Era il 2019 quando sul palco di “Atreju”, la festa nazionale di Fratelli d’Italia, Viktor Orbán ringraziava gli italiani per «aver scritto la canzone più bella sulla rivoluzione del ’56». Nemmeno il tempo di finire la frase, e il pubblico, compresa l’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni, inizia a intonare “Avanti ragazzi di Buda” davanti al primo ministro ungherese che ascolta soddisfatto. “Avanti ragazzi di Buda” è una canzone scritta da Pier Francesco Pingitore nel 1966 e da subito diffusasi negli ambienti di destra. Il pezzo celebra l’insurrezione dei cittadini di Budapest contro l’invasione militare della Russia sovietica che inviando i carri armati nella capitale ha represso nel sangue il tentativo dei rivoluzionari di sottrarre il Paese dall’influenza del Cremlino.
Il fatto che a ricordare i ragazzi di Buda sia stato lo stesso uomo che oggi (come cinque anni fa) rappresenta la principale quinta colonna di Vladimir Putin nel Continente, lo stesso che da presidente del Consiglio europeo cerca di ostacolare in tutti modi la rivolta ucraina contro l’imperialismo russo, è insultante oltreché ridicolo. Viene da chiedersi, infatti, come sia possibile che il primo ministro di una nazione passata alla storia per la sua resistenza disperata contro l’aggressione russa fiancheggi gli eredi dell’Urss.
Non è sempre stato così. La vicenda politica di Orbán è particolarmente interessante perché risalendo alle sue battute iniziali troviamo un uomo, e un capo di governo, totalmente diverso rispetto a quello attuale ed è affascinante constatare come le premesse iniziali della sua scalata al potere in Ungheria lasciassero presagire uno scenario del tutto alternativo a quello di oggi. Allo stesso tempo, conoscere gli episodi salienti della sua trasformazione in galoppino della Russia ci aiuta a comprendere meglio la minaccia putiniana contro il nostro Continente e come questa, grazie a un mix di cinismo e propaganda, abbia piantato radici in Europa da tempi non sospetti.
Viktor Orbán cresce politicamente all’interno dell’Organizzazione giovanile comunista (Kisz) di cui diventa segretario da adolescente. Siamo alla fine degli anni Settanta e il Kisz sovietico è l’unica formazione giovanile riconosciuta dal regime (inoltre, era obbligatorio farne parte per essere ammessi all’università) ed è in questo periodo che, stando alle parole dello stesso Orbán, il futuro premier matura quel passaggio da «ingenuo e devoto sostenitore» della dittatura ad animatore dell’opposizione.
Nasce l’Alleanza dei Giovani Democratici (nucleo originario dell’attuale partito di maggioranza Fidesz) formazione anticomunista, liberale e progressista sui diritti civili che in seguito alla caduta del blocco sovietico e al conseguente ingresso ufficiale nella vita politica del Paese si sposterà su posizione sempre più a destra, mantenendo, però, la sua impostazione ostile all’imperialismo russo.
Il retroterra di attivismo giovanile così come il più ampio contesto storico dell’Ungheria spiegano bene i principali avvenimenti del primo governo Orbán (1998-2002), un esecutivo che agisce attivamente contro gli interessi di Vladimir Putin. La maggioranza si fa carico di scelte importanti in questo senso: nel 1999 l’Ungheria entra nella Nato, conclusione di un processo avviato dai principali capi di governo dell’Est Europa per riorganizzare la difesa militare degli stati precedentemente controllati da Mosca, e allo scoppio della guerra in Kosovo prende saldamente posizione a favore della coalizione occidentale bloccando alla frontiera un convoglio russo in viaggio verso l’ex Jugoslavia e inviando i propri soldati nella regione con i contingenti dell’Alleanza atlantica.
Questo atteggiamento in politica estera prosegue per buona parte degli anni duemila – l’ultimo atto in questo senso è il discorso del 2007 con il quale Orbán ha criticato pesantemente la dipendenza energetica dell’Europa nei confronti della Russia – finché qualcosa non cambia radicalmente. Nel novembre del 2009, l’allora capo dell’opposizione Viktor Orbán (siamo a un anno dall’inizio del suo secondo governo) vola San Pietroburgo per l’undicesimo congresso di Russia unita.
È qui che secondo i principali analisti avviene la svolta del magiaro nei suoi rapporti con Mosca, tant’è che l’anno successivo, una volta vinte le elezioni parlamentari, si apre la cosiddetta politica di “apertura ad Est” dell’Ungheria che inizia a stringere rapporti sempre più stretti con la Russia (e la Cina) in materia di energia, sicurezza e diplomazia.
Un cambio di passo così pesante sembra inspiegabile, ma non è così: sono gli anni in cui Orbán inizia quel percorso di riforme costituzionali per sovvertire lo stato di diritto in Ungheria e in cui comincia a teorizzare la tesi della “democrazia illiberale”, un modello politico-ideologico secondo cui la democrazia può essere tale anche se privata delle principali impostazioni figlie del pensiero liberale. Un modo edulcorato per dire autoritarismo. Ovviamente, questo tipo di indirizzo ha causato una frattura profonda con gli altri Paesi europei – lo vediamo ancora oggi – ed è così che Orbán ha dovuto cercare nuovi alleati che potessero sostenere il suo progetto; l’approdo naturale non poteva che essere Putin, forse il miglior esempio dello stato ideale dell’ultraconservatore ungherese.
Secondo la logica del nemico del mio nemico è mio amico, Viktor Orbán ha abbandonato le posizioni della sua storia politica andando contro le posizioni del suo stesso Paese, vittima della dittatura russa per decenni. È il cinismo, non l’ideologia, ad aver portato Orbán nel suo attuale schieramento, con buona pace dei sostenitori e della sua stessa retorica.
Infatti, dal 2010 parte un percorso che cancella quelle speranze ungheresi di emancipazione dalla Russia, apparentemente conquistata con la caduta dell’URSS, composto da alcune tappe essenziali che portano al giorno d’oggi: nel 2014 Orbán vincola ancora di più il suo Paese al colosso energetico russo avviando il progetto per la costruzione dell’impianto nucleare Paks 2 (progetto da dodici miliardi e mezzo garantiti dai fondi di investimento moscoviti), l’anno successivo ospita Putin a Budapest in concomitanza con la battaglia di Debal’ceve andando per la prima volta in controtendenza con la posizione europea di congelare il dialogo con Mosca, mentre nel 2019 permette alla banca controllata direttamente dal Cremlino di aprire sue filiali in Ungheria. Cos’è successo dopo l’invasione dell’Ucraina lo conosciamo tutti.
Oggi Orbán è quello che con i suoi “Patrioti” tenta di sabotare l’Ue per conto della Russia e che vola a Mosca per parlare di pace a pochi giorni di distanza dal bombardamento russo dell’ospedale pediatrico di Kyjiv. L’uomo che fino a poco tempo fa inneggiava ai ragazzi di Buda oggi non è altro che il loro più grande traditore.