Istituire aree naturali protette, ripristinare gli habitat e, soprattutto, ridurre la presenza di specie aliene. Sono queste le misure più efficaci per contrastare la perdita di biodiversità individuate da un recente studio pubblicato su Science, che ha preso in esame centottantasei progetti di conservazione in tutto il mondo. Anche se gestire gli ecosistemi in modo virtuoso e sostenibile è un tema attuale a qualunque latitudine, non sempre c’è un’unica formula risolutiva applicabile a ogni contesto. Anzi, occorre sperimentare strategie diversificate in base alla conformazione del territorio e al tipo di fauna selvatica che lo abita.
Ne sono un esempio le azioni messe in campo dai parchi della Diputació de Barcelona, in Spagna, e dal parco nazionale dell’Asinara, in Sardegna: due realtà gemellate da molti anni e che quest’anno sono state protagoniste della terza edizione di Biodiversità in volo, il progetto di Fondazione UNA in collaborazione con Federparchi.
«Il focus di questo progetto è proprio quello di porre l’accento sull’approccio scientifico ed ecosistemico alla conservazione», spiega Renata Briano, presidente del comitato scientifico di Fondazione UNA. «All’Asinara prima, e in Catalogna poi, abbiamo osservato come un unico obiettivo comune, quello di una gestione che risponda alle necessità degli ecosistemi, possa essere raggiunto attraverso modelli anche molto diversi».
Da domestica a selvatica: il problema della fauna all’Asinara
Il caso del parco nazionale dell’Asinara, nato ufficialmente nel 1997, è in effetti singolare. Qui il tema della gestione della fauna, infatti, è strettamente legato alla massiccia presenza di animali domestici che si sono inselvatichiti e che oggi, non avendo alcun predatore naturale ed essendo evidentemente costretti in un territorio non esteso, esercitano una pressione eccessiva sulla vegetazione.
L’isola, che ha una superficie di una cinquantina di chilometri quadrati, è stata a lungo abitata da poche decine di famiglie di pastori e pescatori. Nel 1885 i residenti vengono sfrattati e l’Asinara diventa prima una colonia agricola penale, poi un carcere di massima sicurezza. Gli animali che ancora oggi si incontrano visitando l’isola, tra cui circa centoventi cavalli e più di cinquecento asini, sono per lo più i discendenti degli esemplari introdotti e usati dall’uomo nell’ultimo secolo e mezzo prevalentemente per le attività agricole e di pastorizia. Anche negli anni del supercarcere, infatti, molti detenuti in regime di minima sicurezza trascorrevano la giornata all’aperto lavorando e tornavano in cella solo per la notte.
«L’asino grigio di razza sarda è arrivato all’Asinara essenzialmente per l’attività agricola già da prima del 1885, mentre l’asino bianco (che è considerato l’animale-simbolo dell’Asinara, ndr) si è originato sull’isola in seguito a incroci con consanguinei», spiega a Linkiesta la naturalista Stefania Pisanu. «Il cavallo invece è arrivato con la penitenziaria, perché c’erano le guardie a cavallo». Anche le capre, che oggi sono più di mille, sono arrivate negli anni del carcere a supporto dell’attività agricola e per ricavare carne, latte e derivati. Sull’isola ci sono poi cinghiali e mufloni: questi ultimi sono circa settecento e sono stati reintrodotti all’Asinara negli anni Cinquanta.
Quando l’isola smette di essere un carcere e diventa parco nazionale, le attività umane, agricole e di allevamento cessano e, con esse, si interrompe anche il controllo della fauna domestica. Asini, capre e cavalli si inselvatichiscono e aumentano di numero, mettendo l’ente parco di fronte a una grande sfida per la conservazione del territorio. «L’aumento degli animali che un tempo erano domestici causa un problema alla vegetazione: per tutelare il paesaggio e la natura, dunque, è necessario intervenire sul loro numero», prosegue Pisanu.
La strategia di contenimento messa in atto dal parco nazionale dell’Asinara attualmente prevede periodiche operazioni di cattura di animali vivi, che vengono poi allontanati dall’isola: un intervento abbastanza oneroso che da anni riguarda capre e cinghiali e che da quest’anno interesserà anche i cavalli, il cui numero è diventato eccessivo. «Nell’arco di dieci-dodici anni abbiamo visto dei risultati, perché la vegetazione dell’isola si è ripresa. Stando al Piano del Parco, però, dovrebbe esserci un allontanamento totale dall’isola almeno di tutte le capre e i cavalli. Bisogna dunque proseguire e capire se è necessario cambiare il metodo di contenimento».
Caccia ed escursionismo possono convivere? Il caso del Parc de la Serralada Litoral
Diverse sono le strategie di controllo della fauna messe in atto nei parchi della Diputació de Barcelona in Catalogna, quattordici aree verdi protette spesso particolarmente vicine ai centri urbani, tra cui il Parc de la Serralada Litoral e il Parc Natural de Sant Llorenç del Munt i l’Obac. In entrambe queste aree protette sono consentite le battute di caccia, considerate una delle principali misure per ridurre la sovrabbondanza di cinghiali: qui, infatti, è questo il principale tema messo sul tavolo quando si parla di gestione della fauna e di problematiche annesse.
