Controtempo ipnoticoGli eccessi di Rimini raccontati dagli scatti di Marco Pesaresi

Queste fotografie mostrano la riviera degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, quando l’ombrellone era lo specchio diurno delle luci stroboscopiche della notte romagnola

Discoteca Senza Data © Marco Pesaresi

Ombrelloni verdi in successione punteggiano l’arenile equamente suddiviso nelle forme rettangolari dei lettini dello stesso colore. Il ritmo regolare del loro inseguirsi fino alla battigia sembra quello di un metronomo, su cui si inserisce il suono, ogni due battiti, dell’ombrellone. Pausa. Ombrelloni arancioni obbediscono alla medesima velocità del metronomo, in una successione regolare di lettini arancio. Pausa. Ombrelloni blu… Pausa. Ombrelloni crema…

Il pentagramma della riviera romagnola è lungo chilometri di costa e ha i suoi rappresentanti più illustri in Rimini e Riccione, eternamente rivali nella contesa del primato di stile, storie e favole estive. Ma la base ritmica non da tregua, uguale a se stesa da Nord a Sud, dai lidi di Ferrara fino a Pescara in un tessuto quasi senza soluzione di continuità che ha fatto del mare un luogo antropizzato, nient’affatto naturale: sabbia rastrellata, pulita, riordinata (ormai priva anche di conchiglie), pronta ad accogliere i vacanzieri nel suo aspetto soffice e rassicurante. Dietro, quasi a imitare la costruzione temporanea di strutture parasole in successione, si sviluppa l’abitato: case basse in sequenza lungo la linea costiera. Un altro ritmo, più solido, più lento, ma altrettanto inesorabile: grancassa, forse.

Riccione discoteca © Marco Pesaresi

Poi il tutto prende vita. La stagione estiva è cominciata, gli stabilimenti balneari si popolano di famiglie con bambini, nonni e nipoti, adolescenti ai primi amori, giovani adulti alle prese con il divertimento sfrenato dell’estate. Inizia il carnevale, quello estivo, quello più lungo di tutti, quello atteso per tutto l’inverno, quello delle notti che non finiscono mai, delle bravate, delle sbronze, dei flirt. Al carnevale di Rimini vale tutto, come se la città si trasformasse in un porto franco del gioco, della finzione, dell’alterazione dei sensi e soprattutto dei ritmi circadiani: la città carnascialesca è quella notturna, pronta a svelare i suoi segreti a chi non vedrà mai la spiaggia prima delle cinque del pomeriggio. Controtempo. O forse controtempo sono i bambini, al mare alle dieci del mattino a giocare con palette e secchielli, che serberanno il ricordo di una villeggiatura riservata solo a loro, destinato a infrangersi poco più di una decina d’anni dopo, quando ormai giovani adulti si immergeranno nel sound delle discoteche locali. La base ritmica si colora della melodia, anzi forse è un’orchestra sinfonica quella che si muove su quel tappeto sonoro scadenzato che ne costruisce l’urbanistica: tante voci, tanti tempi, contrappunti, pause e esplosioni strumentali della coralità.

L’ombrellone era lo specchio diurno delle luci stroboscopiche della notte romagnola, entrambi miti della Rimini anni Settanta, Ottanta e Novanta, con primati eccezionali nell’intrattenimento notturno, vero e proprio regno del carnevale che attirava turisti da tutto il mondo e corroborato dai racconti dell’inverno, che puntavano a farne addirittura monumento incrollabile del sogno vacanziero. Mare. Da “Sapore di sale” in avanti quella “Stessa spiaggia” non poteva che essere romagnola, in odor di piadina e gelato, a segnare l’evoluzione dei ritmi dell’estate, da sobri e salutari bagni di sole e di acqua salata nei Kursaal che a metà ottocento punteggiano le coste, per aprirsi sempre di più a un turismo di massa, figlio del boom economico post bellico, e trasformarsi nuovamente negli ultimissimi anni. Il cambiamento del resto è proprio connaturato ai lidi: a fine stagione si ritira tutto, per ricreare la spiaggia l’anno successivo. Il ritmo si spezza nell’inverno, lasciando al mare gentilezze e furibonde scorribande sull’arenile, in un vuoto che, inevitabilmente, si riflette sulla città lineare delle case, dei centri abitati. Pausa.

Riccione © Marco Pesaresi

Non quella quasi impercettibile dell’estate, quel tempo sospeso del divertimento e della leggerezza, di notti che si fanno giorno e di giochi, finzioni e scoperte per grandi e piccini. Rimini si svuota e Fellini la racconta, con amore e amarcord, quel senso di nostalgia definito con le misure locali, ma in una sovrabbondanza onirica come solo il regista riminese sapeva fare. Era nato lì e anche se i suoi set erano tutti ricreati negli studi di Cinecittà, il tempo dell’attesa, aperto al sogno, al ricordo, all’immaginazione, prende forma dal mare all’entroterra, per costruire uno sguardo così fantastico e umano al contempo da risultare perfettamente aderente alla realtà. Dedicato a Fellini ora c’è un museo, che è anche un modo di visitare Rimini, porta d’Europa sull’Oriente, secondo Robert D. Kaplan vero punto di inizio di un futuro in costruzione.

