicato in rete genera dissenso, è provocatorio, diventa più virale, ha più visibilità e raggiunge più persone. Tutti i video di Alvise hanno tantissimi commenti e mi piace: viralizzazione immediata». E il rischio è la creazione delle cosiddette echo-chambers, «dove ci si unisce in modo sistematico a chi la pensa già come noi, portando la polarizzazione a livelli esasperati, e di fatto azzerando confronto e dialogo. Terreno, questo, ovviamente fertilissimo per i populisti, massimi esperti di risposte semplici a problemi complessi», dice Cinà commentando il caso di Pérez. Insomma, lo schema è analogo a quello di Fidias Panagyiotou.

Non è un discorso esclusivo dellEuropa: ammonta a circa un milione di dollari la cifra che il political action committee (Pac) dei democratici sta pagando a circa centocinquanta influencer affinché condividano post pro-Biden in vista delle elezioni di novembre.

Non meno rilevante è il caso di Jordan Bardella, l’influencer di origini italiane nato nelle banlieue parigine che rischia ora di diventare il futuro primo ministro francese. Presidente del Fronte Nazionale (Rassemblement National), Bardella ha ricevuto il trentadue per cento dei voti nelle europee, essendo stato in grado di trasformare il RN di Marine Le Pen in partito che parli ai giovani, e lo faccia in rete. Il «capitano», come lo chiamano i suoi seguaci, vanta 1,2 milioni di followers su Tik Tok. 

«La capacità intrinseca dei social media di mobilitare cittadini e attivisti su questioni politiche e sociali è davvero sorprendente. A tal punto che influencer, anche senza alcuna esperienza in ambito politico, si candidano e vengono eletti. Un po’ come, nel nostro Paese, l’antesignano influencer Beppe Grillo, sulla scia del successo del suo blog e al grido del Vaffa, spopolava portando in Parlamento “laggente”, così questo moderno influencer ha vinto questa sua ennesima sfida estrema e si appresta ad intraprendere un nuovo avventuroso viaggio nella politica europea», conclude Cinà.

È sempre più evidente come il digitale si trasli nel reale, andando a formare vere e proprie comunità politiche di appartenenti allo stesso fandom, letteralmente inteso come universo di fan(atici), uniti dalla passione per un comune oggetto o soggetto, influencer o tiktoker che sia. Il rapporto che si crea premia l’esposizione personale del soggetto fanatizzato, che non fa altro che rafforzare quella che diventerà in seguito l’affiliazione politica vera e propria. Il rischio è che la creazione di tali comunità vada a sostituirsi a un’educazione politica oggi mancante, oltre che a luoghi dove crearla, discuterla e diffonderla. Più che demonizzare il fenomeno, è forse il caso di iniziare a interrogarsi su come poterlo indirizzare. 

 

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