Make Fiamma Great AgainIl vantaggio di Trump in America smonta la favoletta di Meloni leader moderata

Le novità dagli Stati Uniti e da Strasburgo ci restituiscono una presidente del Consiglio sconfitta perfino da Salvini, e pronta a tornare alle radici nazional populiste e anti europee (in realtà mai abbandonate, nonostante le pie analisi dei giornali boccaloni)

LaPresse

Sono due le notizie rilevanti per la politica italiana che arrivano dalla giornata di Strasburgo che ha rieletto Ursula von der Leyen come presidente della Commissione europea, con una maggioranza europeista di quattrocentouno deputati rispetto a una minoranza di duecentottantaquattro tra euroscettici, populisti e filorussi. 

La prima notizia è che Giorgia Meloni non è così infallibile come la si è dipinta in questi due anni, a dimostrazione che le continue figuracce degli esponenti di Fratelli d’Italia non erano fastidiosi incidenti di percorso di una classe dirigente rimasta ancorata al passato e non ancora al passo della leader illuminata, semmai la esatta rappresentazione ideologica di un partito che ha cancellato la svolta moderata di Fiuggi di Alleanza nazionale, per tornare a riscoprire le radici di una destra impresentabile proprio nel paese che ha regalato al mondo il Fascismo. 

A Strasburgo, la furbata di giocare di sponda con Ursula, ma mantenendo il legame con le radici sovraniste della destra nazionalista, ha lasciato Meloni con il proverbiale cerino acceso, zeru tituli di qua e mezza traditrice di là, facendosi fregare dall’amico Viktor Orbán e addirittura da Matteo Salvini, ovvero non superando il grado zero della difficoltà politica mondiale. 

La seconda notizia rilevante per noi italiani è che la probabile vittoria di Donald Trump a novembre in America, complici i problemi personali di Joe Biden e lo sgomenti per lo scampato assassinio in Pennsylvania, ha cominciato a produrre i suoi effetti anche da noi, al punto ea far curvare il posizionamento del governo Meloni. 

Su Linkiesta possiamo dirlo senza imbarazzi, visto ch siamo uno dei rari giornali che non ha mai creduto alla genuinità della svolta moderata di Meloni, tantomeno alla bufala perpetuata da due anni (addirittura fino a ieri) da grandi quotidiani e piccoli giornali secondo cui a Palazzo Chigi si sarebbe insediata la reincarnazione bionda di Mario Draghi e altre facezie da avanspettacolo romano

Qui scriviamo da due anni che Meloni è la Giorgia di sempre, una leader nazionalista, populista, neo, ex, post fascista, impossibile da distinguere dalle destre estreme che infestano l’Occidente, salvo la valorosa, per quanto opportunistica, posizione filo Ucraina che Meloni ha meritoriamente deciso di prendere una volta nominata presidente del Consiglio, con l’idea che il suo governo di destra non avrebbe potuto reggere un conflitto su due fronti, l’Europa e l’America, meglio apparire atlantica conquistando la simpatia di Washington e provare a fare casino soltanto a Bruxelles. 

Riconoscendole la scelta coraggiosa sull’Ucraina, abbiamo anche scritto in tutti i modi possibili, e da soli, che la difesa della democrazia ucraina dall’imperialismo russo del governo Meloni non avrebbe retto un’eventuale elezione di Donald Trump il 5 novembre, anche se allora sembrava ancora improbabile.

Ed ecco che oggi, ancora prima che Trump vinca le elezioni presidenziali, ma con i sondaggi che lo danno saldamente in testa, Meloni ha già cominciato il suo riposizionamento nazional populista, prima astenendosi al Consiglio europeo su von der Leyen, poi astenendosi sul punto della risoluzione per l’Ucraina che criticava Orbán e su quell’altro che autorizzava gli ucraini a colpire le basi russe in Russia, pur votando poi a favore della risoluzione finale, e infine facendo votare ieri pomeriggio in Parlamento i suoi deputati contro la presidente della Commissione. 

Sarà curioso leggere stamattina le arrampicate sugli specchi degli adulatori liberali di Meloni, ma qualsiasi cosa scriveranno nei prossimi giorni è già cominciata la rincorsa ultra populista del governo, perché Meloni non vorrà farsi trovare di nuovo impreparata, a metà del guado, né moderata né sufficientemente sovranista, e in difficoltà sia interna sia internazionale, nel caso il 5 novembre Donald Trump dovesse vincere le elezioni, a gennaio ridisegnare il quadro delle alleanze geopolitiche e poi fare la conta degli amici e dei nemici.

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