Questione di sfiduciaIl partito degli astensionisti e la disillusione della Gen Z al voto

Dall’ultimo rapporto Censis emerge un generale pessimismo degli elettori, soprattutto i più giovani. È anche per questo che nascono sempre più iniziative, come quella lanciata dall’associazione 20e30, per riportare le persone alle urne

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Traditi, sfiduciati, poco convinti. Questo è il preoccupante scenario che il Censis ha disegnato nel suo rapporto “Lo stato dell’Unione. Geografia sociale dell’Europa al voto”, pubblicato a inizio maggio, dove vengono riportati gli indicatori economici e sociali dei ventisette Paesi dell’Unione. Una mappa utile per capire i sentimenti degli elettori europei che si presenteranno alle urne tra poche settimane. I segnali non sono buoni: quasi un terzo degli elettori percepisce un senso di declassamento sociale, con disparità crescenti all’interno dei territori.

Queste sensazioni si riflettono in un aumento dell’astensionismo: il tasso alle ultime elezioni Europee del 2019 si è attestato al 49,3 per cento di media nell’Unione europea, con un picco raggiunto in Slovacchia (75,3 per cento) e un valore minimo toccato in Belgio (11,5 per cento). In questo contesto l’Italia si colloca poco sotto la media europea (45,5 per cento). Il fenomeno in Italia assume una tendenza particolare, visto che l’astensionismo è più evidente a seconda della votazione: tra il 1979 e il 2019 la percentuale di elettori votanti è scesa di quasi il trentacinque per cento, un calo che non si nota a esempio nelle politiche, che nel 2022 hanno comunque registrato un 36,1 per cento di astenuti.

Le ragioni di tale fenomeno sono tante: una di queste è sicuramente la fiducia nei confronti dell’Unione europea, visto che a oggi meno della metà dei cittadini europei ha fiducia nelle istituzioni comunitarie. Il dato relativo all’Italia è in linea con la media europea: il quarantanove per cento degli italiani ha fiducia nel Parlamento di Bruxelles e il quarantasei per cento nella Commissione europea. Una percentuale addirittura più bassa si registra in Slovenia, dove appena il trentasette per cento dei cittadini si fida del Parlamento europeo, e in Grecia, dove solo il trentatré per cento degli elettori crede nella Commissione europea. Contribuisce anche un clima di sfiducia nei confronti della politica nazionale, che spesso guarda al resto del continente in chiave esclusivamente interna.

Da qui nasce l’idea del Partito degli astensionisti, petizione lanciata dall’associazione 20e30. «Il nostro è un ossimoro, non vogliamo incentivare l’astensionismo ma riattivare la partecipazione in un contesto, quello disegnato dal Forum Ambrosetti con “Sbattersi”, il rapporto di Open Jam 2023, che evidenzia una profonda disillusione tra i giovani, convinti che il loro voto non conti. Il nostro proposito è mostrare che queste persone vogliono ancora partecipare al contesto democratico, ma vogliono soprattutto essere ascoltate», racconta l’avvocato ventottenne Mattia Angeleri, segretario di 20e30, organizzazione indipendente che vuole far sentire la voce di ventenni e trentenni. Il progetto è stato fondato nel 2022 insieme a Lorenzo Pavanello, 31 anni, che si occupa di trasformazione digitale in ambito sanitario, che invece ne è il presidente.

L’obiettivo, quindi, non è incentivare l’astensionismo ma ridurlo, specie quello volontario. «Dal dopoguerra il tasso di astensione è sempre cresciuto e potrebbe essere molto alto anche alle elezioni europee. Secondo quanto riportato dal Libro bianco, che tratta della materia, gli astensionisti si dividono tra gli involontari, coloro cioè che magari si trovano fuori dal loro collegio elettorale o non hanno l’età per votare, e i volontari, che per rabbia scelgono di non votare. Quest’ultimi sono quelli che vanno convinti a tornare alle urne», sottolinea Angeleri.

La petizione, un’iniziativa di 20e30 con il supporto di Factanza media, ha riscontrato un enorme successo e in pochi giorni ha ottenuto più di ventisettemila firme, soprattutto tra i più giovani. Sul proprio sito il Partito degli astensionisti dichiara: “Vinceremo le elezioni europee perché gli altri partiti: proporranno riforme per il consenso, non per il futuro; parleranno con i cittadini solo in campagna elettorale; ridurranno il confronto politico a slogan; sceglieranno i nomi dei candidati in base ai propri interessi; ignoreranno le promesse elettorali; prometteranno miglioramenti nella tua vita senza cambiare nulla; continueranno a ispirare sfiducia e disillusione”. Un manifesto elettorale di una generazione disillusa. «Dai messaggi che ci sono arrivati, sia precedenti alle elezioni politiche 2022 che a queste europee, notiamo come i firmatari sentano l’esigenza di riforme strutturali, che guardino oltre il breve periodo. Il dibattito tratta poco di tasse, pensioni future, diritti e ambiente: si rimane lontani anche perché non si percepisce un disegno a lungo termine», racconta Pavanello.

Le idee per incentivare la partecipazione politica sono tante, una questione sentita tanto in Italia quanto negli altri Paesi Ue. Per avvicinare maggiormente i ragazzi alle istituzioni, cinque Stati hanno abbassato l’età per poter votare alle elezioni europee: i sedicenni potranno votare in Austria, Germania, Belgio e Malta, mentre i diciassettenni potranno recarsi alle urne in Grecia. «Il tema, così come la digitalizzazione del voto, avrebbe un suo peso anche in Italia e avvicinerebbe la politica ai più giovani e a coloro che non votano. Il problema deve essere soprattutto superare il principio del “già tutto deciso”. Ogni voto ha una sua importanza e una sua valenza», evidenzia Angeleri.

L’esempio stesso dell’associazione, che ha volontari diffusi su tutto il territorio nazionale, indica come può esserci anche un modo diverso di esprimere la propria volontà. «20 e 30 è nato come un flashmob, ma oggi è qualcosa di diverso: in sociologia si definirebbe corteo digitale, qualcosa di differente da un circolo ricreativo o dalla sezione giovanile di un partito. Il progetto di 20 e 30 è strutturato, mentre la partecipazione in sé è libera, fluida: questo perché ci siamo resi conto che è difficile inquadrare i giovani in una dinamica di vecchio tipo», spiega Pavanello.

Un principio evidenziato anche lo scorso anno da Open Jam 2023, che sottolinea come le giovani generazioni preferiscano farsi sentire più sul web che nei processi politici tradizionali, spesso percepiti come inefficaci o non rappresentativi. Adesso tocca alle istituzioni politiche non lasciare sola un’intera generazione.

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