Chi ha trascorso la serata di domenica sui canali della Tv di Stato (o meglio, della Nazione), che hanno scandalosamente sorvolato sulla sconfitta dell’estrema destra lepenista e sull’inaspettato successo del Fronte Popolare, ha cercato inutilmente di farsi un’idea più precisa con la lettura dei quotidiani italiani del giorno dopo che ci hanno spesso offerto una narrazione sbagliata o distorta dello stato della democrazia d’oltralpe.
Il «caos» è stata la parola più usata o più abusata: «il caos sotto ii cielo di Parigi» di Alessandro Campi su Il Messaggero, «il caos francese» a nove colonne de La Stampa rafforzato dal messaggio sconsolato del giovane premier macroniano Gabriel Attal secondo cui il suo paese «non è più governabile» per passare alla stampa della destra con «Macron prigioniero e Parigi che sprofonda nella palude» de Il Giornale, «Che Bordel» e «Macron ha gettato il paese nel caos» di Libero, «la Francia ostaggio del rosso Mélenchon» de La Verità e l’incomprensibile ai più «Francia corta» de Il Tempo.
«La democrazia, disse Winston Churchill alla Camera dei Comuni nel 1947, è la peggiore forma di governo eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora». Con una ampia partecipazione elettorale il popolo francese si è espresso democraticamente rispondendo positivamente all’azzardo del presidente Macron – su cui è stato detto tutto e il contrario di tutto salvo ricordare che il suo obiettivo era legato alla necessità e all’urgenza di un «chiarimento della situazione politica» – dichiarando che il lepenismo in tutte le sue forme sarebbe stato la peggiore forma di governo del paese, che il centro macroniano nonostante tutto e nonostante la perdita di voti e di seggi resta per ora – ci si passi il bisticcio di parole – al centro della politica francese e che la sinistra in tutte le sue forme era capace di assumersi la responsabilità collettiva di difendere i valori della Repubblica contro i rischi di una loro frantumazione anche attraverso una massiccia desistenza consentita dalla legge elettorale a favore dei candidati del centro.
In questo senso, il rinato Fronte Popolare è apparso fin dall’inizio – per usare lo sciagurato modello italiano – una lista di (altissimo) scopo essendo intimamente chiaro ai partner occasionali che ognuno avrebbe ripreso le strade separate che essi avevano intrapreso in occasione delle elezioni europee.
Finito il modello di Charles de Gaulle di un presidenzialismo fatto a misura di un Presidente garante dei valori della Repubblica e finiti i modelli semipresidenziali di un sistema sostanzialmente polarizzato fra destra talvolta gollista e talvolta liberale da una parte e socialdemocrazia alla francese con la temporanea e ininfluente eccezione dei comunisti del primo Francois Mitterrand, la Francia entra ora in una terza fase apparentemente divisa in tre blocchi (sinistra, centro ed estrema destra) ma ricca di diverse anime politiche e dunque più europea con una dimensione di democrazia rappresentativa parlamentare destinata a ridurre in modo sostanziale i cosiddetti domaines réservés del Presidente che, come sappiamo, è stato finora e in modo eccezionale il presidente esecutivo con i maggiori poteri in tutta Europa.
Considerata l’interdipendenza fra politiche europee e politiche nazionali e tenuto conto delle scelte essenziali che i governi europei dovranno fare nei prossimi anni in un sistema bicefalo dove la dimensione confederale del Consiglio prevale ancora su quella federale del Parlamento europeo, il nostro auspicio è che i negoziati fra le diverse anime politiche della Francia conducano il paese verso il governo di una “repubblica europea” pronto a svolgere quel ruolo innovatore che fu di Robert Schuman e Jean Monnet all’inizio degli anni cinquanta e di Mitterrand e Jacques Delors negli anni ottanta.