Ieri Sergio Mattarella ha colto l’occasione del tradizionale discorso dinanzi ai giornalisti dell’Associazione stampa parlamentare – la cosiddetta cerimonia del Ventaglio – per chiarire alcune questioni sollevate negli ultimi tempi, direttamente o indirettamente, dai vertici della nuova classe dirigente della destra italiana, dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al presidente del Senato, Ignazio La Russa. Trattandosi anzitutto del loro modo di concepire il ruolo delle istituzioni e i rapporti con la stampa, il presidente della Repubblica non poteva scegliere, evidentemente, occasione migliore.
D’altra parte, sarebbe stato impensabile tacere dopo le scandalose dichiarazioni della seconda carica dello stato sull’aggressione fascista al giornalista della Stampa, che per La Russa solleva il problema del «modo di fare le incursioni legittime» da parte dei giornalisti, per non parlare delle sue incongrue insinuazioni sul cronista che a suo giudizio «non passava di lì per caso» (in verità passava di lì proprio per caso, ma per quale motivo, se anche avesse saputo prima del raduno, non avrebbe dovuto andarci di proposito?).
«Democrazia è il potere di un popolo informato», ha detto ieri Mattarella, citando Tocqueville. «Ecco perché ogni atto rivolto contro la libera informazione, ogni sua riduzione a fake news, è un atto eversivo rivolto contro la Repubblica». E scusate se è poco.
Come i quirinalisti presenti alla cerimonia non hanno mancato di notare, tuttavia, La Russa non era l’unico possibile destinatario delle parole del presidente della Repubblica. Dopo l’inchiesta di Fanpage sulle tendenze neofasciste e antisemite presenti all’interno di Gioventù nazionale, Meloni aveva infatti chiamato in causa esplicitamente il capo dello stato, con una dichiarazione assai irrituale (il suo collega di partito Mollicone probabilmente la definirebbe «provocatoria e provocante»): «Prendo atto che ora è possibile infiltrarsi nei partiti e riprenderne segretamente le riunioni e pubblicarle. Perché non è mai successo con nessun altro partito? È consentito? Lo chiedo al presidente della Repubblica». Dopo un lungo ed eloquente silenzio, quasi un mese dopo, è arrivata la risposta.
Del resto, non era la prima volta che dalla presidente del Consiglio veniva un attacco esplicito al ruolo del Quirinale. Il precedente più grave è senza dubbio la sua intervista al Tg2 Post dopo le manganellate agli studenti di Pisa: «Io penso che sia molto pericoloso togliere il sostegno delle istituzioni a chi ogni giorno rischia la sua incolumità per garantire la nostra: è un gioco che può diventare molto pericoloso» (diversi giorni dopo Meloni ha sostenuto che con «istituzioni» si riferisse ai parlamentari delle opposizioni, anziché al precedente intervento del presidente della Repubblica, ma tutti hanno capito benissimo con chi ce l’aveva).
Si tratta insomma di un’offensiva ricorrente, che basterebbe da sola a dimostrare il vero significato della riforma presidenziale voluta dalla destra. Una tentazione orbaniana che ben si sposa con il suo modo di concepire i rapporti con la stampa e di gestire l’informazione pubblica (vedi i dubbi sollevati su entrambi i fronti dal recente rapporto della Commissione europea), ma anche con la prevedibile, e almeno da queste pagine largamente prevista, conversione trumpiana in politica internazionale.
Tutti argomenti non per niente ben presenti nel tradizionale discorso di Mattarella alla stampa parlamentare, ai direttori dei principali quotidiani e ai giornalisti accreditati presso il Quirinale, un po’ meno nelle loro analisi, almeno fino a ieri. Ma non è mai troppo tardi.
Leggi l’articolo di Mario Lavia su questo argomento
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