La sinistra francese ha impiegato intensamente i giorni del dopo voto per dare il peggio di sé. La coazione a ripetere di un giacobinismo verbale e velleitario, settario più che mai e soprattutto ultra-minoritario. La ribadita prova che, come ammette da decenni Giuliano Amato, la sinistra è maestra nell’incarnare la pars destruens – oggi il blocco elettorale anti Rassemblement – arrivando sino a convincere gli elettori del Centro a votarla, pur di boicottare Marine Le Pen, ma è totalmente incapace di dare vita a una pars costruens, a costruire una solida prospettiva di governo.
Innanzitutto, da Jean Luc Mélenchon al sindacato dei cheminots, i ferrovieri della Confédération générale du travail (Cgt) ha urlato sguaiatamente al complotto antidemocratico con la Cgt che ha minacciato velatamente lo sciopero generale perché Emmanuel Macron non le ha subito affidato il governo, come da prassi, al partito più votato. Questo, facendo finta di non sapere che sinora in Francia il partito più votato aveva anche la maggioranza dei seggi, o quasi, mentre il Nouveau Front Populaire ha ottenuto solo centottantaquattro seggi, ben centocinque in meno della maggioranza assoluta, addirittura meno di un terzo dell’emiciclo.
Dunque, un governo del Front Populaire durerebbe lo spazio di un mattino, giusto il tempo della presentazione di una mozione di censura che sarebbe sicuramente votata da trecentonovantatré parlamentari dell’opposizione, i due terzi dell’Assemblea Nazionale. Ma questo è proprio il punto, invece di dare al paese un governo stabile, la sinistra francese punta a una ennesima mossa propagandistica e giudica un successo se il suo governo, pochi giorni dopo essere intronato, cadesse su un provvedimento qualificante, come il salario minimo a milleseicento euro. Una mentalità puramente propagandistica e velleitaria, incapace addirittura di concepire una cultura di governo, estranea totalmente agli interessi nazionali, avversa a qualsiasi cultura di governo.
Ma lá dove il Front Populaire ha confermato la sua vera inconsistenza e natura, al di là del ridicolo – o del tragico – è la designazione unitaria dell’uomo o della donna a cui Macron avrebbe dovuto assegnare il compito di formare un governo. Sono passati dieci giorni e l’unica cosa che traspare è una lotta cannibalica al coltello che produce uno via l’altro la bruciatura di tutti i candidati premier. Una perfetta anteprima dei conflitti settari che avrebbero paralizzato ogni attività del più che minoritario governo della gauche.
Manuel Bompard coordinatore di La France Insoumise accusa il Partito Socialista di «opporre un rifiuto costante e continuo a tutte le proposte sul tavolo» e annuncia il ritiro dai negoziati, ormai interrotti. Il partito comunista ha avanzato la candidatura esotica di Huguette Bello, presidente della regione della Réunion, che però è durata lo spazio di un mattino. Più rapida la sorte della candidatura di un personaggio di forte caratura, Martine Aubry, figlia di Jacques Delors, sindaca di Lille, che non ha voluto partecipare allo spettacolo penoso e ha dichiarato saggiamente di non avere nessuna intenzione di candidarsi
Olivier Faure, segretario del partito Socialista ha chiarito quale è il suo punto di vista: «Il partito che ha vinto le elezioni europee a sinistra è il Partito socialista col quattordici per cento, non la France Insoumise che ha avuto il nove per cento», quindi le carte le devono dare i socialisti. Gli uomini di Mélenchon controbattono che la France Insoumise ha il diritto a imporre le sue decisioni perché ha settantotto parlamentari, molti di più dei sessantanove del Partito Socialista e questo litigio sui minimi sistemi si avvita su sé stesso, nel totale disinteresse dell’elettorato e ormai anche dei media.
Infine, socialisti, ecologisti e comunisti hanno proposto Laurence Tubiana, un’accademica esperta in cambiamenti climatici e il caos si è dispiegato in tutta la sua forza perché è una candidatura debolissima sotto il profilo politico, di pura facciata. Il solito trucco della sinistra del candidato della società civile per coprire le divergenze politiche profonde. Trucco che peraltro non funziona perché la Tubiana non piace a La France Insoumise perché Macron-compatibile e la cassa definitivamente come non seria.
Uno spettacolo oltre i limiti del ridicolo che peraltro facilita il compito di Emmanuel Macron che ha dichiarato di avere due principi nel decidere a chi assegnare il compito di formare un governo: una maggioranza stabile, a cui concorre quindi più del cinquanta per cento dei parlamentari, e l’esclusione netta delle ali estreme, quindi di La France Insoumise come del Rassemblement National. Infatti, accettando le dimissioni del governo di Gabriel Attal ha invitato il campo presidenziale a mettere sul tavolo una proposta in vista di una coalizione di maggioranza e di un ampio patto legislativo.