Manca ormai pochissimo al weekend elettorale di sabato 8 e domenica 9 giugno, quando i ventisette Stati membri dell’Ue saranno chiamati alle urne per eleggere i nuovi componenti del Parlamento europeo. Un appuntamento che vale moltissimo in termini di definizione dei futuri equilibri politici e internazionali del continente, ma che in Slovenia promette di valere tre volte tanto. O, forse, perfino quattro.
Già, perché nelle cabine elettorali del più piccolo Paese dei Balcani, i poco più di due milioni di cittadine e cittadini sloveni troveranno, oltre alle schede per il rinnovo dell’Eurocamera, tre ulteriori schede per esprimere il proprio voto in merito ad altrettanti referendum consultivi che riguarderanno la legalizzazione dell’uso della cannabis, la morte assistita e l’introduzione del voto preferenziale nelle elezioni generali. Una prova generale in vista di un altro referendum, quello sul nucleare, recentemente confermato per fine novembre.
La legalizzazione della cannabis in Slovenia è un tema molto dibattuto, tanto che il quesito referendario ha subito numerose modifiche durante l’iter parlamentare, fino alla struttura definitiva: gli elettori saranno chiamati a esprimersi su due domande separate, una sulla cannabis terapeutica (la cui vendita e consumo per scopi medici è attualmente già consentita) e un’altra sulla “coltivazione e possesso di cannabis per uso personale limitato”, attualmente vietati.
Secondo i fautori della proposta, modernizzare le politiche sulla cannabis potrebbe rappresentare per la Slovenia un’opportunità inedita nel campo della ricerca e dello sviluppo industriale, tale da attrarre investimenti anche dall’estero. Richiamando invece le applicazioni della cannabis in campo medico, già nel 2020 il dottor David Neubauer, pediatra e neurologo infantile presso l’Ospedale pediatrico universitario di Lubiana, elencava gli «ottimi risultati» dei cannabinoidi su pazienti anche giovanissimi affetti da epilessie e encefalopatie.
Il referendum di giugno proietta la Slovenia al fianco di altri Paesi europei alle prese con una revisione delle normative in merito alla legalizzazione della cannabis a uso ricreativo: lo scorso 1° aprile in Germania è entrata in vigore una legge che consente ai maggiorenni di coltivare fino a un massimo di tre piante e di possedere fino a cinquanta grammi di cannabis nella propria abitazione, mentre nei luoghi pubblici è tollerato avere un massimo di venticinque grammi.
Intorno alla morte assistita, da inizio anno si sono susseguiti intensi dibattiti e scontri politici, con il Parlamento che a marzo aveva respinto nettamente un disegno di legge presentato dalla Ong Silver Thread per il diritto a una «vecchiaia dignitosa». Nel weekend elettorale di giugno verrà chiesto ai cittadini di esprimersi sulla possibilità di una legge che regoli il fine vita, diritto che verrebbe garantito ai malati terminali restando invece un’opzione non percorribile per le persone con disturbi mentali acuti.
Sebbene i sondaggi mostrino come la maggioranza dell’opinione pubblica risulti per lo più favorevole alla proposta (63,5%), le associazioni dei medici hanno avanzato forti rimostranze, sia a causa del mancato consulto preventivo sia per questioni di natura etica. Secondo Radko Komadina, presidente dell’Ordine dei medici sloveno, la soluzione già esistente sono le cure palliative: in Slovenia, tuttavia, queste terapie vengono considerate ampiamente inadeguate e il loro livello di accessibilità non è il medesimo in tutto il Paese, a causa del profondo divario esistente tra sanità pubblica e privata.
Il terzo e ultimo argomento sul quale gli elettori saranno chiamati a votare è probabilmente quello meno controverso e riguarda la possibilità di prevedere un voto preferenziale nelle elezioni generali, durante le quali è consentito votare esclusivamente un partito. Pensandoci, quasi un paradosso dal momento che i cittadini si troveranno a esprimere contestualmente proprio un voto di preferenza per il rinnovo del Parlamento europeo.
La scelta di combinare le tre consultazioni popolari con il voto europeo ha spaccato la politica di Lubiana: lo scorso 25 aprile la Državni zbor, l’Assemblea nazionale slovena, ha approvato la data del 9 giugno proposta dal partito di maggioranza Movimento Libertà (Gs), a cui fa riferimento il primo ministro Robert Golob. Una decisione che ha però scatenato le proteste da parte dei conservatori di Nuova Slovenia (Ns) e degli altri partiti d’opposizione, su tutti il Partito democratico (sloveno Sds) guidato da Janez Janša. La critica principale mossa dall’ex premier è di aver deliberatamente unito alle elezioni europee tre referendum che godono «di un ampio consenso politico», per quanto giuridicamente non vincolanti vista la loro natura consultiva.
Dopo il voto di giugno, a tenere banco ancora per un bel po’ di tempo sarà invece il referendum consultivo sul nucleare, approvato quasi all’unanimità lo scorso 23 maggio dal Parlamento sloveno. Ai cittadini sarà chiesto di esprimersi in merito alla creazione di una nuova centrale nucleare a Krsko, una cittadina di settemila abitanti lungo il corso della Sava, poco distante dal confine con la Croazia e a 170 chilometri da Trieste. Proprio a Krsko si trova già il reattore Nek, in funzione fino al 2043: con la centrale a carbone di Sostanj destinata a chiudere e le fonti rinnovabili come solare e eolico non ancora sufficienti a sostenere il fabbisogno energetico nazionale, l’obiettivo è quindi la costruzione di un secondo reattore Nek2 che, «insieme ad altre fonti a basse emissioni di carbonio, garantirà una fornitura stabile di energia», come si legge nel testo del quesito.
Con una dipendenza energetica del quarantasette per cento, ad oggi il fabbisogno nazionale è coperto al venticinque per cento dalle fonti rinnovabili e al venti per cento dal nucleare. Il reattore di Krsko, inoltre, produce anche il sedici per cento dell’energia croata, dal momento che Zagabria è co-proprietaria della centrale. Ecco allora che la Slovenia potrebbe cogliere l’opportunità di investire sul nucleare come strategia per puntare sulla sostenibilità, sganciandosi dal consumo di combustibili fossili: il referendum di novembre rappresenterebbe in tal senso il primo passo verso l’approvazione di un progetto dal costo complessivo di quasi dieci miliardi di euro e la cui realizzazione potrebbe arrivare entro il 2038, proprio a ridosso del “pensionamento” del reattore originario risalente al 1983.
Attenzione però a non sottovalutare il discorso legato alla gestione dei rifiuti radioattivi: entro il 2027 dovrebbe entrare in funzione l’impianto di stoccaggio per lo smaltimento delle scorie di Krsko costruito nei pressi di Trgovska Gora, lungo le sponde del fiume Una sul confine fra Croazia e Bosnia-Erzegovina. Sarajevo ha contestato fortemente la scelta del luogo, considerando che l’impatto ambientale sul bacino del fiume ricadrebbe direttamente sui quasi duecentocinquanta mila cittadini che abitano i tredici comuni della zona. Per il momento, però, Zagabria sembra intenzionata a portare avanti un investimento di oltre duecentoventi milioni di euro, in attesa che da Lubiana il referendum faccia luce sul futuro del nucleare nell’intera regione.