Il calcare di Rimini, l’antica città romana, crocevia strategico tra la Flaminia e la via Emilia, a metà strada tra Milano e Roma, quello che si vede ancora nell’antico tempio malatestiano, è elemento emblematico del luogo: eterno nel suo essere pietra, continuamente trasformato dalla pioggia. Illuminante la descrizione che Kaplan fa della Rimini calcarea nel suo libro “Adriatico. Un incontro di civiltà” (Marsilio). Tempo. Quello dell’eterno ritorno dell’identico, che ogni anno si ripropone uguale a se stesso nel ritmato susseguirsi di ombrelloni e lettini sulla spiaggia e del suo controcanto abitato alle sue spalle, ormai un po’ più ingarbugliato e sviluppato anche in altezza, quello del silenzio invernale malinconico e quieto e quello del continuo cambiamento. Perché Rimini si sa continuamente aggiornare nelle mode, nei sogni e nei paragoni: Rimini come Las Vegas, come Dubai, come Miami… Rimini come Rimini.

Rimini © Marco Pesaresi

«Rimini è la versione italiana di Las Vegas» dichiara Manuel Orazi, architetto e autore di due lezioni su “Rimini and the carnivalesque culture of leisure” con Marco Vannucci e Federico Rossi alla London South Bank University e all’Accademia di architettura di Mendrisio, dove espone il suo pensare la riviera Romagnola a giovani aspiranti architetti, «Las Vegas e il Nevada sono gli unici luoghi negli Stati Uniti dove tutto è possibile, sono valvole di sfogo del puritanesimo e lo stesso è Rimini: quel qualcosa che la lega al carnevale, sentimento medievale ma festa preromana, che ha cambiato la città, ma anche l’identità italiana, con la creazione del turismo adriatico e le sue peculiarità.

Quel ritmo estivo è dettato da un tempo che non finisce nella notte, basta pensare al detto, quanto mai rappresentativo di una filosofia di vita: di giorno mi abbronzo, di notte mi sbronzo», commenta Orazi. Che poi allarga lo sguardo ai ritmi di Rimini. Perché non c’è solo la spiaggia e non c’è solo la notte. Rimini è anche la moda con i grossi show-room lungo la strada, parallela alla costa, che la collega a San Marino: «Si fanno i tour per comprare pelletteria lungo una strada scandita da punti vendita di calzature o di cucine, senza tralasciare le delizie alimentari», spiega ancora Orazi, «Rimini è anche la fiera, proprio come Las Vegas è importante polo fieristico, che ospita il fitness ma anche il gelato (e le macchine per produrlo).

Rimini © Marco Pesaresi

Rimini sono le colonie estive (l’ultima quella di De Carlo del 1961). Rimini è anche il Meeting di Comunione e Liberazione. Rimini è San Patrignano. Rimini sono le famiglie, le discoteche, le droghe, gli eccessi. Rimini è terra di primati, dalla prima discoteca d’Italia amplificata come le conosciamo oggi, quella di Pietro De Rossi, (1966), al primo centro commerciale italiano, del 1985. Rimini è il silenzio invernale. Ora meno greve perché c’è un polo dell’Università di Bologna, una metropolitana di superficie la unisce a Riccione e i nuovi progetti per il turismo la candidano a meta per tutto l’anno», continua. Rimini ha avuto anche la sua isola, l’Isola delle Rose, un unicum, anche questo… «Rimini come Dubai, paradiso fiscale in mezzo al mare durato poco più di un attimo, ma con tutti i tratti del carnevale: arriva persino l’esercito e sgomberare l’isola…» commenta Orazi.

Una storia incredibile quella dell’Isola delle rose, nata dall’estro creativo di Giorgio Rosa, un ingegnere che voleva creare una zona libera dove ballare e mettere musica indisturbato. Così costruisce una piattaforma appena fuori dalle acque territoriali italiane, a 11,5 chilometri al largo delle coste di Rimini, che inaugura nell’agosto del 1967 e dichiara la propria indipendenza il primo maggio 1968, con una lingua ufficiale, l’esperanto, un proprio governo e una propria moneta. Da Rimini partivano imbarcazioni di ogni genere e tipo cariche di ragazzi con la voglia di fare un salto sull’isola che non c’è. E forse anche nel tempo che non c’è: l’isola esisteva quando si riempiva di gente e la musica si sostituiva al ritmo del cuore di ognuno, per poi svuotarsi alle prime ore del giorno e lasciare il suo sovrano, con i pochi fedelissimi, nel vuoto totale del mare Adriatico. Un altro carnevale, un altro controtempo, durato poco più di un respiro profondo. Venne smantellata, naturalmente, insieme al suo ricordo, non fosse stato per un film che ne ha riportato a galla la storia soltanto qualche anno fa.

Igea Marina 1996 © Marco Pesaresi

E ora la nuova anima di Rimini è nel suo lungomare. Pardon, il Parco del mare. La città lineare si avvale di un nuovo ritmo: il fitness. Le palestre en plan air arredano il verde urbano di un nuovo percorso urbanistico architettonico, firmato dallo studio Dodi Moss di Genova, che imita le onde del suo mare: sedici chilometri di costa, mimetica nel suo andamento sinuoso e verdeggiante, quasi in memoria di una natura che non si conosce più da quasi un secolo. Rimini come Miami. Con un altro primato però: vanta la palestra a cielo aperto più grande del Mediterraneo.  Ci sono anche la Foresta del mare, un parco giochi per i bambini, fantasioso e immaginifico, ispirato alle favole di Gianni Rodari, e il Parco Fellini, per i grandi e per chi non può fare a meno di sentire, lo stesso, un pochino di amarcord. Il ritmo? La base è sempre quella che viene dalla battigia a percorrere il pentagramma identico di lettini e ombrelloni in forma di note della stessa durata. Ma a suonarlo poi sono mille elementi che rallentano il tempo del metronomo, oppure lo raddoppiano: fitness, mare, giochi, piada, gelato, aperitivo, discoteca, mattino… Inverno. Allora il metronomo torna a suonare lento, solitario, contraddetto solo da qualche mareggiata.

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