Quando si pensa agli argomenti più polarizzanti, soprattutto in Italia, quello che riguarda la cannabis e la sua legalizzazione è quasi sempre in cima alla lista. Sembra una regola aurea: intavolare una conversazione pacifica e oggettiva sulla cannabis significa accettare di trasformarsi in don Chisciotte, una versione moderna del celebre personaggio di Cervantes che però, invece dei mulini a vento, è conscio (oppure no) che dovrà affrontare pregiudizi e una serie incalcolabile di banalità. «L’Italia resta, insieme a pochi altri, uno dei paesi con le leggi più severe. Perché la guerra contro la droga in Italia è principalmente indirizzata a una sola sostanza, la meno pericolosa, ovvero la cannabis», dice Antonella Soldo, attivista ed esperta di politiche sugli stupefacenti, coordinatrice dell’Associazione Meglio Legale, ente attivo per la legalizzazione e decriminalizzaizone della cannabis.
Fazioni, antagonismi e semplificazioni sono onnipresenti, il confine tra becero allarmismo e mera propaganda si rivela spesso labile. E mentre la Germania pianifica di legalizzare la cannabis a partire dal 2024 in Italia la politica ragiona per dogmi e preconcetti, rischiando di mandare in fumo l’ennesima possibilità di riflessione.
Nel 2020 circa il quattro per cento della popolazione mondiale ha fatto uso di droghe, nello specifico di cannabis. A dirlo è l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) che nel report annuale del 2022 offre una panoramica delle sostanze più usate, al primo posto della classifica la marijuana che interessa ben duecentonove milioni di persone nel mondo, seguita da oppio (con sessantuno milioni di consumatori nel 2020) e cocaina (con ventuno milioni e mezzo di consumatori), che coprono rispettivamente l’1,2 per cento e lo 0,4 per cento della popolazione mondiale.
Stime ingombranti che evidenziano la necessità di occuparsi attivamente della questione anche perché, sempre secondo Unodc, negli ultimi dieci anni la percentuale di persone che hanno fatto uso di cannabis è aumentata del ventitré per cento, con la massima concentrazione di consumatori (il 16,6 per cento) in Nord America. Una tendenza che investe anche l’Europa, dove nel 2021 circa ventidue milioni di cittadini tra i quindici e i sessantaquattro anni ha fatto uso di cannabis, ovvero l’otto per cento degli europei. I numeri crescono così come la varietà di approcci, con qualche tentativo di decriminalizzazione.
Qualche giorno fa, infatti, il governo tedesco ha avanzato una proposta di legge che prevede la legalizzazione della cannabis a uso ricreativo. Il disegno, sostenuto dal ministro della salute Karl Lauterbach, prevede il possesso e il consumo di massimo venticinque grammi di cannabis al giorno e cinquanta grammi al mese per gli adulti, per i giovani dai diciotto ai ventuno anni il livello si abbassa, tollerando un massimo di dieci grammi al giorno (dipende dal Land) e cinquanta grammi al mese.
Sarà il Bundestag ora a deliberare l’entrata in vigore della legge che, partendo potenzialmente dal prossimo gennaio, porterebbe anche all’istituzione di club appositi sul modello spagnolo, associazioni non-profit che non possono promuoversi tramite campagne pubblicitarie e con un massimo di cinquecento iscritti. Permessa anche la coltivazione domestica, per un massimo di tre piante di cannabis: un vero miraggio, per chi in Italia non osa neanche sperare in soluzioni vagamente paragonabili. In un Paese in cui la cannabis è permessa ai fini medici (con tutte le limitazioni e difficoltà di accesso che ne derivano) risale ai giorni scorsi l’ultima stangata. Il focus è sulle preparazioni a uso orale derivanti dal Cbd, sostanza chimica non psicotropa contenuta e commercializzata in diversi prodotti (farmaceutici e non).
Riprendendo un decreto, poi sospeso, del 2020 il governo Meloni decide che i prodotti da ingerire a base di cannabidiolo sono vietati in quanto considerati sostanze stupefacenti. La vendita di alcuni articoli con Cbd resterebbe garantita solo su prescrizione medica e in farmacia, a carico del sistema sanitario nazionale, spazzando via il resto del mercato. «Si tratta di danno enorme a un settore che si è mosso nell’ambito della legalità», commenta Antonella Soldo. Posizioni antiscientifiche e illogiche, in quanto sia per l’Oms che per la Corte di Giustizia dell’Unione Europea il Cbd non ha un effetto stupefacente.
Nel resto d’Europa
La Germania segue le orme di Malta e Lussemburgo, che dal 2021 hanno aperto al consumo ricreativo e alla produzione domestica della cannabis. In Spagna e Paesi Bassi sono diffusi i club (nella penisola iberica aperti solo ai tesserati) e coffee shop ed è depenalizzata la detenzione di piccole quantità di cannabis, così come in Danimarca, Belgio, Croazia (dove si considera reato minore), Repubblica Ceca (che già dal 2009 ne tollera la produzione domestica), Portogallo (fino ai venticinque grammi) e Austria, che però vieta i prodotti a base di Cbd.
In Italia, invece, la strada della legalizzazione appare lontana. «L’Italia condivide con Francia e Svezia il primato di Paesi con le leggi più severe. Per la coltivazione di cannabis, in Italia, si rischiano sei anni di detenzione, per spaccio – non solo di cannabis ma anche di altre sostanze- si rischiano vent’anni di carcere, quasi quanto chi commette un omicidio», racconta Soldo.
Eppure, stringere le maglie della giustizia, nel caso della cannabis, non sembra fungere da deterrente al consumo. «È proprio in Italia, Francia e Svezia – aggiunge – che c’è una percentuale più alta di giovani consumatori, tra i quindici e i diciannove anni. È evidente, quindi, che esiste una diretta proporzionalità tra le leggi che non hanno funzionato e un consumo inconsapevole da parte dei minori».
Inconsapevole perché più che controllare il prodotto e accertarne la qualità e sicurezza, si tende ad agire sulle scelte personali: a fare la differenza una narrazione moralizzante e un linguaggio che alimenta lo stigma. Se in gran parte degli Stati Uniti, per esempio, si usa l’espressione adult use per far riferimento all’assunzione di cannabis in generale, in Italia (e in altri stati europei) si procede ancora a distinguere l’uso terapeutico da quello libero, creando una gerarchia tra ciò che è comprensibile e socialmente accettabile e ciò che, al contrario, è relegato a mero vizio, falla del sistema. «L’aggettivo ricreativo rimanda a un’infantilizzazione delle persone. Se ne fai uso sei una persona che non sa quello che fa, un po’ deviante» commenta Soldo.
Ad essere insensata invece solo la tendenza al proibizionismo su una sostanza che, in Italia, vale il quaranta per cento del mercato dei stupefacenti e che circola incontrollata. Perché, a prescindere dalla legittimità degli orientamenti più conservatori, chiudere a priori il dialogo sulla legalizzazione non fa altro che consegnare alle mafie il mercato del narcotraffico che vale ogni anno, solo considerando la cannabis, più di sei miliardi di euro.
All’alba del referendum sulla cannabis, proposto da Meglio Legale nel 2021 e bocciato dalla Corte Costituzionale, l’attivismo non si ferma, promettendo di far leva sugli strumenti democratici a disposizione. «Noi non promuoviamo il consumo», dice Antonella Soldo, «diciamo che però esiste e che riguarda più di sei milioni di cittadini. Dovremmo lasciarli nelle mani delle mafie?».