La poesia è un momento, un affresco, un impulso e nella raccolta “Saprò dire il tuo nome” di Massimiliano Coccia ce ne sono trenta. Scritte accuratamente con strofe in cui ogni parola viene scelta e pesata con precisione da un poeta naturale. Queste trenta storie hanno un inizio e una fine e ci restituiscono quadri interi di episodi, profumi, immagini, suoni, sensazioni in una città dove si intrecciano tempi e personaggi che hanno reso l’autore la persona che è oggi.
Le poesie di Coccia mostrano la sua anima fragile alla ricerca di una salvezza, una salvezza quasi biblica nella costante presenza della morte, con le ossa, i cimiteri, le vedove e le marce funebri. La morte che come la città ha un limite geografico, ma non poetico.
A volte scanditi dal ritmo di una discesa dalle scale in un quartiere romano, a volte lente come il traffico nella città accaldata dal sole agostano. Il ritmo di Coccia è in equilibrio tra rime interne e assonanze, tra i contrari come la città di Torino sta a Roma e i sinonimi come i quartieri della città eterna.
Leggere le poesie di Coccia soffoca, fa sentire il catrame nella bocca e la polvere sulla pelle, fino a che non arriva la salvezza dalla città che lascia cicatrici e dolori sotto la pelle. Quella salvezza è l’amore.
L’amore che dà la forza di trovare nuove sfaccettature dell’anima ed è pronto ad accogliere la persona amata perché «mi entri dentro come promessa» perché
la prima volta che ho saputo
il tuo nome
penso di essere arrivato
vivo
solo per vederti giungere
e penso di non morire
solo per aprire la porta
e trovarti
Massimiliano Coccia poeta sembra uscito o addirittura nato tra le pagine della poesia italiana degli anni Trenta, quando la sincerità con se stessi era già poesia stessa.