Secondo i dati raccolti in otto dei quattordici parchi della Diputació de Barcelona, dal 2000 al 2020 il numero di cinghiali è passato da tre a nove per chilometro quadrato, con conseguenze simili a quelle che si riscontrano anche in diverse zone d’Italia. I cinghiali tendono infatti a uscire dai loro spazi abituali entrando nei centri urbani, con aumentati rischi per la salute (perché possono causare incidenti e, in alcune circostanze, trasmettere malattie o diventare aggressivi) e potenziali danni per pascoli e colture. Le conseguenze negative si registrano anche negli habitat naturali stessi, dove altre specie animali possono risentire dello squilibrio dettato dall’eccessiva presenza di una particolare specie, anche se non classificabile come aliena.
Oltre a responsabilizzare gli utenti, che non devono ad esempio lasciare residui di cibo in natura, nelle zone particolarmente problematiche per la presenza del cinghiale si prevedono operazioni di cattura con trappole e reti. Altrimenti, come accennato, per ora sono soprattutto le battute di caccia organizzate all’interno dell’area protetta dalle associazioni di cacciatori a tenere sotto controllo la popolazione di cinghiali. Un risultato che non è stato facile raggiungere e che, spiegano dalla direzione del Parc de la Serralada Litoral, ha richiesto un lungo processo per capire come fare coesistere in modo sicuro battute di caccia e attività escursionistiche e ricreative.
«Una delle prime azioni è stata parlare con i cacciatori per capire come gestire la situazione: abbiamo lavorato insieme per delimitare precisamente le zone di caccia su una mappa, trovando toponimi e riferimenti condivisi», spiegano dalla direzione del Parco. Il secondo passaggio è stato mettere a punto una piattaforma web attraverso la quale le associazioni di caccia sono tenute a comunicare, con un anticipo minimo prestabilito, data e luogo delle battute: la notizia viene così diffusa sui canali del Parco, e in più la zona viene segnalata tramite cartelli in loco. Se è già prevista un’altra attività organizzata dal Parco, la battuta non può svolgersi. «Abbiamo fatto un grande lavoro per creare fiducia e collaborazione tra le parti e per fare in modo che questa comunicazione funzioni. La parte più difficile è stata sicuramente cambiare l’abituale modo di fare e di pensare dei cacciatori».
L’ipotesi di un trattamento contraccettivo per cinghiali
La caccia è usata per gestire la sovrabbondanza di cinghiali anche al parco naturale di Sant Llorenç del Munt i l’Obac, a un’oretta di auto da Barcellona: anche qui fanno sapere che è stato d’aiuto, negli ultimi anni, riuscire a migliorare la comunicazione e la collaborazione tra l’Ente Parco e le associazioni di caccia della zona. Un’ulteriore soluzione sperimentata in quest’area riguarda però il controllo della popolazione dei cinghiali tramite un vaccino che inibisce la fertilità.
Questo approccio, già studiato e usato su altri mammiferi, non è una novità e può dare risultati: secondo uno studio condotto su due popolazioni isolate di cinghiali, l’abbinamento tra questo tipo di controllo della fertilità e l’abbattimento risulterebbe più efficace del solo abbattimento.
Lo studio che ha interessato anche la zona del Parc Natural de Sant Llorenç del Munt i l’Obac ha valutato nello specifico gli effetti sui cinghiali del GonaCon, un vaccino immunocontraccettivo iniettabile. Messo a punto originariamente dal National wildlife research center degli Stati Uniti per cavalli, asini selvatici e cervi dalla coda bianca, GonaCon è stato in seguito usato su bisonti e, appunto, cinghiali. Altre sperimentazioni ne hanno valutato l’efficacia su animali diversi, come cani, nutrie e scoiattoli grigi.
Sostanzialmente GonaCon agisce inibendo il funzionamento dell’apparato riproduttore e, se somministrato prima dei tre-sette mesi di età, nei cinghiali induce infertilità permanente. Come spiegato da Manel Lopez-Bejar del Dipartimento di Salute e Anatomia Animale della Universitat Autònoma de Barcelona, nell’ambito dello studio spagnolo sono stati catturati e trattati circa trecento cinghiali. Il vaccino si è rivelato efficace nella maggior parte delle femmine, specialmente giovani. Sugli animali adulti invece, ha proseguito Lopez-Bejar, il trattamento immunocontraccettivo sembra avere effetti temporanei, rendendo dunque necessaria una ri-vaccinazione annuale.
Il trattamento non è considerato interessante solo perché riduce il numero di cinghiali fertili, con conseguenze immaginabili sul problema del sovrappopolamento, ma anche perché a quanto pare rende gli esemplari trattati meno aggressivi e più stazionari, quindi con potenziali effetti positivi sul numero di conflitti e incidenti in ambito urbano.